Recensione di Maria Maistrini – 30/04/2005
Filosofia teoretica (ermeneutica, metafisica, pragmatismo), Storia della filosofia (contemporanea)
Questo piccolo ma significativo libro curato, sollecitato, introdotto e anche tradotto da Santiago Zabala contiene due interventi, rispettivamente di Richard Rorty e di Gianni Vattimo, a proposito di ruolo e valenza del tema religioso nell’esperienza e nella filosofia dei due protagonisti, i quali, pur, come si sa e s’immagina, nella differente presa in cura prospettica di luoghi e problemi della speculazione e della narrazione filosofica, offrono al lettore alcune interessanti convergenze.
Per presa in cura prospettica intendiamo nietzscheanamente la diversa prospettiva dalla quale, storicamente, Gianni Vattimo e Richard Rorty, si sono, ognuno a proprio modo, presi cura della verità. Poi, per quanto attiene al tema centrale qui in discussione, la religione, ci sembra lapalissiano ma lo ricordiamo ugualmente, con ogni probabilità nessuna seria riflessione filosofica (qualunque ne siano il più o meno contingente punto di partenza e lo sviluppo concettuale) può astenersi dall’emettere una sentenza su Dio.
Quale che sia questo giudizio (che tale Dio sia dato per morto, malato, o brillantemente sopravvissuto), la questione metafisica è e resta centrale, e può essere rimossa soltanto attraversando più o meno inconsapevoli mistificazioni storiche e teoriche.
Diciamo storiche perché non è di una qualsivoglia divinità che qui si parla, ma del Dio che si è incarnato nella storia, appunto, e questo, ci sembra, già in sé mette in moto un meccanismo produttore di differenza. Una differenza di categorie speculative che Gianni Vattimo ama presentare soprattutto sul filo della tradizione cosiddetta postmoderna dei filosofi continentali, e Richard Rorty, invece, in maniera più tenue, su quello piuttosto della possibilità, in generale, di tenere una conversazione più o meno interessante su un qualche argomento in qualche modo filosofico che possa essere soggettivamente condiviso – come può essere appunto il tema religioso.
Già da anni avvezzi al sottile umorismo – la famosa ironia - di Richard Rorty, i lettori non si lasceranno certo ingannare questa volta: al di là di uno stile così morbido e apparentemente dimesso, le argomentazioni del professore newyorkese non sono poi così deboli. Con la solita scrittura veloce ed attraente, l’autore esterna anche in questo breve saggio le ragioni della sua visione del mondo. Lo scritto, già apparso in “Reset” nel 2002, è giustamente ripreso qui da Zabala perché, al di là dell’argomento religioso comune, è lo stesso Rorty a istituire analogie e differenze del suo pensiero rispetto alla Weltanshaung vattimiana. Elogiando più volte infatti in particolare il saggio Credere di credere. È possibile essere cristiani nonostante la Chiesa? di Gianni Vattimo, il nostro giunge a vedere differenze non di sostanza - dopo aver ricordato che la sua posizione è comunque, a priori, “antiessenzialista” (p. 33) – fra loro: «e differenze fra me e Vattimo si riducono alla sua capacità di cogliere il sacro in un evento passato e al mio senso del sacro come qualcosa che può risiedere solo in un futuro ideale. […] Vattimo pensa (scil. invece) che la decisione di Dio di trasformarsi da nostro padrone a nostro amico sia l’evento decisivo» (p. 44). E conclude: «La differenza fra questi due tipi di persone (scil. come Vattimo e come me) è la differenza tra un’ingiustificabile gratitudine e un’ ingiustificabile speranza» (p. 45), riferendosi alla propria generica speranza in un mondo futuro migliore dove regni la solidarietà assieme con l’amore «docile, paziente, capace di sopportare ogni cosa» (ibid.). Questo, secondo Richard Rorty, è qualcosa come un futuro della religione. In effetti, una conclusione piuttosto “debole”.
Le sue argomentazioni, però, abbiamo detto, non ci sembrano particolarmente deboli, non più di altre. Sostiene difatti il nostro, introduttivamente, che «non c’è bisogno di raggiungere un occhio di Dio sovrastorico, una visione globale delle relazioni tra tutte le pratiche esercitate dall’uomo» (pp. 35–36), e anzi propone la solita tolleranza e il solito vivi e lascia vivere nei confronti gli uni degli altri, credenti e non credenti. E insiste: «L’arena ep istemica è uno spazio pubblico, uno spazio dal quale la religione può e deve ritirarsi» (p. 40). A noi, più che “pensieri deboli”, questi ricordano enunciati prescrittivi.
Gianni Vattimo, al contrario, con l’altrettanto nota agilità, ma con più umiltà, propone in questo scritto, anche esso già uscito come articolo in “Eidos”, ma nel 2003, la sua ontologia debole già nota al pubblico. Ma, alla luce del principio – valore di carità, nel suo discorso splende un impegno – l’impegno personale e diretto in merito alla questione religione – che fa un po’ ombra alla generica tolleranza rortyana, la quale qui fa un po’ la figura di una metafora dell’indifferenza, sostanzialmente, cioè: nella sincerità intenzionale – che si sente – del desideri o di evitare conflitti, Rorty di fatto, paragonato a Vattimo, evita le risposte, qualunque risposta, appellandosi a una sua presunta “non musicalità religiosa”. Come a dire che non si è mai posto la questione di Dio. E in questo è poco credibile. Ma si sa, per un cosciente pronunciamento del nome di Dio, a volte è davvero necessario aspettare situazioni – limite, come la morte, per esempio, su cui Rorty non esprime nulla, ma che certo non può passare inosservata all’heideggeriano (post quanto si voglia) prof. Vattimo.
Egli infatti, nel pensare ermeneuticamente anche le categorie della religione – cristiana - (cfr. anche il suo successivo Che cos’è la religione oggi?), ricorda che comunque «nella interpretazione si dà il mondo, non ci sono solo immagini ‹soggettive›» (p. 48). Questo per dire che l’ontologia ermeneutica può aiutare a uscire dall’oggettivismo che ha caratterizzato in particolare la storia della Chiesa cattolica, ma non è relativismo assoluto. Nell’“età dell’interpretazione” una buona idea (un’idea anche caritatevole) può essere un «rovesciamento di questo genere» (p. 52): «Dire che non crediamo al Vangelo perché sappiamo che Cristo è risorto, ma crediamo che Cristo sia risorto perché lo leggiamo nel Vangelo» (ibid.).
Questa la proposta di Gianni Vattimo.
Secondo l’acuta visione di Santiago Zabala, però, «l’ultimo traguardo della ricerca dopo la fine della metafisica non è più il contatto con qualcosa che esiste indipendentemente da noi, ma solo la Bildung, la mai conclusa formazione di sé» (p. 10, c.n.). E tanto più si può essere ancora d’accordo con lui, quanto più si rifletta sulla sua bella metafora dell’Occidente ancora “convalescente” (p. 14) rispetto alla malattia metafisica. Ma perché allora tanta brillante intuizione non trova il coraggio di scegliere la sua salute?
In un gradevolissimo confronto finale, infatti, i tre, Rorty, Vattimo e lo stesso Zabala, appunto, ripercorrono assieme i temi del libro, aggiungendo invero altri interessanti stimoli al pensiero circa l’attualità politica e filosofica; ma non giungono all’atto finale, cioè a individuare il futuro della religione nel futuro del Sé, né a proporre una possibile analogia tra guarigione dalla religione dogmatica e clericale e guarigione del Sé. Perché? A quale totem si sentono ancora vincolati i nostri? Di fronte a quale tabù arrestano la loro legittima aspirazione all’oltrepassamento della metafisica occidentale? C’è stato forse un errore terapeutico nel processo della cura della verità, che cos’è (se è), ciò che ancora sfugge e non si dà?
Proponiamo una risposta. Che la macchina del desiderio si sia arrestata proprio davanti a quel “in principio era il Logos” che dice di voler affermare.
La religione, infatti, o per meglio dire, la religiosità del soggetto, non è ipso facto, forse, già in origine, in principio e per principio, connotata come desiderio, come dispositivo pulsionale, come macchina?
Macchina della differenza che è prodotta e produce, essenzialmente da una distanza tra umano e inumano – per dirla à la Lyotard – che è essa stessa religione, religiosità, co me desiderio profondo e incessante di avvicinamento che sempre di più allontana, non sazi, non dissetati, allorché non si colga nell’essenza stessa della fede questo costitutivo non – esserci dato dal suo essenziale essere sempre in riferimento strutturale a un Essere – mistero. Il che non significa necessariamente, però, secondo noi, che non possa sollevarsi l’ultimo velo di Maya. Anzi, è proprio questo evitamento programmatico dell’atto finale che imprigiona in una ormai inutile metafisica dell’interpretazione che può ormai solo essere stanca e infeconda imitazione dell’antenata metafisica dell’assoluto; in un relativismo che è stato utile nella sua fase rivoluzionaria (di decostruzione – distruzione), ma che non ci serve più adesso, come non servono più al malato i buoni rimedi che l’aiutarono a guarire un tempo. E anzi: come fanno ammalare ancora più gravemente dei farmaci assunti in tempo di quiete dell’organismo, di non malattia.
In altre parole il desiderio del lettore riceve piuttosto una indicazione di teologia negativa – ci si passi il termine ironico – da questo Il futuro della religione, che rimane ugualmente e sicuramente un libro da leggere: cosa c’è, Santiago, al di là di teismo e ateismo, di interpretazione e metafisica, di violenza e nonviolenza, che può far bene alla nostra salute?
Non siamo, così, forse, ancora fermi all’antitesi, preoccupati della sintesi, o forse ancora di più ostili a una sintesi, per paura che si ripresenti, ancora, con gli antichi caratteri storicamente determinati della sopraffazione di un individuo sull’altro in nome della cosiddetta verità?
Il libro indica nel suo bel sottotitolo - ancora - ciò che non può far male… solidarietà, carità, ironia…, ma non vi sembra tuttavia, forse lo è!, la ricetta della nonna per l’adorato nipotino convalescente, minestrina e petto di pollo? Certo, pollo biologico…
Ma per quanto ancora ci accontenteremo di essere convalescenti per non prendere freddo? Quando verrà l’ora di lasciarci alle spalle anche l’interpretazione, ringraziandola con tutto il cuore di essere stata una delle esperienze più belle dell’Occidente, ma pur sempre: l’altra faccia della sua malattia?
Indice
Introduzione
Una religione senza teisti e ateisti, di Santiago Zabala
Anticlericalismo e ateismo, di Richard Rorty
L’età dell’interpretazione, di Gianni Vattimo
Appendice. Quale futuro aspetta la religione dopo la metafisica?, Richard Rorty, Gianni Vattimo, Santiago Zabala
Il curatore
Santiago Zabala (1975) è dottorando in filosofia presso la Pontificia Università Lateranense di Roma e autore di Filosofare con Ernst Tugendhat. Il carattere ermeneutica della filosofia analitica (Franco Angeli 2004). Attualmente sta preparando la Festschrift per i settant’anni di Gianni Vattimo nel 2006 per la McGill-Queen’s University Press.
11 commenti:
Capitava tra facoltosi esponenti dei poteri sovietici di ritrovarsi a giocare col pensiero dell'Occidente e quando esperienza sociale ne era l'idoleggiamento altrui o persino l'idolatria ed in condizioni di superstizioni collettive e rischi di conseguenze civili, allora il gioco diventava sempre meno tale...
Ad ignorar motivazioni serie di giudizi contro l'Occidente erano i seguaci di Stalin, ostili anche senza motivo od errore diretto.
Prima e durante Dopoguerra Freddo ad esser fortemente criticato da ambienti poco o nulla occidentali era il valore della religione. Materialismo che vagheggiava le intuizioni filosofiche - politiche di F. W. Nietzsche poneva in serio dubbio religiosità cristiane; poi fanatici al sèguito passavano ad ipotesi ed illazioni; tutti quanti non supponendo quanto beffardi fossero i più superstizioni e quanto differenti potevano essere le differenze della Cristianità.
Così ai fanatici individualisti si aggiungevano pure ossessionati del collettivismo. "Droga per lo spirito", "malattia per il corpo"; in questo ordine Marx e Nietzsche avevano rifiutato religioni e cristianesimo, solo il primo entrambi ed intellettualmente soltanto, datoché sorta di Grande Madre era suo apostolato indiretto, il secondo emotivamente solo religione di ciò che non gli era parsa una salvezza. Notato che proprio ambienti comunisti erano avviati ad alterazioni di spiritualità invece che considerazioni d'Assoluto, Marx lasciò per ultima comunicazione a cattolici e cristiani solo propria disperazione (morì d'inedia per evitare ad altri il peggio delle vendette contro suoi ripensamenti); Nietzsche invece accortosi che erano certuni eventi del tutto falsi, provvide a precisare che solo coloro contro naturali intuizioni lui s'era inimicato (e per altre inimicizie, non di lui medesimo).
...
MAURO PASTORE
In recensione a pubblicazione che svincola materialismo dialettico da negare religiosità e religioni, accampa, in specie di prima linea, il pensiero della malattia, equiparata a un mondo, il mondo occidentale. Certo un mondo può esser insopportabile o senza futuro; certamente v'era chi ne idoleggiava, altri che ne idolatravano; dell'idolo del Tramonto io vidi farne estremisti di destra, quelli detti "nazi" perché di più brevi intenti e pronti rischi; e chi per odio, chi per accordo, molti ne idoleggiavano, altro idolatravano... Poteva esser un grande evento occidentale invano e ne era spesso; e quando troppo poche idee o nuove per nessuno e nessuna altra, il mondo occidentale era un mondo afflitto; e una sua intera configurazione intellettuale e culturale era senza vitalità e senza altro cercare.
Eppure, solo a ricordarsi i pensieri della infanzia e quante le speranze, chiunque non poteva restare a pensare solo il modo solito di dire "occidentale"; e pensando ai valori religiosi non si poteva accettare che religiosità occidentali potessero esser confuse per insavia; nonostante ciò, a detta di molti Occidente pareva Nulla od occidentale pareva vuotezza; e nel dover pensare al rischio delle catastrofi nucleari, Occidente intero era incertezza di futuro.
Così come lo pensavano coloro che a tutto ciò non ponevano mente, esso non aveva più senso e a volerne tributare per taluni era da smarrire il sennò e per talaltri da rischiare insanità.
In verità anche dopo fine di Guerra Fredda era questo ancora, perché non era assicurato un senso nella fine medesima.
MAURO PASTORE
...
A porre ed a far porre l'Occidente quale elemento di insano riferirsi era, oltre che ovviamente antioccidentalismo, anche excattolicesimo e cattolicismo.
Dunque non era da giuste reazioni definire etica della moderazione e della circostanza come fosse stato moralismo avvilito ed avvilente... Non c'è dubbio che cotal etica era politicamente e culturalmente discutibile; però essa proprio in appellarsi a valore della religione si dava una opportunità: quella di non restare entro affermazioni molteplici tutte non decisive tutte infine inutili. In termini logici, era Relativismo che si volgeva ad Assoluto...
Una logica spaventosa per tanti preti. Ne avevano da ridire clericali, clerici, clero, contro il porsi da sé (cosiddetto "Autodafé") al cospetto di Assoluto ovvero Dio, da parte di destini alieni da guide spirituali organizzate.
Certo non è il Sé a doversi guarire da malattie mentali neppure da mancanze di spirito cui malattie sono possibilità conseguenti; ma certa parte di mondo culturale ne diceva per metafora spirituale... Che o vuota o a sua volta occasione di mancanze di spirito.
MAURO PASTORE
(...)
Domanda finale in recensione, appunto non è terminale; e se altro se ne intuisce, è una significanza parallela. Difatti è pur sempre vero che quanto Rorty e Vattimo espongono della religione e quanto Vattimo propone, è una parte di un tutto per il resto estraneo. Rapporto al futuro, pragmatista anzi neopragmatista, rappresenta mentalità dell'Annuncio, evangelica; relazione al passato rappresenta mentalità cattolica del Testamento; il perché del maggior interrogativo di quanto è in esso domanda, sta nel notare altro: della Ortodossia, per la quale è un presente esser altro, da cui passato e futuro religiosi dipendono... Ma proprio quanto di più alieno ad Ortodossia è la eventualità di corrotte metafore e vaste mancanze di spirito, perché origine di Ortodossia è Rito Orientale, che si basa su non ricerca e su non previsione; dunque mondo cristiano ortodosso non ha successioni per basi cultiche né eredità di espressioni di esse ma destini compiuti.
Da ciò discende senso dell'ovvio; cui etica compiuta ha quasi niente per difese culturali di religione perché ha diretta cultura dell'umanità qual animalità religiosa ed ha quasi tutto per forza civile perché ha diretta natura direttamente in civiltà.
Se un idolo ancora sta a distruggere speranze perché ve ne sono idolatri e idoleggianti, è il simulacro del vecchio; ma non è questo da Orienti di Italia né da Patriarcati sopravvissuti alle fortune pontificie, né potrebbe illudere i nuovi da Est cui entro Ortodossia vita religiosa.
MAURO PASTORE
Difatti... a funestare vita occidentale ci pensano i comunicati ove destinatari ridotti taciuti: indicazioni per malati esibite per tutti, a modi di rimprovero e funestando immaginario collettivo: perché umanità intera e rattristata da idea che realtà di malattia riguardi tutti e sempre ugualmente; allora se tanto cattolicesimo esente o forte e se tanto evangelismo emancipatone o libero, è assurdo che restante cristianità stabilita sia imitata in sue maniere facendo scordare suo distacco ed estranietà.
MAURO PASTORE
In messaggi precedenti ho lasciato, per emotività ma con ragioni già valutate, due parole che potevano essere altrimenti: 'sennò' avrebbe potuto esser: senno; 'intera e rattristata', avrebbe potuto esser: intera è rattristata.
Maggior significati sarebbe nel lasciar messaggi in atipicità...
Ma preferisco metterne in parentesi. Reinvierò.
MAURO PASTORE
Capitava tra facoltosi esponenti dei poteri sovietici di ritrovarsi a giocare col pensiero dell'Occidente e quando esperienza sociale ne era l'idoleggiamento altrui o persino l'idolatria ed in condizioni di superstizioni collettive e rischi di conseguenze civili, allora il gioco diventava sempre meno tale...
Ad ignorar motivazioni serie di giudizi contro l'Occidente erano i seguaci di Stalin, ostili anche senza motivo od errore diretto.
Prima e durante Dopoguerra Freddo ad esser fortemente criticato da ambienti poco o nulla occidentali era il valore della religione. Materialismo che vagheggiava le intuizioni filosofiche - politiche di F. W. Nietzsche poneva in serio dubbio religiosità cristiane; poi fanatici al sèguito passavano ad ipotesi ed illazioni; tutti quanti non supponendo quanto beffardi fossero i più superstizioni e quanto differenti potevano essere le differenze della Cristianità.
Così ai fanatici individualisti si aggiungevano pure ossessionati del collettivismo. "Droga per lo spirito", "malattia per il corpo"; in questo ordine Marx e Nietzsche avevano rifiutato religioni e cristianesimo, solo il primo entrambi ed intellettualmente soltanto, datoché sorta di Grande Madre era suo apostolato indiretto, il secondo emotivamente solo religione di ciò che non gli era parsa una salvezza. Notato che proprio ambienti comunisti erano avviati ad alterazioni di spiritualità invece che considerazioni d'Assoluto, Marx lasciò per ultima comunicazione a cattolici e cristiani solo propria disperazione (morì d'inedia per evitare ad altri il peggio delle vendette contro suoi ripensamenti); Nietzsche invece accortosi che erano certuni eventi del tutto falsi, provvide a precisare che solo coloro contro naturali intuizioni lui s'era inimicato (e per altre inimicizie, non di lui medesimo).
In recensione a pubblicazione che svincola materialismo dialettico da negare religiosità e religioni, accampa, in specie di prima linea, il pensiero della malattia, equiparata a un mondo, il mondo occidentale. Certo un mondo può esser insopportabile o senza futuro; certamente v'era chi ne idoleggiava, altri che ne idolatravano; dell'idolo del Tramonto io vidi farne estremisti di destra, quelli detti "nazi" perché di più brevi intenti e pronti rischi; e chi per odio, chi per accordo, molti ne idoleggiavano, altro idolatravano... Poteva esser un grande evento occidentale invano e ne era spesso; e quando troppo poche idee o nuove per nessuno e nessuna altra, il mondo occidentale era un mondo afflitto; e una sua intera configurazione intellettuale e culturale era senza vitalità e senza altro cercare.
Eppure, solo a ricordarsi i pensieri della infanzia e quante le speranze, chiunque non poteva restare a pensare solo il modo solito di dire "occidentale"; e pensando ai valori religiosi non si poteva accettare che religiosità occidentali potessero esser confuse per insavia; nonostante ciò, a detta di molti Occidente pareva Nulla od occidentale pareva vuotezza; e nel dover pensare al rischio delle catastrofi nucleari, Occidente intero era incertezza di futuro.
Così come lo pensavano coloro che a tutto ciò non ponevano mente, esso non aveva più senso e a volerne tributare per taluni era da smarrire il senno e per talaltri da rischiare insanità.
In verità anche dopo fine di Guerra Fredda era questo ancora, perché non era assicurato un senso nella fine medesima.
MAURO PASTORE
(...)
A porre ed a far porre l'Occidente quale elemento di insano riferirsi era, oltre che ovviamente antioccidentalismo, anche excattolicesimo e cattolicismo.
Dunque non era da giuste reazioni definire etica della moderazione e della circostanza come fosse stato moralismo avvilito ed avvilente... Non c'è dubbio che cotal etica era politicamente e culturalmente discutibile; però essa proprio in appellarsi a valore della religione si dava una opportunità: quella di non restare entro affermazioni molteplici tutte non decisive tutte infine inutili. In termini logici, era Relativismo che si volgeva ad Assoluto...
Una logica spaventosa per tanti preti. Ne avevano da ridire clericali, clerici, clero, contro il porsi da sé (cosiddetto "Autodafé") al cospetto di Assoluto ovvero Dio, da parte di destini alieni da guide spirituali organizzate.
Certo non è il Sé a doversi guarire da malattie mentali neppure da mancanze di spirito cui malattie sono possibilità conseguenti; ma certa parte di mondo culturale ne diceva per metafora spirituale... Che o vuota o a sua volta occasione di mancanze di spirito.
Domanda finale in recensione, appunto non è terminale; e se altro se ne intuisce, è una significanza parallela. Difatti è pur sempre vero che quanto Rorty e Vattimo espongono della religione e quanto Vattimo propone, è una parte di un tutto per il resto estraneo. Rapporto al futuro, pragmatista anzi neopragmatista, rappresenta mentalità dell'Annuncio, evangelica; relazione al passato rappresenta mentalità cattolica del Testamento; il perché del maggior interrogativo di quanto è in esso domanda, sta nel notare altro: della Ortodossia, per la quale è un presente esser altro, da cui passato e futuro religiosi dipendono... Ma proprio quanto di più alieno ad Ortodossia è la eventualità di corrotte metafore e vaste mancanze di spirito, perché origine di Ortodossia è Rito Orientale, che si basa su non ricerca e su non previsione; dunque mondo cristiano ortodosso non ha successioni per basi cultiche né eredità di espressioni di esse ma destini compiuti.
Da ciò discende senso dell'ovvio; cui etica compiuta ha quasi niente per difese culturali di religione perché ha diretta cultura dell'umanità qual animalità religiosa ed ha quasi tutto per forza civile perché ha diretta natura direttamente in civiltà.
Se un idolo ancora sta a distruggere speranze perché ve ne sono idolatri e idoleggianti, è il simulacro del vecchio; ma non è questo da Orienti di Italia né da Patriarcati sopravvissuti alle fortune pontificie, né potrebbe illudere i nuovi da Est cui entro Ortodossia vita religiosa.
Difatti a funestare vita occidentale ci pensano i comunicati ove destinatari ridotti taciuti: indicazioni per malati esibite per tutti, a modi di rimprovero e funestando immaginario collettivo: perché umanità intera è rattristata da idea che realtà di malattia riguardi tutti e sempre ugualmente; allora se tanto cattolicesimo esente o forte e se tanto evangelismo emancipatone o libero, è assurdo che restante cristianità stabilita sia imitata in sue maniere facendo scordare suo distacco ed estranietà.
MAURO PASTORE
((+))
In recensione a pubblicazione che svincola materialismo dialettico da negare religiosità e religioni, accampa, in specie di prima linea, il pensiero della malattia, equiparata a un mondo, il mondo occidentale. Certo un mondo può esser insopportabile o senza futuro; certamente v'era chi ne idoleggiava, altri che ne idolatravano; dell'idolo del Tramonto io vidi farne estremisti di destra, quelli detti "nazi" perché di più brevi intenti e pronti rischi; e chi per odio, chi per accordo, molti ne idoleggiavano, altro idolatravano... Poteva esser un grande evento occidentale invano e ne era spesso; e quando troppo poche idee o nuove per nessuno e nessuna altra, il mondo occidentale era un mondo afflitto; e una sua intera configurazione intellettuale e culturale era senza vitalità e senza altro cercare.
Eppure, solo a ricordarsi i pensieri della infanzia e quante le speranze, chiunque non poteva restare a pensare solo il modo solito di dire "occidentale"; e pensando ai valori religiosi non si poteva accettare che religiosità occidentali potessero esser confuse per insavia; nonostante ciò, a detta di molti Occidente pareva Nulla od occidentale pareva vuotezza; e nel dover pensare al rischio delle catastrofi nucleari, Occidente intero era incertezza di futuro.
Così come lo pensavano coloro che a tutto ciò non ponevano mente, esso non aveva più senso e a volerne tributare per taluni era da smarrire il sennò ((ed anche... infantile 'sennò' cioè il trovar da ipotizzare-negando...)) e per talaltri da rischiare insanità.
In verità anche dopo fine di Guerra Fredda era questo ancora, perché non era assicurato un senso nella fine medesima.
Difatti... a funestare vita occidentale ci pensano i comunicati ove destinatari ridotti taciuti: indicazioni per malati esibite per tutti, a modi di rimprovero e funestando immaginario collettivo: perché umanità intera è rattristata (ed anche intera e rattristata ovvero tristezza rimedio per evitare già il peggio) da idea che realtà di malattia riguardi tutti e sempre ugualmente; allora se tanto cattolicesimo esente o forte e se tanto evangelismo emancipatone o libero, è assurdo che restante cristianità stabilita sia imitata in sue maniere facendo scordare suo distacco ed estranietà.
MAURO PASTORE
In messaggio precedente sistema automatico e condizioni elettromagnetiche da porto marittimo distante (annunciato "da salpare" lontano ma non ancora ne hanno) mi hanno annullato digitazione di senno in sennò... Reinvierò, comunque.
MAURO PASTORE
(+)
In recensione a pubblicazione che svincola materialismo dialettico da negare religiosità e religioni, accampa, in specie di prima linea, il pensiero della malattia, equiparata a un mondo, il mondo occidentale. Certo un mondo può esser insopportabile o senza futuro; certamente v'era chi ne idoleggiava, altri che ne idolatravano; dell'idolo del Tramonto io vidi farne estremisti di destra, quelli detti "nazi" perché di più brevi intenti e pronti rischi; e chi per odio, chi per accordo, molti ne idoleggiavano, altro idolatravano... Poteva esser un grande evento occidentale invano e ne era spesso; e quando troppo poche idee o nuove per nessuno e nessuna altra, il mondo occidentale era un mondo afflitto; e una sua intera configurazione intellettuale e culturale era senza vitalità e senza altro cercare.
Eppure, solo a ricordarsi i pensieri della infanzia e quante le speranze, chiunque non poteva restare a pensare solo il modo solito di dire "occidentale"; e pensando ai valori religiosi non si poteva accettare che religiosità occidentali potessero esser confuse per insavia; nonostante ciò, a detta di molti Occidente pareva Nulla od occidentale pareva vuotezza; e nel dover pensare al rischio delle catastrofi nucleari, Occidente intero era incertezza di futuro.
Così come lo pensavano coloro che a tutto ciò non ponevano mente, esso non aveva più senso e a volerne tributare per taluni era da smarrire il senno ((ed anche... infantile 'sennò' cioè il trovar da ipotizzare-negando...)) e per talaltri da rischiare insanità.
In verità anche dopo fine di Guerra Fredda era questo ancora, perché non era assicurato un senso nella fine medesima.
Difatti a funestare vita occidentale ci pensano i comunicati ove destinatari ridotti taciuti: indicazioni per malati esibite per tutti, a modi di rimprovero e funestando immaginario collettivo: perché umanità intera è rattristata (ed anche intera e rattristata ovvero tristezza rimedio per evitare già il peggio) da idea che realtà di malattia riguardi tutti e sempre ugualmente; allora se tanto cattolicesimo esente o forte e se tanto evangelismo emancipatone o libero, è assurdo che restante cristianità stabilita sia imitata in sue maniere facendo scordare suo distacco ed estranietà.
MAURO PASTORE
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