Recensione di Vincenzo Pavone – 19/04/200
Etica
In un momento storico che ci riporta ogni momento a riflettere su quello che una vita morale possa rappresentare per un società comunemente percepita in funzione delle sua aspirazioni globali, questa raccolta di vari saggi di Charles Taylor, filosofo canadese autore del famoso Sources of The Self, ha un grande valore critico ed euristico. I diversi saggi, che si articolano su vari temi cercando di riprodurre un immagine complessa ma fedele del pensiero di Taylor sull’antropologia etica e filosofica, sanno stimolare il lettore a rimettere in discussione una notevole quantità di postulati filosofici e morali ereditati, spesso inconsapevolmente, dai moderni epigoni di quella tradizione epistemologica che a partire dal Seicento ha rivoluzionato scienza, conoscenza, filosofia e morale.
La rivoluzione epistemologica – Taylor non esita a definirla tale – del Seicento non ha semplicemente cambiato le basi della conoscenza ma anche, e soprattutto, le basi della riflessione morale. Eliminando la prospettiva dell’agente incarnato, che aveva dominato la filosofia occidentale a partire da Aristotele sino alla Riforma, la rivoluzione epistemologica ha iniziato a rivedere l’intera gamma dello scibile umano a partire dalla prospettiva dell’agente distaccato. Come la ricerca scientifica si era soffermata sulle qualità secondarie degli oggetti, cioè quelle qualità che esistono a prescindere dalla relazione tra oggetto ed osservatore, così la riflessione etica è stata costretta ad eliminare i suoi presupposti antropologici per muoversi in direzione di ciò che fosse ‘oggettivamente’ calcolabile. In altri termini, la riflessione morale viene ridefinita in relazioni a valutazioni ‘deboli’ in merito a un fine ultimo, considerato universale e a-problematico, e cioè la felicità umana. Eppure, Taylor insiste, l’uomo non si caratterizza soltanto per la capacità di valutare le proprie azioni in vista del raggiungimento di uno scopo – ambito in cui è strategicamente superiore agli animali e alle macchine – ma deve la propria umanità alla capacità di valutare tra fini diversi, orinandoli gerarchicamente tra loro ed elaborando un quadro complessivo di quella vita morale che ai suoi appare come ‘buona’, degna di essere vissuta.
L’accurata scelta dei saggi operata da Costa è innanzitutto riscontrabile nella capacità del libro di introdurre il lettore nelle problematiche facendolo gradualmente appassionare e, quindi, dandogli la possibilità di inoltrarsi a fondo in tutte quelle discussioni dialetticamente serrate che caratterizzano lo stile inconfondibile di Taylor. Sin dal primo saggio, Oltre l’epistemologia, è possibile trovarsi di fronte a tutti gli interrogativi che segnano – direi quasi tormentano – il pensiero di Taylor. Ma come è possibile, si chiede il filosofo canadese e, in verità noi con lui, che il fascino e l’influenza dell’approccio morale riduttivo, soggettivista, procedurale e distaccato derivato dalla svolta epistemologica di Cartesio, Hobbes e poi Bentham, abbia resistito sino ad oggi nonostante le sue incoerenze siano state già ampiamente messe in luce non solo in campo morale ma anche e soprattutto in quello scientifico? Tale interrogativo, in realtà, è inquietante non tanto in relazione a color che per primi si avventurarono lungo le vie dell’empirismo e del razionalismo quanto in relazione ai suoi epigoni moderni, a cominciare da Bentham sino agli utilitaristi moderni. Va riconosciuto a Costa che quest’interrogativo, che attraversa tutto il pensiero di Taylor, è anche il vero leit-motiv di questa raccolta di saggi e che, pertanto, risulta agevole e coinvolgente seguirne il percorso lungo le pagine e i capitoli. D’altro canto è innegabile che la raccolta soffre un po’ di ripetizioni che si intrecciano e si richiamano da un saggio all’altro, ma ciò è dovuto al riproporsi di tematiche, intuizioni e dubbi internamente alla riflessione del filosofo di Montréal e non certamente alla mancata oculatezza nelle scelte di Costa.
I saggi seguenti vanno al cuore di tutti i dubbi e le incongruenze che saremmo costretti ad accettare qualora volessimo veramente sostenere un’etica derivata dalla scomposizione di fatti e valori, dalla riduzione della complessità del volere morale a una sola dimensione della massima utilità, alla ferrea determinazione razionale delle regole e delle procedure per stabilire il ‘giusto’ e mai il bene. Siamo animali che si auto-interpretano – Taylor non si stanca mai di ripeterlo – e non possiamo rinunciare a questo processo di costante auto-interpretazione, di cui il linguaggio è elemento essenziale e cornice ontologica. Di fronte all’agire umano non possiamo ridurre tutto a valutazioni di preferenze tra aspirazioni deboli, subordinate al conseguimento di una presupposta felicità universale. Al contrario, spesso e volentieri, ci troviamo di fronte a scelte che si basano su un’immagine di contrasto da fini diversi, in conflitto tra loro sul piano del valore e della morale. Di fronte a questi conflitti, inevitabili ma non sempre insolubili, abbiamo il dovere di fare scelte chiare, basate su valutazioni forti, cioè di secondo grado: non dobbiamo solo valutare ciò che desideriamo ma anche ciò che vogliamo desiderare. Non si può nemmeno però, Taylor avverte, rifugiarsi nella soluzione di Sartre della scelta radicale che propone la semplice – e inspiegabile – inclinazione verso una scelta morale piuttosto che verso la sua alternativa, moralmente altrettanto valida.
Valutare ciò che vogliamo desiderare richiama il quadro di riferimento culturale in cui siamo socializzati, gli elementi di identità collegati al linguaggio, alla propria cultura e tradizione, ivi inclusi i quadri normativi religiosi. Era e rimane un attacco tanto all’universalismo utilitarista quanto a quello procedurale. L’universalismo basato sul calcolo oggettivo della felicità in base a una visione ridotta dei fini dell’uomo non è superato dall’universalismo di matrice kantiana che unisce Dworkin, Rawls e Habermas nel tentativo di spostarsi da una riflessione etica basata sui calcoli ad una basata sulle procedure che, universalmente, permetterebbero di stabilire non tanto qual è il bene quanto ‘ ciò che è giusto ’ in quanto giustificato dai risultati della procedura. Non che Taylor voglia davvero rinnegare l’utilità e la pertinenza di questi approcci rispetto a determinati casi e situazioni contingenti alla modernità, ma non può assolutamente accettare che la riflessione venga ristretta in questa direzione in nome di una razionalità scientifica o di un anelito etico universalista.
L’umanità, conclude Taylor, non può prescindere dalla riflessione morale basata sulla ricerca del ‘bene’ non tanto perché, da un punto di vista normativo, ciò sarebbe più giusto o semplicemente più proficuo quanto perché questo tipo di riflessione morale è costitutivo dell’essere umano. La riflessione etica su cui Taylor vuole richiamare giustamente l’attenzione è basata sull’agente incarnato, sulla sua coscienza di essere-nel-mondo, sulla sua identità culturale e linguistica, sulle valutazioni forte e sul tentativo di scegliere tra proposte morali diverse in base alla loro efficacia comparativa (e non assoluta, cioè nei confronti dei fatti, della realtà). Essa non si configura come una possibile variante in mezzo ad altri approcci etici relativi a una concezione dell’umanità neutra, distaccata, razionale e oggettiva. Piuttosto si configura come elemento fondante, essenziale, dell’essere persona umana inserita in una realtà sociale, linguistica, politica, culturale, storica. Se l’uomo non fosse inserito in un contesto linguistico non solo non saprebbe parlare e relazionarsi agli altri e al mondo che lo circonda, ma propriamente parlando non sarebbe nemmeno un essere umano. Alla stessa stregua, si potrebbe dire, l’uomo o è morale o non è.
Ma la morale di cui parla Taylor è una morale che riflette sul bene, non calcola, non osserva procedure auto-legittimanti, ma, seguendo l’antica virtù della phronesis, si pone la questione ontologica della vita buona, quella civica e non soltanto la questione pratica del giusto e della vita comune. In questo, Taylor è convincente nel ribadire che di questo l’uomo, in quanto uomo, non può fare a meno. Certo, è evidente che portando alle estreme conseguenze le premesse e le posizioni di Taylor la moderna di pretesa di oggettività e universalità viene a cadere. Ad essa si contrappone una visione della vita morale complessa, non interamente soggetta al calcolo e alla procedura razionalista, incarnata appunto. Sotto questo aspetto, la filosofia di Taylor non può non risultare ostica e, persino, inaccettabile a coloro che hanno da sempre, incessantemente e infruttuosamente, tentato di sganciare la riflessione etica dalla realtà contingente per lanciarla nell’olimpo della razionalità universale. Ma per tutti coloro che, al contrario, non chiudono gli occhi di fronte all’evidente bisogno di essere soggetti morali incarnati, nella cultura, nel linguaggio e nella realtà sociale di cui partecipano, la scelta di Taylor, che non rinuncia certo al valore del confronto razionale, si rivela liberatoria, coraggiosa e fertile. Certo il fantasma dei conflitti culturali, delle politiche di identità, dell’etnocentrismo, dell’attacco alla libertà sacra dell’individuo e infine della sostanziale anti-democraticità di certe possibili posizioni morali basate sull’identità e sulla ricerca del bene, aleggia sul pensiero di Taylor. Eppure non si riesce mai ad averne davvero paura perché è evidente che tutto ciò che minaccia la realtà sacra dell’individuo è, in fondo, ciò che davvero la costituisce.
Indice
Introduzione
Oltre l’epistemologia
La validità degli argomenti trascendentali
Che cos’è l’agire umano?
Animali che si autointerpretano
Il concetto di persona
Il linguaggio e la natura umana
Spiegazione e ragion pratica
La diversità dei beni
Beni irriducibilmente sociali
La motivazione dietro un’etica procedurale
Appendice. Intervista a Charles Taylor
Indice dei nomi
L'autore
Charles Taylor (Montreal 1931) è professore di Filosofia e Diritto alla Northwestern University of Chicago e Professore Emerito di Filosofia e Scienze politiche alla McGill University di Montreal. E’ autore, tra l’altro, di Hegel e la filosofia moderna (Bologna 1984), Radici dell’io (Milano 1993), Il disagio della modernità (Roma-Bari 1994) La modernità della religione (Roma 2004), Modern Social Imaginaries (Durham 2004).
Il curatore
Paolo Costa è Dottore di Ricerca in Antropologia filosofica. Svolge attività di ricerca presso l’Istituto per le Scienze Religiose di Trento. E’ autore, tra l’altro, di Verso un’ontologia dell’umano. Antropologia filosofica e filosofia politica in Charles Taylor (Milano 2001) e ha curato l’edizione italiana di La modernità della religione.
Links
Un articolo di Dene Baker dedicato a Taylor (in inglese): http://www.philosophers.co.uk/cafe/phil_may2003.htm
Bibliografia tayloriana stilata dalla University of Kent: http://www.kent.ac.uk/politics/research/charlestaylorbib/
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