Recensione di Andrea Fonzo - 21/07/2005
Storia della filosofia (Rinascimento)
Il mito che ha accompagnato l’immagine della filosofia bruniana ha contribuito al diffondersi di un’idea poco coerente con il complesso contenuto del suo pensiero. Al Bruno martire del libero pensiero, al Bruno mago ermetico, Ciliberto contrappone, nel suo saggio monografico, una interpretazione dell’opera del nolano in grado di coglierne il carattere pluriforme, la cui forza consiste nella non facile capacità di imbastire un rapporto dialettico con la tradizione, riuscendo a non venire da essa risucchiato.
Gli anni della formazione presentano un Bruno orientato ben presto in senso antitrinitario e originalmente erasmiano, in una concezione del pensiero nella quale acquista un ruolo centrale la riproposizione del noto Lamento ermetico e la conseguente condanna del secolo “infelice”. La lucidità con la quale Bruno coglie le mediocri bassezze della società cinquecentesca trova sfogo nel Candelaio; mentre le altre opere composte durante il suo primo soggiorno francese, il De Umbris su tutte, presentano un tema che diverrà fondamentale per lo sviluppo in senso ontologico del pensiero della “nova filosofia”: quello della umbratilità.
Ma è nell’arco di tempo che trascorre in terra inglese che Bruno, malgrado le varie e infelici esperienze umane e accademiche, compone i suoi capolavori.
Nella Cena delle ceneri sviluppa una concezione dell’esegesi biblica che, delimitando i rispettivi ambiti di filosofia e religione, mira a stabilire una positiva condizione di convivenza tra Scrittura e ragione, appellandosi alla pluralità di codici linguistici mediante i quali l’uomo può attingere al vero. Nel primo dialogo cosmologico, il De Infinito, Bruno discorre del rapporto tra necessità e immutabilità divine e libertà ed elezione umane, cercando di mantenere lo stesso equilibrio dello scritto precedente. Con Lo Spaccio della bestia trionfante tuttavia, vedendo naufragato il proprio impegno mediativo, Bruno si decide per un attacco diretto alla filosofia e alla religione coeve, presentando la sua opera come rispondente a un’urgenza di rinnovamento. Questa svolta fa leva sulla rilevazione dello stato di crisi del secolo attuale, preda della pedanteria di pseudo-filosofi, ben rappresentata da un personaggio come Poliinnio, nel De la causa, ritratto di un pensiero inerte e abissalmente lontano dalla prassi.
Il passo definitivo verso una problematica di ordine etico-religioso si compie nella Cabala del cavallo Pegaseo ove, riprendendo gli accenti ironici dell’elogio erasmiano, Bruno afferma come la decadenza non sia altro che un prodotto della corruzione operata dalla tradizione ebraico cristiana ai danni di un tesoro culturale e spirituale ben più antico.
Da qui la biografia bruniana, già movimentata, si fa frenetica. L’ultimo scritto inglese è il De gl’Eroici Furori ed è datato 1585; nell’ottobre dello stesso anno Bruno rientra in Francia, nel pericoloso momento dell’avvento al trono di Enrico di Navarra, per poi proseguire in un lungo succedersi di viaggi, polemiche, scomuniche e fughe nelle maggiori regioni europee. Nel corso del lungo travaglio, matura in Bruno la convinzione di essere egli stesso il Mercurio inviato con la missione d’annunciare un nuovo inizio ed è con questo stato d’animo che egli fa ritorno nella penisola italica, a Venezia su invito del nobile Giovanni Mocenigo.
Da qui alla denuncia di quest’ultimo all’Inquisizione, al lungo processo, ricostruito benissimo da Ciliberto, e alla condanna a morte eseguita a Roma nel febbraio del 1600.
Indice
Premessa
Gli anni della formazione e i primi scritti
L'esperienza inglese
Da Parigi a Francoforte
Il ritorno in Italia e il processo
Cronologia della vita e delle opere
Bibliografia
L'autore
Michele Ciliberto è ordinario di Storia della Filosofia all’Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore. Presidente dell’Istituto nazionale degli Studi Rinascimentali, è uno dei massimi conoscitori dell’opera bruniana. Tra i suoi lavori ricordiamo: La ruota del tempo. Introduzione di Giordano Bruno (Roma 1986) e Umbra profunda. Studi su Giordano Bruno (Roma 1999).
6 commenti:
Questa recensione di tal A. Fonzo si presenta quale un abbozzo, non tanto per manchevolezze recensive, quanto per incompletezze di espressioni.
Le date di pubblicazione vanno attentamente considerate tali, i titoli monchi pure, anche le notizie storiche a metà.
È raccontato che Giordano Bruno morì durante il rogo, non che morì a causa del rogo; che attuasse difese costanti e smisurate per astuzia quanto le ostilità, durante prigionia o sole autodetenzioni, perché in realtà le vere prigionie erano brevi ed egli nel resto del tempo usava galera per dimora in allegro dispetto; che ricevesse tormenti ma che ne usasse per non cadere vittima di collassi, dunque che si facesse autoinfermeria ingannando gli sgherri; che avesse gestito con tattica i tempi dell'intero processo per farlo giungere a termine senza inganni altrui, che ci riuscisse e che dunque gli inquisitori non volessero pensar più a cosa dicevano per rabbia e paura; che gli parve opportuno temporeggiare ancora invece che mostrare la loro la colpa sùbito, decidendo Bruno di farla esibire da altra e loro stessa illusione, di propria morte violenta e non per termine naturale... Ed è ovvio dubitare se tanta impresa comunque non gli avesse di parecchio abbreviato la vita; e questo parve a chi non ostile gli era stato vicino; ma di poco o nulla, nonostante fossero veri criminali gli ostili, si dichiarò tale brevità da parte di chi invece lo aveva amato in persona, facendo notare che Giordano Bruno prima della carriera ecclesiastica era conosciuto con altro nome e cognome e biografia pubblica già abbozzata a causa di importanti cose già realizzate... Ma la superiorità di un giusto non esime i colpevoli veri dalle vere accuse. Ugualmente coloro che vogliono sciupare la opportunità dei suoi Dialoghi ed anche la intelligenza del resto delle sue Opere non sono dunque assolti dalle responsabilità proprie benché sia tanta la energia positiva che promana da tali Opere e fin quasi da non credersi o da non sapersi notare. Ciò deve mettere in guardia dal non pretendere parità né scambiare differenza per spreco ma anche dal non sottovalutare l'abnorme talento furbesco degli eredi dei crimini ai tempi della vita del Nolano ovvero Giordano Bruno, per non scordare quante affermazioni vitali costoro ancora sanno o saprebbero ammezzare contro vita e filosofia non solo italiane.
MAURO PASTORE
C'è una parola che forse sarebbe da stimar di troppo nel testo inviato: infatti 'la loro la colpa' potrebbe stare convenientemente per: 'la loro colpa'. Ma leggendo con intonazione appropriata al senso, intendendo "la colpa" nel senso di fatto evidente, e senza usar convenzionalità in formulazione di parole in mente, preferisco quanto si trova scritto già in primo invio.
Il lettore comunque scelga tra le due opzioni.
MAURO PASTORE
La attività filosofica di Giordano Bruno resta più importante di quanto se ne dica o possa dire sempre.
Le Opere in latino di Giordano Bruno sono agli antipodi di quelle in italiano. Il latino di Bruno era arcaico ed avveneristico e gli argomenti astratti o sfuggenti: le sapienze che riferiva giungevano proprio dalle età primitive delle umanità in Europa e neppure già europee, le cui radici io notai erano i racconti ermetici, ovvero notturni, bui, monotoni, dei miti esquimesi, però gli echi dunque dall'Oriente selvaggio o semibarbaro. Gli studi sulla creazione della parvenza, sulle suggestioni, sulla natura e sull'arbitrio, sulle culture delle magie, in se stessi sarebbero neanche dizionario, solo vocabolario, ma lo scopo interno di essi stessi era contro i crimini degli inganni preteschi e dei provocatori di tali inganni, contro le evenienze negative che impedivano alla umanità di sottrarsi a illusioni psicofisiche i cui effetti sono evitabili non fuggendo la suggestione ma discernendovi il vantaggio e la non ingiustizia anche, senza negare la eventualità del danno e della violenza che un suggestionatore può causare. Cosa resta in tal scopo degli echi sapienziali orientali e delle origini ultranordiche, raminghe, della umanità europea? Tutto resta ermeticamente protetto dal latino, da crearsi o per solo memorare intuendo; ma le intellettuali fantasmagorie non sono a loro volta le magie spiegate e il lettore che volesse pensare concrete qualità magiche non potrebbe evitare di trovar giudizio nei venti per il Settentrione e nelle negazioni della cultura orientale ed invece nulla di magico troverebbe in stesso testo latino di Bruno. Le stesse ombre delle idee sono tematica non astratta, perché G. Bruno si ispirò ai cavernicoli prima che al Mito Della Caverna di Platone, eppure quest'ultimo gli aveva dato modo di interpretare i nuovi cavernicoli, ma nessuno di essi "homo novus"; e in definitiva si tratta in tal opera della ambivalenza magica dell'etica ascetica... Eppure Il Candelaio in ultima analisi è l'allegoria serena dell'Iddio che gioca... a creare universali plusvalori, vibrazioni di lumi uguali a domande iniziatiche di cavalieri generosi. Per questo il dramma dell'inganno è il rischio dei viventi per non morire senza soddisfazione. Il relativismo di Bruno conteneva questa saggezza. Era tal filosofo interessato a negare triadi teologiche inverse che riportavano il Dio dei filosofi alla quasi nullità del Divino Uno, perché era tal filosofo uomo religioso, per lunghi periodi in ruolo ecclesiastico, poi fino agli ultiminsuoi giorni dell'anno 'del Signore' 1600. Aveva mostrato la specularità dei sistemi tolemaici e copernicani, questi ultimi sprovvisti di scienza al sèguito, da lui medesimo Giordano Bruno, schiusa: la fisica dinamica illustrata da G. Galilei. Senza mostrare che erano coincidenze su coincidenze i coincidere solari coi fenomeni terrestri, non ci sarebbe stata espressione a poter organizzare la mente per districarsi tra vere ombre non di idee e tra bagliori celesti tutt'altro che divini né avremmo potuto viaggiare coi motori e di ciò non solo gli asini se ne sarebbero adirati. Senza i Dialoghi Filosofici Italiani non sarebbe esistita coordinazione mentale, per nessun italiano, atta ad elevare la mente oltre le coincidenze terrestri-solari e verso le combinazioni solari-terrestri; oppure coordinando tali sforzi per sempre perduti sarebbero stati gli antichi basati non sulle gravità ma sulle masse e non sui lumi ma sui fuochi. Tali dialoghi però non eminentemente letterari ovvero essendo filosofici sono assolutamente colmi di senso nella espressività e con vuoto intellettuale se il lettore non prende le sue mosse da solo, o per la filosofia o di filosofia. Ciò dispiacque in età contemporanea agli intellettuali marxisti ma non dispiacerebbe agli intellettuali che Gramsci chiamò, ed invocò non quale comunista o uomo di parte: organici.
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MAURO PASTORE
MAURO PASTORE :
... Insomma, io penso sia da ribadire che non è possibile sottovalutare le imprese filosofiche di Giordano Bruno senza rinnegare un destino necessario.
MAURO PASTORE
In mio penultimo messaggio 'ultiminsuoi' sta per: ultimi suoi.
Sono costernato per errore che è dipeso non da mia scelta ma da necessità di volgere mia attenzione a rumori dell'ambiente causati indirettamente da disturbatori e peraltro inetti.
Per agio del lettore conto di poter reinviare subito testo corretto.
MAURO PASTORE
La attività filosofica di Giordano Bruno resta più importante di quanto se ne dica o possa dire sempre.
Le Opere in latino di Giordano Bruno sono agli antipodi di quelle in italiano. Il latino di Bruno era arcaico ed avveneristico e gli argomenti astratti o sfuggenti: le sapienze che riferiva giungevano proprio dalle età primitive delle umanità in Europa e neppure già europee, le cui radici io notai erano i racconti ermetici, ovvero notturni, bui, monotoni, dei miti esquimesi, però gli echi dunque dall'Oriente selvaggio o semibarbaro. Gli studi sulla creazione della parvenza, sulle suggestioni, sulla natura e sull'arbitrio, sulle culture delle magie, in se stessi sarebbero neanche dizionario, solo vocabolario, ma lo scopo interno di essi stessi era contro i crimini degli inganni preteschi e dei provocatori di tali inganni, contro le evenienze negative che impedivano alla umanità di sottrarsi a illusioni psicofisiche i cui effetti sono evitabili non fuggendo la suggestione ma discernendovi il vantaggio e la non ingiustizia anche, senza negare la eventualità del danno e della violenza che un suggestionatore può causare. Cosa resta in tal scopo degli echi sapienziali orientali e delle origini ultranordiche, raminghe, della umanità europea? Tutto resta ermeticamente protetto dal latino, da crearsi o per solo memorare intuendo; ma le intellettuali fantasmagorie non sono a loro volta le magie spiegate e il lettore che volesse pensare concrete qualità magiche non potrebbe evitare di trovar giudizio nei venti per il Settentrione e nelle negazioni della cultura orientale ed invece nulla di magico troverebbe in stesso testo latino di Bruno. Le stesse ombre delle idee sono tematica non astratta, perché G. Bruno si ispirò ai cavernicoli prima che al Mito Della Caverna di Platone, eppure quest'ultimo gli aveva dato modo di interpretare i nuovi cavernicoli, ma nessuno di essi "homo novus"; e in definitiva si tratta in tal opera della ambivalenza magica dell'etica ascetica... Eppure Il Candelaio in ultima analisi è l'allegoria serena dell'Iddio che gioca... a creare universali plusvalori, vibrazioni di lumi uguali a domande iniziatiche di cavalieri generosi. Per questo il dramma dell'inganno è il rischio dei viventi per non morire senza soddisfazione. Il relativismo di Bruno conteneva questa saggezza. Era tal filosofo interessato a negare triadi teologiche inverse che riportavano il Dio dei filosofi alla quasi nullità del Divino Uno, perché era tal filosofo uomo religioso, per lunghi periodi in ruolo ecclesiastico, poi fino agli ultimi suoi giorni dell'anno 'del Signore' 1600. Aveva mostrato la specularità dei sistemi tolemaici e copernicani, questi ultimi sprovvisti di scienza al sèguito, da lui medesimo Giordano Bruno, schiusa: la fisica dinamica illustrata da G. Galilei. Senza mostrare che erano coincidenze su coincidenze i coincidere solari coi fenomeni terrestri, non ci sarebbe stata espressione a poter organizzare la mente per districarsi tra vere ombre non di idee e tra bagliori celesti tutt'altro che divini né avremmo potuto viaggiare coi motori e di ciò non solo gli asini se ne sarebbero adirati. Senza i Dialoghi Filosofici Italiani non sarebbe esistita coordinazione mentale, per nessun italiano, atta ad elevare la mente oltre le coincidenze terrestri-solari e verso le combinazioni solari-terrestri; oppure coordinando tali sforzi per sempre perduti sarebbero stati gli antichi basati non sulle gravità ma sulle masse e non sui lumi ma sui fuochi. Tali dialoghi però non eminentemente letterari ovvero essendo filosofici sono assolutamente colmi di senso nella espressività e con vuoto intellettuale se il lettore non prende le sue mosse da solo, o per la filosofia o di filosofia. Ciò dispiacque in età contemporanea agli intellettuali marxisti ma non dispiacerebbe agli intellettuali che Gramsci chiamò, ed invocò non quale comunista o uomo di parte: organici.
MAURO PASTORE
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