Recensione di Luigi Marfé - 16/07/2005
Epistemologia (teoria della complessità)
Oggi, – sospirava caustico Flaiano, – anche il cretino è specializzato. L’ansia di definire e ridurre in parti, la convinzione insomma che per ottenere chiarezza e distinzione occorra far proprio lo spirito analitico della seconda regola della méthode di Descartes, indirizza la ricerca verso ambiti sempre più ristretti. A dispetto della distanza, le scienze si ritrovano sorelle nella pretesa che il mondo vada letto come somma di soluzioni particolari: l’occhio di Leonardo che separa e distingue, il latino di Linneo che segna col dito per nominare, la rigida proporzione tra massa e accelerazione della mela che casca sulla testa di Newton. In questo volume, invece, De Toni e Comello invitano ad un altro modo della conoscenza, il pensiero sistemico, che si offre come spiegazione della realtà in chiave organica, nell’indugio che lega particolare ed universale, nell’attenzione a ciò che avviene come conseguenza impreveduta e vorticosa di cause involontarie. Il battito della farfalla che provoca scompensi inaspettati e il mistero della geometria frattale che disegna le vene sulle foglie sono gli esempi più risaputi della teoria della complessità, quasi l’avvertimento che un’esatta comprensione del mondo abbisogni di un approccio plurale ai propri oggetti.
Se il centro italiano maggiormente impegnato in ricerche sulla complessità è l’Università di Udine e il riferimento internazionale resta l’Istituto di Santa Fe, il pensiero sistemico deve il suo ingresso nell’agenda scientifica al biologo russo Ilya Prigogine, premio nobel nel 1977. Contro le tesi di Jacques Monod, che afferma la casualità della vita, Prigogine propone con Isabelle Stengers un modello secondo cui l’irreversibilità sancita dalla termodinamica può d’altronde divenire fonte d’ordine. Gli organismi viventi non sono un accidente sulla via maestra della natura, l’eccezione intermedia tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, bensì piuttosto si situano nel tracciato del suo sviluppo più logico e necessario, ancorché inavvertito.
Prede o ragni si divide in quattro parti. Le prime due descrivono la teoria della complessità; le altre ne applicano i principi all’economia, per costruire una teoria del management più flessibile e funzionale di quella tradizionale.
Il primo equivoco da fugare è la confusione semantica che intreccia il complesso al complicato. Se si oppone ad ogni forma di riduzionismo, la teoria della complessità non è però resa al disordine, dacché implica uno sguardo comprensivo nel suo insieme (cum-plexum) che non risolva il fenomeno nelle sue pieghe (cum-plicum), ma olisticamente ne sottolinei le relazioni con l’esterno. Oggetto della teoria sono i sistemi complessi adattativi, caratterizzati da numerose connessioni né gerarchiche né lineari: al modo di un gomitolo mal arrotolato. Contro la visione deterministica della fisica classica e della termodinamica ottocentesca, Prigogine considera l’eterogenesi di forma e varianza: come una monade cui si siano spalancate le finestre, l’equilibrio di ciascun sistema resta sempre sull’orlo del provvisorio, aperto alle interferenze più disparate. La concezione del tempo cambia radicalmente, dacché l’irreversibilità dell’entropia appare invece a Prigogine sempre sul punto di ripristinare un ordine: nella somma di stati che il caso può ingenerare, c’è pure il momento dell’equilibrio. In queste pause dal disordine, l’andamento del sistema può essere descritto in anticipo; qualora invece l’equilibrio poggi di nuovo su un bilico instabile, ogni predizione risulta vana, se non in termini di probabilità, come nella fisica quantistica o in biologia, ma anche – è la scommessa del volume – in campo economico.
Come uno stormo di uccelli che in volo sopra i tetti costruisca per aggiustamenti successivi e indipendenti figure regolari quando meno ci s’aspetta, a distinguere un sistema complesso è la capacità di auto-organizzarsi. Se da una prospettiva termodinamica il sistema resta aperto, dacché contrasta la tendenza al disordine dell’entropia, da un punto di vista strutturale è affatto chiuso, dacché interazioni locali possono costruire comportamenti globali ordinati. Tra ordine e disordine c’è il grigio che resta nel mezzo: la dimensione prediletta dalla teoria della complessità è l’orlo del caos, dacché la vita attecchisce solo nella discontinuità di questo territorio sfumato e ambiguo. Sulla scorta di Edgar Morin, tocca allora sostituire la cultura dell’or con una più flessibile cultura dell’and, che, invece di insistere sul prevalere di una prospettiva sulle altre, le scorra tutte senza tenersi ad alcuna. Il sistema necessita della parte e la parte del tutto: il metodo è olistico e l’attenzione va concentrata sul potere delle connessioni. La teoria della complessità trasforma la categoria di causa della logica formale in chiave non deterministica, dacché presuppone un numero di interferenze inesauribile, che ne cancella la linearità per sostenere relazioni circolari che si auto-alimentano. L’orlo del caos sancisce l’impossibilità della previsione; alla consecuzione più rigida si sostituisce la descrizione dei possibili stati che ciascun fenomeno può assumere. La conoscenza procede come try&learn: il ricercatore somiglia all’esploratore che assaggia per tentativi successivi la molteplicità del suo oggetto.
La seconda metà del volume applica la teoria della complessità all’economia. La scommessa è che si possa disegnare un’analogia tra il funzionamento degli organismi viventi e le interazioni del mondo economico. Il limite dell’economia classica sembra infatti l’incapacità di affrontare la mancanza di equilibrio e misurabilità del teatro economico, il numero di configurazioni che può assumere, il ruolo sfuggente del capitale umano. L’azienda è un sistema complesso in un ambiente complesso: prima ancora di preservarne la stabilità, una corretta gestione dovrà mirare ad aumentarne l’elasticità. La complessità va assorbita esplorando nuove strategie dal basso, distribuendo la responsabilità e favorendo soluzioni oblique per mezzo di ragionamenti intuitivi e analogici.
Nel campo del management, auto-organizzazione significa coincidenza di competizione e cooperazione; se all’interno dell’azienda la competitività favorisce la collaborazione e viceversa, nei rapporti con l’esterno, le alleanze strategiche sono imprescindibili. Per sopravvivere sull’orlo del caos, l’azienda dovrà insistere sulla disorganizzazione creativa, favorendo i progetti e le innovazioni che vengono dal proprio capitale umano con una forte distribuzione del comando ed una gestione attenta ad imparare dai propri errori. Essenziale è allora la condivisione, su tre livelli distinti: da un punto di vista organizzativo, come spirito di gruppo, quindi sociale, come ricerca di valori comuni, infine strategico, come visione del futuro capace di rompere l’attesa e scuotere il mercato. Il successo dipende dalla capacità di immaginare e costruire gli scenari futuri; il cambiamento si cavalca solo con la flessibilità e la prontezza a cogliere i segnali deboli. L’immagine più ficcante è allora proprio la ragnatela che sta dietro alla metafora del titolo, caratterizzata com’è da connessioni forti e confini indefiniti, vale a dire coordinamento informale secondo un principio funzionale di network organization. La consapevolezza dell’eterogenesi delle cause e degli effetti spinge alla ricerca di circoli virtuosi che si alimentino da se stessi, legando a vicenda innovazione e sviluppo. La learning organization va volta dunque alla produzione di modelli di apprendimento, da scrollare poi rapidamente da sé per mettersi in caccia di altri più nuovi.
Il management della complessità segna una strada di sviluppo insistendo sull’attimo creativo e sull’importanza del cogliere le occasioni, intendendo la conoscenza come collaborazione e competizione, dialettica di ordine e caos, stabilità cristallina e immaginazione crepitante, sfumature e invarianza.
Gli obiettivi ambiziosi del libro comportano dei rischi. Il pensiero sistemico mestola tra i suoi ingredienti ogni aspetto del mondo, proponendosi come visione d’insieme e metodo universale. Il ragionamento si serve talvolta di paragoni che lasciano stupefatti, dalla selva oscura di Dante ai cioccolatini di Forrest Gump; il passaggio ricorrente dall’italiano all’inglese costruisce un suo universo di riti ed eroi, che sceglie per profeta Tronchetti Provera. L’insistenza sul momento creativo del dream può forse apparire ingenua; dietro la ridda di citazioni resta però il fascino della teoria di Prigogine e la scommessa che l’ordine nasca come effetto involontario e incostante dell’entropia. A contare veramente non è allora la maglia di interpretazioni che l’inquirente cala sui suoi oggetti, ma il fascio di relazioni fragile e ricco che si dipana da questi. L’analogia tra la vita degli organismi e delle società e la fiducia in ciò che è lento e vulnerabile e ostinato portano con sé un afflato metafisico innegabile, una poetica di contiguità del reale, l’aprirsi di un’ora, l’inaspettato ancorché possibile. Nel pulviscolo delle infinite combinazioni, di ciascuna possibilità non importa se sia accaduta davvero perché potrebbe accadere ogni giorno, è già accaduta o accadrà: sui virgulti più sottili la geometria frattale scopre di non sapere dove finisca l’albero e dove cominci il cielo.
Indice
Prefazione
Introduzione
Ringraziamenti
Dalla scienza classica alla teoria della complessità
I sette principi della teoria della complessità
Dal management tradizionale al management della complessità
I sette principi della complessità applicati al management
Appendice 1
Appendice 2
Appendice 3
Bibliografia
Indice delle figure
Indice analitico
Gli autori
Alberto Felice De Toni è professore ordinario di Strategia e gestione della produzione e di Gestione dei sistemi complessi presso l’Università di Udine. È presidente del corso di laurea di Ingegneria Gestionale e direttore del Complexity Management Research Programme.
Luca Comello è stato project researcher in programmi di ricerca europei del Laboratorio di Ingegneria Gestionale su temi quali complessità, creatività, innovazione, e change management. Attualmente lavora nella direzione Research & Development della Illycaffé di Trieste.
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