mercoledì 27 luglio 2005

Terminio, Nicolò (a cura di), Dalla psicosi all’amore. Filosofia e psicopatologia in dialogo.

Caltanissetta, Centro Studi Cammarata (Sintesi e proposte, 37), 2004, pp. 221, € 9,50, ISBN 88-8243-114-2.

Recensione di Carla Maria Fabiani – 27/07/2005

Psicoanalisi, Filosofia teoretica (ontologia)

La sfida lanciata dalla raccolta di saggi che qui presentiamo - una riflessione a più voci sul tema del riconoscimento/rimozione dell’Altro - è già in sintesi dichiarata nel titolo: mettere insieme competenze assai diverse ma convergenti. Filosofia e psicopatologia convergono infatti almeno su un punto, di sostanziale rilevanza: l’incontro con l’Altro, nell’essere umano, provoca davvero alterazione di Sé, della propria identità, del proprio linguaggio, delle proprie abitudini, emozioni ecc. L’irriducibilità dell’Altro ai propri processi di individuazione fa sì che si abbiano, in sostanza, due possibili risposte da parte del soggetto coinvolto: riconoscere o rimuovere. Inoltre, e non a margine, l’alterità risulta essere costitutiva non solo dell’intersoggettività (realizzata o meno che sia) ma, e a questa intimamente connessa, dell’intrasoggettività, ovvero di quella dimensione dell’Io (principio di soggettività psichica e pratico-esperienziale), che non trova nell’Altro un estraneo – come la vulgata spesso ritiene – ma proprio Sé. Avvertire l’Alterità ut sic intrinsecamente connessa con l’ipseità, lascia spiazzato il pensiero dell’identità, l’IO=IO, la coerenza logico-linguistica, ma, e questo è ciò che più preme, provoca irreversibili alterazioni dell’IO, nel bene o nel male.
Ciò che qui viene proposto è un percorso di ‘riscoperta’ della psicosi e dell’éros – derivanti entrambi da inevitabili e reciproche alterazioni dell’identità soggettiva – sia in riferimento a tematiche classiche della storia della filosofia (da Platone a Edith Stein), sia in riferimento a temi di carattere strettamente psicopatologico (la “forclusione” del Nome-del-Padre in Lacan o la psicopatologia progressiva in G. Benedetti).
Riscoprire la coppia amore&psicosi vuol dire, in sostanza, riscoprire l’uomo: capire cioè, senza mezzi termini, la linea di confine sulla quale l’essere umano non può che altrimenti essere. Diremmo, un’ontologia bina o ‘alterata’, quella su cui si fonda l’essere dell’uomo. Eppure, tale fondamento, sebbene sia fonte di contraddizioni/rimozioni psicotiche, conduce, secondo la lettura proposta dagli autori, anche all’amore.
Seguendo il testo di Valentini (Nostalgia dell’assente e desiderio di senso. La concezione platonica dell’Éros ed i suoi riflessi nel primo romanticismo tedesco), l’amore si presenta come quella chiave privilegiata di lettura dell’umano, che ne rivela una sorta di doppio statuto ontologico: l’amore è quella umana “passione d’immanenza” e, contemporaneamente, quel “desiderio di trascendenza”, che spingono l’individuo oltre i suoi limiti costitutivi, verso l’Assoluto fichtianamente inteso: una tensione vitale che ci rivela costantemente all’altro (Was du liebest, das lebest du) e che, proprio come la vita, non smette mai di tendere oltre.
Oppure, l’amore è l’empatia di Stein (Pisa, L’empatia in Edith Stein «un vivo contatto interiore»), dove la corporeità (e l’intercorporeità) assume tutta la rilevanza che le è dovuta, quando in gioco non abbiamo soggetti logici (un soggetto di contro a un oggetto), ma “persone senzienti”, che si sentono tali solo nella reciprocità della dimensione psicofisica. Secondo la Stein, a partire da questa dimensione, possiamo accedere al “mondo dei valori”; beninteso, non è un regno di oggetti precostituiti, ma proprio creati dalla relazione empatica fra io psicofisici.
Sebbene l’empatia sia dunque fertile luogo d’incontro con l’altro, rivelando al contempo i tre momenti costitutivi della persona (corpo, anima e spirito), essa ha dei forti limiti, evidenziati proprio da Stein. L’Einfühlung non è totalizzante immedesimazione interpersonale. “Ecco, quindi, che il limite dell’empatia, ne svela anche la sua vera ricchezza: l’invalicabile alterità dell’altro” (p. 72).
Il testo di Terminio (La forclusione del Nome-del-Padre: la psicosi in Jacques Lacan) ci introduce alla lettura della psicosi in chiave lacaniana. Nell’esperienza psicotica si verifica una sorta di “buco nel simbolico” ovvero di incapacità totale, da parte del soggetto psicotico, di riconoscersi nell’Altro, ovvero di sostare in quel luogo simbolico, in cui, proprio perché non sostiamo in noi stessi, acquisiamo tuttavia la capacità di vivere esperienze autenticamente intersoggettive: colgo cioè l’altro come simbolo (come Altro) della mia  (temporanea) assenza-mancanza a me stesso. In quel luogo – grazie all’entrata in scena del Nome-del-Padre, e cioè della funzione ch’esso rappresenta nell’Edipo freudiano riletto da Lacan: spezzare la “diade immaginaria madre-bambino” – noi troviamo il significante, ossia quella dimensione simbolica (da cui poi far discendere l’analoga struttura fra linguaggio e inconscio) al cui interno solamente possiamo sostenere il sacrificio dell’assenza-perdita di noi stessi: la perdita della nostra identità o della simbiotica identificazione immaginaria e originaria del bambino con la madre.
“Il padre risarcisce il sacrificio pulsionale del bambino con un dono simbolico [...] L’intervento del Nome del Padre è dunque necessario affinché il soggetto trovi posto in un apparato simbolico. Nella struttura psicotica non è invece avvenuta l’iscrizione nel luogo dell’Altro” (pp. 108-109). La psicosi, come forclusione dell’Altro (preclusione a noi stessi del Nome del Padre, del piano simbolico, del luogo dell’Altro), costituisce un vero e proprio rigetto della possibilità, che umanamente ci è data, di sostituire la perdita di noi stessi a livello immaginario-pulsionale, proprio con l’acquisizione o il passaggio a un livello altro da quello fuori-simbolico. Qualora l’incontro con il luogo dell’Altro avvenga nel punto in cui il Nome del Padre è precluso – nel punto in cui non riusciamo a simbolizzare la perdita – allora si scatena la psicosi, da intendersi come “catena di disastrosi tentativi volti ad arginare ciò che era stato escluso dal simbolico e che adesso ritorna nel reale sotto forma di fenomeni elementari o anideici” (p.112). Come rimediare a tutto ciò? Come acquisire ciò che ci è stato da sempre precluso? Condurre lo psicotico attraverso l’invenzione o quella sorta di creatività che “spinge il soggetto al di là di una presenza nel mondo inserita soltanto in anticipo nel linguaggio e già forclusa in esso” (p. 114). Di nuovo, tale invenzione, sembra assumere le sembianze di Amore.
La sfida è lanciata decisamente da Cerasa (L’amore nell’incontro con la psicosi: una sfida esistenziale), nella proposta di una attenta rilettura della Psicopatologia Progressiva di G. Benedetti, da cui poi far derivare l’ormai “ineludibile necessità di realizzare un incontro fra la dimensione clinico/psicoterapeutica e la psicopatologia fenomenologico-esistenziale. E la proposta di un’antropologia dell’incontro” (p. 168). Diremmo che la sfida psicoterapeutica – oltrechè filosofica – si gioca tutta sulla ricerca di un’antropologia dell’Amore per contrasto o in sostituzione a un’antropologia della Psicosi: “La dualità dell’amore non sottrae nulla all’ipseità, né viceversa; anzi, il sempre maggiore e sempre più perfetto essere-insieme corrisponde ad una profondissima intenzionalità egoica” (p. 167).
La dualità dell’essere umano – il suo essere sé e altro da sé, ovvero il suo essere intimamente intersoggettivo pur rischiando la perdita di sé  – vista come fonte inesauribile di esistenze psicotiche o ai limiti della psicosi, può, anzi deve, secondo gli autori, diventare fonte altrettanto inesauribile di incontri colmi di espressività altamente condivisa e sempre condivisibile. Colmare lo spazio rimasto vuoto dell’Altro, il “buco nel simbolico”, con instancabili atti d’amore.
Concludiamo brevemente con una riflessione a riguardo. Vorremmo esprimere una perplessità, un dubbio o meglio un sospetto. Pensiamo al Male e il suo perdono di hegeliana memoria; supremo vertice del riconoscimento intercoscienziale che approda liberamente all’autentica intersoggettività, allo Spirito assoluto. Ebbene, tale riconoscimento, a detta di Hegel, può anche non verificarsi, non è detto che si realizzi, sebbene sussistano tutte le condizioni a che ciò avvenga. In altre parole, lo spirito dell’uomo è tale per cui, anche in un contesto di massima comunicazione e compartecipazione con l’altro, esso può – questa è la sua libertà – chiudersi a riccio e rinunciare, rigettare la comunanza con l’altro: l’anima bella è il “cuore duro” che rifiuta la continuità con l’altro. Allora, il sospetto è che possano verificarsi resistenze insormontabili (il “punto” dell’IO) anche quando Amore si manifesta come l’unica via d’accesso alla riconciliazione di sé con il proprio Altro. Sulla natura di tali resistenze, la raccolta di saggi qui presentata apra una via ‘operativa’ di ricerca assai feconda e decisamente innovativa.

Indice

Presentazione di Rosa Bruni

Introduzione di Nicolò Terminio


Nostalgia dell’assente e desiderio di senso. La concezione platonica dell’éros ed i suoi riflessi nel primo romanticismo tedesco di Tommaso Valentini


L’empatia in Edith Stein: «un vivo contatto interiore» di Laura Pisa


La relazione intersoggettiva nello sviluppo della realtà psichica di Nicolò Terminio


La forclusione del Nome-del-Padre: la psicosi in Jacques Lacan di Nicolò Termino


L’amore nell’incontro con la psicosi: una sfida esistenziale di Federica Cerasa


A mo’ di postfazione. Dall’alienità all’alterità attraverso la scrittura letteraria di Carmelo Samonà di Massimo Naro


Il curatore

Nicolò Termino è psicologo frequentatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, allievo dell’Istituto freudiano per la clinica, la terapia e la scienza di Roma e borsista del Centro Universitario Cattolico.

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