Torino, Bollati Boringhieri, 2005, pp. 260, € 18,00, ISBN 88-339-5766-7.
Recensione di Alessandro Giannelli – 09/11/2005
Logica
L’opera di Rigamonti – come recita il titolo – non vuole presentarsi come un manuale di logica, ma come un’introduzione ai concetti fondamentali della logica: conseguenza, contraddizione, verità, connettivi, quantificatori, alberi, deduzione naturale, insieme e funzione. La trattazione è volutamente discorsiva e, ove possibile, con un apparato formale minimo al fine di rendere chiaro ed esplicito il quadro teorico e l’idea generale che motiva e sostiene i principali teoremi, formalizzazioni e tecniche risolutive. Per tale ragione i temi trattati si limitano agli aspetti elementari della logica classica del primo-ordine e a una breve introduzione alla logica del secondo-ordine. Particolare attenzione è comunque fornita ad alcuni problemi di natura storico-fondazionale: (1) il passaggio dalla logica aristotelica a quella fregeana, (2) la semicompletezza della logica del primo-ordine e incompletezza della logica del secondo-ordine, (3) le relazioni tra il concetto di infinito non numerabile di Cantor e il teorema di Lőwenheim-Skolem, (4) la differenza tra i risultati di incompletezza di Turing e Gődel.
Nella prima parte del libro vengono considerate diverse possibili definizione della logica:
(a) scienza delle verità universali, cioè di quelle verità che valgono per tutti gli oggetti possibili.
(b) scienza delle verità formali, cioè di quelle proposizioni vere in virtù della forma e non del contenuto (di cosa dicono).
(c) scienza della dimostrazione: “Che significa dimostrare?”.
(d) analisi dei concetti di conseguenza e contraddizione: “Che significa che p segue da q?”; “Quand’è che ci contraddiciamo?”.
Poiché tutte le definizioni eccetto la (d), anche se tra loro equivalenti, necessitano di un rigoroso apparato formale, al fine di essere esposte e valutate, Rigamonti assume (d) chiarendo subito che “la logica non è lo studio di un qualcosa detto ‘pensiero’ (ma certe volte anche ‘coscienza’, oppure ‘soggetto’) ma solo di leggi – relative per esempio alle relazioni di contraddizione e conseguenza – considerate senza fare riferimento in via preliminare a un’entità o sistema o processo cui si possa dare, non artificiosamente uno di questi nomi” (p. 17).
La scelta di presentare la logica a partire dalla relazione tra il concetto di contraddizione e di conseguenza, ampiamente trattata nel capitolo 2, permette di introdurre il concetto di validità logica in modo piuttosto intuitivo e rendendo conto del valore non solo formale del concetto di conseguenza. La definizione (canonica) di conseguenza fornita da Rigamonti è la seguente: (C) “una proposizione segue da un insieme di proposizioni se e solo se l’aggiunta della sua negazione a questo insieme genera una contraddizione, oppure è essa stessa la negazione di una proposizione che contraddice l’insieme” (p. 47). Un primo vantaggio di tale definizione consiste nella possibilità di introdurre il concetto di validità come preservazione di una proprietà (cioè la verità, in termini classici) da un insieme di proposizioni a una proposizione. Inoltre, la relazione stabilita da Rigamonti tra conseguenza e contraddizione ha un’importante implicazione: se vale (C) allora, dato uno schema proposizionale qualsiasi, la sua eventuale contraddittorietà non è determinata soltanto dalle proposizioni che esso contiene ma anche da altre proposizioni. Pertanto, possiamo rendere conto anche di inferenze la cui validità non è (almeno immediatamente) spiegabile in termini formali: da ‘Roberto è nato a Bergamo’ segue validamente ‘Roberto è nato in Lombardia’, ma per trattare come valida tale inferenza dobbiamo sapere che Bergamo è in Lombardia; tuttavia a prescindere da quello che sappiamo l’inferenza è valida – e (C) è in grado di spiegarlo perfettamente.
Nella seconda parte, in maniera più o meno formale, l’autore introduce l’apparato standard della logica enunciativa – che verrà poi ripreso e approfondito della parte terza. Di particolare interesse appare, nella terza parte, il paragrafo sulla grandezza degli universi e le sue conseguenze. Come ricorda Rigamonti, a partire dai risultati di Cantor, la teoria degli insiemi conduce all’idea che esista una infinità più che numerabile di oggetti – dove con infinito numerabile s’intende un insieme come l’insieme dei numeri naturali e con infinito non numerabile s’intende un continuo, per esempio, un segmento di retta, ovvero un insieme tale che non esiste una biezione dal primo al secondo. Allo stesso tempo il teorema di Lőwenheim-Skolem afferma che se una formula ben formata del primo ordine ha un modello infinito, allora ne ha anche uno infinito numerabile. La tensione tra le due affermazioni è piuttosto evidente: se l’universo degli insiemi è più che numerabile, come è possibile che se esiste un modello per tale teoria allora ne esista anche uno numerabile? Ovvero, come è possibile che una teoria che implica un’infinità più che numerabile di cose ammetta un modello numerabile? Per rispondere a tale domanda si possono scegliere due vie, come sottolinea Rigamonti: (a) si può accettare la contraddizione e mettere da parte la teoria degli insiemi, oppure, vista l’importanza di tale teoria, (b) affermare che il numerabile esiste “dentro” la teoria degli insiemi ma non “fuori”. Tuttavia, secondo Rigamonti vi è una terza via che evita un problema a cui (b) va in contro. L’idea dietro (b) è che in un modello G troviamo sempre due oggetti M e M’ (dove con modello s’intende: dato un universo di oggetti U, e una interpretazione I dei segni non logici di una formula H, se I soddisfa in U H allora I è un modello per H), tali che l’uno è più potente dell’atro ma non vi è biezione tra i due (cioè, abbiamo due infiniti ma uno più denso dell’altro), soltanto ci appaiono tali soltanto “dentro” il modello e non “fuori”. Infatti, dati i risultati di Cantor, la biezione tra M e M’ (sia M’ semplicemente l’insieme potenza di M, ovvero l’insieme di tutti i possibili sottoinsiemi di M) è essa stessa un insieme, ma non può esistere all’interno della teoria degli insiemi. Tuttavia, abbandonando la formalizzazione della teoria degli insiemi, e quindi assumendo una diversa interpretazione di essa, per il teorema di Lőwenheim-Skolem, U non può che essere numerabile, e così tutti i suoi sottoinsiemi infiniti – come M e M’. Tuttavia, questa soluzione genera il seguente problema. Una formula come "xy$z (xy=z2) è falsa se il dominio sono i reali, ma è vera se ci riferiamo ad un universo-singoletto (cioè con un solo oggetto), poiché diventa, banalmente, xx = x2. Ma da ciò non concludiamo – diversamente da (b) – che tutti i modelli di "xy$z (xy=z2) sono singoletti; e allora perché dovremmo affermare che se U è numerabile tutti i modelli della teoria degli insiemi sono numerabili? Tuttavia – come osserva Rigamonti – si può evitare tale problema affermando che il teorema di Lőwenheim-Skolem riguarda i modelli di una teoria degli insiemi formalizzata i cui predicati non hanno un significato, ma possono essere interpretati come predicati insiemistici. Ora se ciò è vero è possibile individuare un’interpretazione non-insiemistica che – per il teorema in questione – genera un modello numerabile. Al di là del contenuto formale di questa sezione, forse tra le più elaborate del libro, Rigamonti chiarisce in modo abile e comprensibile un punto molto importante, che difficilmente trova posto in “manuali” di natura introduttiva, e cioè che il concetto di transfinito (ovvero di infinito non-numerabile) non necessariamente conduce a un rifiuto della teoria degli insiemi e che la tensione generata dal teorema di Lőwenheim-Skolem è solo apparente. Inoltre, la trattazione del teorema di Lőwenheim-Skolem spicca tra le altre sezione del libro per un'altra ragione. Diversamente dai capitoli più propriamente tecnici – in cui vengono esposte particolari tecniche risolutive e definizioni delle costanti logiche – l’esposizione del teorema di Lőwenheim-Skolem ha un merito didattico peculiare: utilizzare le competenze acquisite dal lettore per affrontare una prima discussione critica di due importanti risultati della logica moderna. Pertanto, questa sezione ha una natura “applicativa”, nel senso di mostrare al lettore il tipo di discussione critica che caratterizza la valutazione filosofica di argomenti, teorie o teoremi: chiarire quali siano gli assunti fondamentali alla base di una certa linea interpretativa e che generano il problema in questione. Nel caso preso in considerazione ciò si traduce nell’osservare che il problema in questione si genera nel momento in cui si perde di vista il fatto che in una formalizzazione della teoria degli insiemi i predicati hanno un significato solo quando vengono interpretati, per esempio – ma non necessariamente – come predicati insiemistici. Un tale contributo didattico è spesso assente nei manuali di logica a causa di una eccessiva attenzione agli aspetti formali e ai tecnicismi. Diversamente, Rigamonti bilancia la tecnica con la riflessione offrendo la possibilità di capire la logica prima di saperla fare, di capire il suo sviluppo storico e teorico sapendo riconoscere e valutare le relazioni e il significato dei più importanti teoremi e risultati teorici. Per queste ragioni, il libro di Rigamonti si presenta come un ottimo supporto alla lettura di un manuale di logica “canonico”.
Indice
PRELIMINARI FILOSOFICI
Fondamenti della Logica
Conseguenza e contraddizione
Dubbi Problemi
Gli operatori logici
LOGICA ENUNCIATIVA
Connettivi e Formule benformate
Regole d’introduzione ed eliminazione
Funzioni e Tavole di Verità
Alberi e Derivazioni
Il teorema di Plausibilità e il problema della completezza
Forme Normali e metodo di risoluzione
La completezza della deduzione naturale
LOGICA DEL PRIMO ORDINE
La sillogistica aristotelica
I quantificatori
Regole deduttive per i quantificatori
Intermezzo: insiemi e infiniti
Semantica della logica del primo
La grandezza degli universi e le sue conseguenze
La semicompletezza della logica del primo ordine
ESTENSIONI
Godel scopre l’indecidibile
Macchine, numeri e commutabilità
Cenni sulla logica del secondo ordine.
L'autore
Gianni Rigamonti, nato a Milano nel 1940, laureato in filosofia nel 1965 presso l’università Statale, insegna logica e filosofia della scienza presso l’università di Palermo.
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