mercoledì 4 gennaio 2006

Castelli Gattinara, Enrico, Pensare l’impensato.

Roma, Meltemi, 2004, pp. 331, € 23,00.

Recensione di Maurizio Der Suchende - 04/01/2006

Morbide curve o turgide linee? La vita invoca entrambe.

‘Pensare l’impensato’: leggiamo il titolo di un recente libro di Enrico Castelli Gattinara e potremmo essere assaliti dalla tagliente considerazione che suona più o meno così: “Ecco l’ennesimo aspirante filosofucolo che si attorciglia intorno a questioni arzigogolate, che al massimo potrebbero interessare (ed entusiasmare? mah …) chi le pone e la sua ristretta e misera accozzaglia di amichetti e farfalline!”
Invece, no. Proprio no. Non è questo il caso. Già dopo aver letto la sola Introduzione, ci scappa un’esclamazione più o meno siffatta: “Ah! Finalmente qualcuno che intraprende un (periglioso?) viaggio di ricerca non all’interno di un singolo e angusto paesaggio, ma per attraversare i paesaggi, i mondi che colorano e materiano il nostro vissuto a prescindere dalla nostra claudicante e microscopica consapevolezza.” Non è un viaggio del dotto, cioè di colui che si reputa depositario di un coacervo di principi, regole, nozioni, da elargire a noi poveri ignari, ma è il viaggio del sapiente, di colui che sa di non sapere, che non si ferma a questa constatazione e che, proprio per questo, si mette alla ricerca meravigliosa e meravigliata dei sottili ma robusti filamenti che intrecciano la trama dei mondi antropici e naturali che ci circondano e ci pervadono.
Permettetemi di chieder a lor signori: vi interessa intraprendere un viaggio che può essere dispiegato attraverso un particolare punto di vista, che è quello di voler sistematicamente conseguire la finalità di oltrepassare, anzi di immergersi nei confini e nelle intersezioni fra le varie e molteplici pratiche culturali umane (la filosofia, l’arte, la scienza, la psicologia)? Un viaggio che fin dai suoi presupposti tende a cogliere la prospettiva poco praticata nella cultura occidentale di una radiosa e feconda contiguità fra le varie pratiche culturali umane? Vi seduce la flessuosità del peregrinare e la morbidezza delle curve? Questo è uno dei libri che fa per voi.
Se, invece, vi seduce di più il confine, la turgidità, il rettilineo, il conchiuso, immobili e mortiferi, lasciate perdere. Continuate a bearvi nelle vostre asfittiche gabbie esistenziali (concettuali e pratiche). Lungi da noi il bieco fine di voler turbare i vostri sonnacchiosi vissuti, le vostre rocciose e immobili, e quindi mortifere, certezze. Ci può solo dispiacere che i vostri sguardi, le vostre posture, i vostri sospiri, urlano la vostra paura, dis-velano inconfessabili pulsioni, e che delle vostre comprensibili paure e delle vostre terribili pulsioni molti se ne nutrono per satollarsi di potere e (vana)gloria.
(Ri)pensare gli abituali concetti segnati dai termini filosofia, arte, scienza, io, bellezza, estetica ed epistemologia. (Ri)pensare presupposti come la molteplicità, il confine, il limite, il semplice, il corpo, lo spazio, la bellezza. In questi termini, allora, va inteso l’ossimoro ‘pensare l’impensato’.
L’impensato finalmente pensato?
Il viaggio si inaugura con la scena della crisi della centralità dell’io nella cultura occidentale contemporanea e da qui si dispiega fra i bordi per lo più immaginari che delimitano le varie discipline della cultura umana: fisica, filosofia, psicologia, estetica, epistemologia, pratiche artistiche e pratiche scientifiche.
L’Autore ci suggerisce che non dobbiamo sgomentarci a causa dello spaesamento indotto dalla de-centralizzazione, anzi ‘a-centralizzazione’ del soggetto, dell’io, rinvenibile – guarda caso – quasi contestualmente nella letteratura e nell’arte in generale, nella filosofia, nelle discipline scientifiche. Anzi, ci invita a cogliere tutto ciò come una preziosa occasione per individuare e/o nutrire enormi potenzialità innovative, impensati percorsi di ricerca e azione.
Quindi, rivoluzione ‘a-centrica’: l’Autore ci rammenta che si può avere una prospettiva ‘centrata’ (per esempio, sulla Terra, sull’uomo), una prospettiva ‘de-centrata’ (il soggetto è ancora lì a far valere le sue istanze dogmatizzanti, sia pure in un rapporto dialettico con un altro da sé), ma soprattutto c’è una prospettiva ‘a-centrata’, dove il focus non si sposta da un centro ad un altro, ma dove – non essendoci centri di irradiazione o di statico e reiterato riferimento – sono presenti molteplici incroci da cui si distendono vie di incessante flusso esperenziale. Ed è questa, come ci ha già da tempo segnalato l’eretico Nolano, la prospettiva più feconda, ma soprattutto più aderente al vissuto materiale e antropologico di ciascun essere umano.
Accanto a questa a-centralizzazione dell’io va colta la sua “diluizione”, ma anche e soprattutto “la sua intima e inaggirabile complessità.” (p. 103)
E, allora, “cosa ci fa l’io nella scienza?” (cap. secondo, pp. 43-73). Posto che anche le scienze (ma, forse, sarebbe più rigoroso dire le discipline scientifiche?) sono un qualcosa di intimamente sociale, né solo soggettivo, né solo oggettivo, “esse sono prese in un tessuto di relazioni che ne rende ragione e al quale contribuiscono a dare ragione. L’io ne fa parte, a condizione di essere anche lui una cosa fra cose, un terzo e non più un primo. Né oggetto, né soggetto, ma crasi, incrinatura, o tramite, dove si svolgono effettivamente le cose, dove accade l’evento del conoscere e del capire. Dove si lascia un’impronta e s’incrociano le vie. L’io come un crocevia, un nodo della rete.” (p. 70)
È proprio questa diversa prospettiva, fra l’altro, a sollecitare un tuffo nelle sfumature di confine che segnano le relazioni fra arte in generale, le pratiche artistiche in particolare, ed epistemologia, o più concretamente le pratiche scientifiche. Sono sfumature che non annebbiano, ma che ci consentono di cogliere impensabili aspetti di concetti e pratiche rilevati da pochissimi artisti, pensatori e scienziati occidentali: per esempio, “la complessità del semplice” (cap. quarto, pp. 103-124); “s-delimitazioni scientifiche”, che (ri)guardano la verità come orizzonte infigurabile, dove si intravede un poliedrico incrocio fra filosofia, scienza e arte (cap. quinto, paragr. 6, pp. 153-158); altro terreno comune della filosofia, della pratica scientifica e di quella artistica, è l’esperienza (cfr. per es. il paragrafo ‘L’esperienza come gioco’, pp. 188-194); la costitutiva qualità relazionale di concetti come ‘spazio’, ‘corpo’ (che, fra l’altro, ci vien di domandare se sia anche origine e fonte dell’Etimologia), ‘forza’ (cfr. in particolare i capitoli decimo e undicesimo, rispettivamente pp. 249-264, 265-286).
Forse, il maggior rammarico che si può provare nel leggere questo saggio di Enrico Castelli Gattinara è quello di aver assistito a un che di solo mostrato (la dislocazione, la ri-formulazione di concetti, pratiche e vissuti), senza avviarsi per un nuovo sentiero di ricerca e/o azione. Ma, forse, questo è un compito che l’Autore stesso ha implicitamente ma programmaticamente lasciato a chi inter-agisce con lui tramite queste sue riflessioni.
Dopo aver ‘gustato’ questo libro, una soave e persistente ingenuità ci spinge a chiedere: ma allora perché si propinano ancora quelle fesserie sulla solidità dell’io, sul concetto del bello, sulle gerarchizzazioni della scienza, soprattutto nei luoghi e nei tempi (in)formativi per ciascun essere umano socializzato?
Il testo si offre come una preziosa occasione per affinare la propria (in)formazione di ‘fare sapiente’ e, quindi, di ‘essere sapiente’, un essere che è un divenire perpetuo che si immerge nelle pratiche e scientifiche e artistiche con una lucidità e una gaiezza indispensabili per poter godere, gioire, del cambiamento che circonda, ci pervade, per cogliere intrecci e intersezioni che nutrono la filosofia, l’arte, la scienza, insomma la vita quotidiana di tutti gli esseri umani, di là dalle ossessive e (auto)castranti, asfittiche, condizioni del limite invalicabile e dello specialistico.
Del resto, il cambiamento non è solo nella nostra testa, è nell’universo antropico e fisico che ci circonda e che anzi ci pervade.
Questo saggio ci invita ad assumere una (nuova?) diversa prospettiva: quella che si nutre delle sfumature che diluiscono i campi della conoscenza e delle pratiche umane in un ordito senza limiti condivisi(bili) e ci parla di molteplicità, della fecondità degli stessi limiti e confini, delle relazioni fra più, più che delle cose in sé. È una gustosa panoramica che ci permette di calarci anche nelle turbolente e nebbiose incrinature dell’io, nelle variopinte foreste dell’arte e della scienza (che insistono sullo stesso luogo – l’esperienza – ?).
La logica sottesa che ci aiuta ancor di più ad accogliere il senso di tutto ciò è quella dell’ ‘ee …’, la quale non deve sostituire quella dell’ ‘oo …’, ma solo affiancarla.
Quando si termina la lettura di libri come questo non ci si disorienti se sentiamo il nostro spirito respirare a pieni polmoni la frizzante aria della vita. Lasciamoci inebriare da essa.
Questo libro è un autentico e genuino canto di libertà e di passione per il genere umano non scisso dall’ambiente antropico e naturale che lo pervade. Nulla di più, nulla di meno. E, naturalmente, il nostro è un punto di vista situato: quello del viandante che gioisce e si meraviglia del tumultuoso ma (a volte) suadente concerto cosmico. E che è testimone incarnato del fatto che l’ordine è sterile, è morte, la (con)fusione (= fondersi con …) è feconda, è vitale.

Indice


Introduzione
PRIMA PARTE. L’IO INFRANTO.
I. I pidocchi del pensiero
II. Cosa ci fa l’io nella scienza?
III. Narciso e il teatrino delle vanità
SECONDA PARTE. ARTE ED EPISTEMOLOGIA DELL’INFIGURABILE.
IV. La complessità del semplice: estetica ed epistemologia
V. Epistemologia dell’infigurabile
VI. Heidegger, Duchamp e il pensiero delle cose
VII. Il piacere delle cose
VIII. Se la bellezza resiste
IX. Spazio visivo e sguardi
TERZA PARTE. CORPI, SPAZI, MISURE.
X. Lo spazio dei corpi, i corpi dello spazio
XI. Il corpo delle idee
XII. Misurate cosa?
Bibliografia
Indice dei nomi

L'autore


Enrico Castelli Gattinara insegna ‘Epistemologia della storia’ nella facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università “La Sapienza” di Roma (Italia); inoltre, svolge seminari presso l’ École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi (Francia). È direttore dal 1996 della rivista semestrale di cultura, arte e filosofia, “Aperture” [aperture@tiscalinet.ithttp://digilander.iol.it/aperture].

Ha pubblicato Epistemologia e storia (1996); Les inquiétudes de la raison (1998); Strane alleanze (2003) e numerosi articoli di estetica, epistemologia, psicologia e storia su riviste specializzate italiane ed europee.

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