Milano, Albo Versorio (Pragmata), 2005, pp. 342, euro 26,00, ISBN 88-89130-29-6.
Recensione di Silvano Zipoli Caiani - 19. 02. 2006.
Filosofia della scienza (computer, filosofia della matematica); semantica
Il libro di Massimiliano Cappuccio si colloca sicuramente tra quei lavori che per ampiezza di contenuti e per vastità di veduta si dimostrano in grado di sollecitare più di un interesse filosofico. L’ampia opera abbraccia temi del dibattito contemporaneo che spaziano dalla discussione analitica del rapporto tra mentale e corporeo, fino a coinvolgere argomenti tradizionalmente affini al contesto di ricerca ermeneutico.
Un primo chiarimento di quelli che sono i fondamentali intenti dell’opera si svela già all’interno delle pagine introduttive, dove una netta opposizione ai modelli meccanicistico-riduzionisti del mentale trova espressione attraverso l’indice di alcuni limiti essenziali che l’autore intravede tra le pieghe programmatiche del cognitivismo computazionalista (il riferimento è per lo più all’opera di Pinker). L’interesse di Cappuccio si dirige fin da subito verso la segnalazione dei nodi irrisolti propri di un certo atteggiamento riduzionista, tema questo ampiamente trattato dalla prospettiva ermeneutica attraverso la quale l’autore procederà nel corso delle sue analisi.
Le intenzioni dell’opera assumono inizialmente la forma di un esame antropologico-culturale dei celebri risultati ottenuti da Alan Turing attorno agli anni trenta dello scorso secolo; una disamina capace di ampliarsi fino al coinvolgimento dei complessi per così dire storico-genetici alla base del fenomeno computazionale-linguistico sviluppatosi in seno alla cultura occidentale. Il lavoro non è dunque una discussione dei risultati frutto dell’impegno logico di Turing, bensì il tentativo di una loro contestualizzazione entro un più ampio quadro filosofico, operazione che rende evidente l’intento esplicativo perseguito dall’autore.
Il lavoro prende avvio dalla ricostruzione del quadro teorico alla base del progetto hilbertiano, ovvero dell’ambiziosa strategia riduzionista-formale entro la quale si collocano sia i teoremi limitativi di Godel, sia i successivi risultati di Turing. Nei primi capitoli trova dunque spazio la definizione dell’Entscheinungsprobleme, considerato fino alla soglia degli anni trenta il nodo irrisolto dell’intero progetto formalistico. Qui Cappuccio riserva particolare attenzione allo svuotamento di contenuto a cui la matematica è sottoposta nelpercorso evolutivo che da Dedekind giunge fino allo stesso Hilbert, e che proprio nel pensiero di quest’ultimo trova il suo massimo grado di elaborazione. In quanto dato storico, risulta interessante notare, proprio come fa Cappuccio, la presenzadi pareri critici espressi già all’epoca da eminenti filosofi e matematici quali Brouwer, Poincaré e Husserl. Proprio nelle note di contrasto ravvisate da quest’ultimi, sembra infatti possibile scorgere anticipatamente gli indizi che condurranno all’abbandono del progetto hilbertiano. La mancata attenzione per il rapporto tra formale e contenutistico è la nota di biasimo che lo stesso autore non esita fin dall’inizio a far propria, e che troverà un’ampia motivazione nelle pagine conclusive dell’opera.
Muovendo dall’esame dell’Entscheinungsprobleme, sforzandosi di metterne in evidenza concisamente le essenziali implicazioni formali, l’autore giunge a considerare l’ipotesi identitista impiegata da Turing nella soluzione del celebre problema della fermata (alting problem), contenuto nell’articolo del 1936 On computable numbers, with an application to ‘Entscheinungsprobleme’. Nel rilevare la centralità della tesi che pone l’identità dei processi di computazione umana e meccanica, Cappuccio scorge lo spunto essenziale allo sviluppo delle successive argomentazioni, intravedendo nel poco dibattuto presupposto di Turing una petitio principii, in modo tale da trasportare l’attenzione fuori del puro interesse logico formale, ampliando così la portata della ricerca filosofica.
Particolarmente originale è il riscontro di una propensione per l’analisi descrittiva che Turing affiancherebbe alla ben più nota concezione meccanica dell’attività computazionale. Pur non trattandosi a parere mio di una pura impostazione fenomenologica, l’attenzione dimostrata da Turing per gli aspetti fenomenici legati al processo computazionale permette a Cappuccio di allontanare ulteriormente l’esame della questione dai luoghi classici tradizionalmente riservati a tale scopo. Ciò che acquista ora maggior rilievo non sono più le implicazioni limitative messe in luce da Turing, bensì il tema del senso originario insito nei paradossi del linguaggio formalistico, dei quali proprio a Turing, insieme a Gödel, è riconosciuto il merito della scoperta.
Esaminando l’articolo del 1936, Cappuccio ha premura innanzitutto di metterne in evidenza una quanto meno sottovalutata conformazione circolare, imputabile all’assunzione d’equivalenza addotta tra computazione umana e computazione meccanica. Seguendo il percorso d’analisi intrapreso dall’autore, si rende esplicito come, solo considerando preliminarmente l’attività computazionale di un agente umano quale “operazione ricorsiva meccanicamente riproducibile”, risulti possibile approdare all’elaborazione teorica di una macchina (m.d.t.) in grado di esaurire ogni aspetto essenziale di ciò che comunemente s’intende come attività di computo. Proprio questo è il punto di partenza iniziale che, secondo Cappuccio, Turing sembra dimenticare, ignorando l’aspetto tautologico insito nella tesi identitista da lui sostenuta. Quest’ultima, peraltro, indispensabile nel rendere possibile un ponte tra lo stesso modello di Turing e la generale nozione di computazione alla quale fanno riferimento invece i risultati limitativi di Gödel.
La proposta contenuta nel lavoro di Cappuccio si condensa allora attorno alla possibilità di rovesciare il senso circolare rilevato nella premessa di Turing, non considerando più il comportamento umano come intrinsecamente computabile, bensì guardando ai processi implementati da una m.d.t. come intrinsecamente umani e specificamente afferenti al contesto culturale occidentale. Questo, in definitiva, l’approdo conclusivo al quale il lavoro si approssima gradualmente. Passando in rassegna quelle che sono state le condizioni dello sviluppo linguistico e computazionale manifestatesi in seno alla cultura occidentale, l’intento di Cappuccio si realizza nel dimostrare l’inevitabilità dei risultati di Turing proprio in funzione di tale condizionamento originario.
Pervenuti nel cuore della trattazione, fulcro e sostegno delle intenzioni teoriche perseguite dall’autore, si schiudono le porte all’esame comparato tra due grandi contesti linguistici, quello di matrice alfabetica affermatosi in occidente, e quello di matrice iconica frutto della tradizione orientale. Due modelli di dominio del conoscibile che configurano la radicale contrapposizione tra un orientamento che guarda con favore ad un’impostazione primariamente riduzionista, ed un atteggiamento attento invece al rapporto di adeguatezza che intercorre tra la conoscenza, il linguaggio e il proprio oggetto.
Nel dualismo che distingue la tradizione occidentale da quella orientale, Cappuccio scorge la caratteristica non-univocità attinente al potenziale sviluppo di qualsiasi processo linguistico. Il paradigma della scrittura iconografica indica infatti una modalità di significazione radicalmente altra da quella definita per mezzo del sistema alfabetico, lasciando intravedere i limiti nascosti oltre la pretesa egemonizzante della cultura occidentale.
Giunti a questo punto, assieme alla ricerca storica e concettuale, s’intrecciano i temi cari all’impostazione ermeneutica. Al centro dell’attenzione si pone ora il problema di quale natura affidare al rapporto che il segno linguistico intrattiene con il proprio valore semantico. L’analisi di natura semiologica svolta da Cappuccio mira a fornire una spiegazione che passi innanzitutto attraverso la presa d’atto di ciò che l’autore stesso chiama “lo scacco dell’auto-fondazionalismo semantico”. La perdita del legame originario, che pone in relazione il simbolo e il mondo dell’esperienza vissuta, smarritosi nel solco del prevalente atteggiamento convenzionalista, impone che in seno alla cultura occidentale s’inserisca predominante il tema del “nulla”.
“Nulla” inteso come assenza, non assoluta, bensì come “mancanza” di un fondamento che lascia inalterata e inesauribile la condizione di potenzialità implicita nella formula del rapporto convenzionale; condizione che si rende manifesta nel “libero” slittamento del linguaggio simbolico sopra il dominio dei possibili riferimenti semantici. In questa “lontananza” del simbolo dalla molteplicità dei contenuti, motivo che accompagna l’intero sviluppo del linguaggio occidentale, Cappuccio individua il perché dei risultati “sconvolgenti” maturati da Turing. Un linguaggio che si scopre costruito proprio in funzione della distanza da qualsiasi fondamento e che, allo stesso tempo, rincorre l’obiettivo di un’auto-fondazione. È questo il paradosso che Cappuccio descrive al termine della sua ambiziosa opera di ricostruzione del paradigma linguistico occidentale.
La notevole operazione di sintesi che gli scopi del lavoro recensito richiede, come già ricordavo all’inizio, prende in considerazione un ampio complesso di tematiche filosofiche, lasciando intravedere originali punti di contatto tra ambiti di ricerca tradizionalmente estranei. Proprio l’accostamento e il conseguente confronto tra metodo logico-analitico ed esegesi ermeneutica, al quale fanno eco le difficoltà “intuitive” che lo stesso autore attribuisce ad alcuni aspetti dell’insieme teorico da lui predisposto (v. p. 311), lasciano infine trasparire la presenza di un irrisolto quesito di fondo. Nel passaggio da un contesto filosofico all’altro si fa pressante la domanda se il riferimento al tema del “nulla” possa considerarsi un oggetto teorico al pari di ogni altro impiegato. È possibile descriverlo quale elemento funzionale del contesto fenomenico (v. le manifestazioni linguistiche) di cui disponiamo? Nonostante vi sia una forte tradizione filosofica che ne ha fatto un concetto chiave, resta non eludibile, a mio parere, la questione di fino a che punto possa spingersi una trattazione rigorosa ed effettivamente intelligibile di un “nulla” che si vuole oggetto, o evento, del mondo.
Indice
Prefazione (di Carlo Sini);
Introduzione: Nel crepuscolo della mente computazionale;
Capitolo 1: La sfida di David Hilbert e il dibattito sui fondamenti della matematica;
Capitolo 2: La macchina di Turing;
Capitolo 3: Il problema della decisione e il teorema di Turing;
Capitolo 4: La donna il computer e la tesi di Turing;
Capitolo 5: Il simbolo nella macchina;
Capitolo 6: La scrittura dell’incomputabile;
Capitolo 7: Il dono di Theuth. La scrittura alfabetica;
Capitolo 8: L’invenzione di Palamede. La scrittura numerica;
Capitolo 9: La scrittura come arte pittorica. L’ideografia cinese;
Capitolo 10: L’esperienza sorgiva del computo e la sua soglia verticale;
Capitolo 11: La macchina che computa scrivendo;
Capitolo 12: Il codice crittografico e l’ordine alfabetico;
Capitolo 13: Da Palamede a Turing un percorso nell’oblio;
Capitolo 14: La soglia della commutabilità;
Capitolo 15: Evento e significato del computare – ipostasi e iterazione del nulla;
Nota bibliografica.
L'autore
Massimiliano Cappuccio svolge un dottorato di ricerca presso l’università degli studi di Pavia. Ha fondato e codirige la rivista di filosofia «Chora», su cui ha pubblicato alcuni contributi su temi di filosofia contemporanea, filosofia della mente e su problematiche di semiotica e grammatologia. Dirige la collana "Netica" presso l'editore Alboversorio;
Links
www.alboversorio.it (sito della casa editrice Alboversorio).
http://filosofia.dipafilo.unimi.it/~chora/ (sito della rivista Chora diretta da Massimiliano Cappuccio).
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