mercoledì 15 marzo 2006

Tamagnone, Carlo, Ateismo filosofico nel mondo antico.

Firenze, Clinamen, pp. 304, € 24,70, ISBN 88-8410-077-1.

Recensione di Rolando Ruggeri - 15/03/2006

Storia della filosofia (antica), Filosofia delle religioni, Filosofia orientale

Il testo si articola in sei parti che costituiscono altrettanti saggi miranti ad un completo svolgimento del tema fondamentale. Vengono toccati argomenti fondamentali della riflessione filosofica e religiosa dell’uomo: dall’esigenza del divino, che studi antropologici pongono alle origini del cammino umano, alla ricerca di una via alternativa che possa appagare chi non si contenta di una visione sacrale del mondo e della vita umana.
L’intento è delineare l’origine dell’ateismo considerato sotto l’aspetto propositivo e non sotto quello oppositivo. L’ateismo filosofico risponde ai connotati di una coerente sistematizzazione del mondo naturale e della condotta umana che ha come peculiarità l’autosufficienza rispetto ad istanze trascendenti o mistiche che si ritrovano spesso nella filosofia e nella letteratura antica (e moderna). Ateismo non si configura quindi come filosofia che nega ma come filosofia che propone; essa può sbocciare solamente laddove sia presenta un orizzonte libertario che non imponga vincoli o legami ideologici (il condizionamento ideologico è, infatti, caratteristica delle religioni in genere).
Posta questa premessa, resa necessaria dalla reputazione negativa a cui l’ateismo è soggetto nell’immaginario comune e non, Tamagnone può addentrarsi nella campo che si prefigge di esplorare. Occupandosi di ateismo positivo (che propone) occorre scartare tutti quei fenomeni che hanno a che fare con la negazione delle varie religioni o istanze religiose che nella storia si sono susseguite e che sono legate a movimenti (spesso più pratici che teorici) miranti alla contestazione della religione normalmente diffusa nella società.
Nelle società arcaiche (il termine arcaico è usato quale equivalente di primitivo) l’ateismo è impossibilitato a nascere perché il divino è profondamente incuneato nella società stessa. La divinità diviene il pilastro fondamentale della società e della concezione del mondo dell’uomo, non è pensabile quindi che si sviluppi un ateismo, né nel senso di contrapposizione alla religione diffusa né tanto meno un ateismo filosofico. Andare contro la concezione religiosa significherebbe uscire dalla società e quindi andare incontro a morte certa. L’ateismo nasce solamente laddove la sacralità non è tale da inglobare tutto l’orizzonte sociale e culturale dell’uomo: «Espressioni ateistiche sono infatti possibili esclusivamente in contesti sociali cui afferiscano due requisiti fondamentali: un elevato livello culturale e una sufficiente libertà di pensiero» (p. 19). Le strutture sociali e religiose arcaiche, molto probabilmente, ci parlano dell’uomo com’è, la concezione sacrale può essere considerata la cifra comune dell’atteggiamento religioso dell’uomo nello stadio iniziale della sua evoluzione. Studiato quale fenomeno, lo sviluppo straordinario delle credenze religiose porta a teorizzare una tendenza genetica che prediliga un approccio alla vita che la religione meglio soddisfa. Con omeostasi psichica l’autore intende tutto ciò che contribuisce a mantenere la salute psichica (e di conseguenza anche fisica) dell’uomo. L’approccio religioso, con il suo dar senso alla vita e alla morte, è indubbiamente più gratificante rispetto alla mancanza di fini e di senso che l’universo ateo pone dinanzi i nostri occhi. La via dell’ateismo è più difficoltosa, non è in grado di dare all’uomo le risposte che lo tranquillizzano, non permette di nascondersi dietro trincee che lo proteggono. Accanto alle caratteristiche spiccatamente fisiche, quindi, si può ipotizzare una selezione filogenetica che tenga anche conto degli aspetti appena citati, una maggior omeostasi psichica verrebbe a costituire (quantomeno allo stato attuale dell’evoluzione) una condizione privilegiata per il progredire della specie.
Abbiamo dunque visto che due sono i requisiti fondamentali che permettono la nascita di un ateismo filosofico: un elevato livello culturale e una sufficiente libertà di pensiero che possa far nascere un’indagine della natura e del mondo indipendente e feconda per il pensiero umano. L’interesse si sposta allora sulle società antiche (le società che sviluppano una civiltà più evoluta), L’area circum-mediterranea è culla di un tipo di religiosità che passa da un concetto sacrale (quindi ancora arcaico) della natura ad un politeismo più o meno gerarchicamente organizzato; il collegamento tra società e religione diviene allora importante, l’inizio di una agricoltura estensiva favorisce lo sviluppo di agglomerati abitativi più estesi e questo porta inevitabilmente ad una maggior distanza tra la base e il vertice della società. Proprio su questo modello di potere si svilupperà un pantheon che vedrà il lento prevalere di una divinità su tutte le altre, in cammino verso una concezione che riconoscerà poi un unico dio a dispetto della frammentazione preesistente.
In altre zone, invece, il politeismo è sopravvissuto ed ha anzi posto le condizioni, data la sua blandizie sistematica, per la nascita di un indagine scientifica della natura che esula da un diretto collegamento con il divino; si parla del mondo ellenico e pare di essere arrivati su un terreno fertile per trovare le origini di quella filosofia che si sta cercando, l’orizzonte della ricerca è più chiaro.
Nel mondo ellenico lo sviluppo religioso avviene in modo affatto particolare, il suo pantheon è il frutto di una vivace fantasia poetica che si sviluppa attraverso il mito nell’Iliade di Omero, per trovare poi ordine più puntuale nella Teogonia di Esiodo.
La debolezza coercitiva (anche per la tendenza ad includere nel pantheon gli dei di terre vicine, alimentando ancor più la già grande confusione) di questo tipo di religione rende agevole proprio quello sviluppo intellettuale che rappresenta un irrinunciabile gradino verso una filosofia che si possa dire veramente atea. La natura di questo tipo di riflessione è particolare: il “concetto di divino” nella filosofia nasce non come bisogno spirituale dell’uomo (questo è il “senso del divino”) ma come esigenza dell’uomo di pensiero che non riesce ad accettare la confusionaria descrizione del mondo che il mito propone, non si sente appagato da essa.
Tamagnone inizia allora una ricognizione attraverso il pensiero greco. Alla ricerca dei cosiddetti fisici di Mileto, segue la visione di una entità divina unica (che non aveva le caratteristiche antropomorfe che erano presenti nel mito, né intelletto e moralità) proposta da Senofane e che avrà larga fortuna nella posteriore filosofia. Di qui si arriva a Platone che segnerà un paradigma per tutta la storia della filosofia. Il dio di Platone assume nuovi connotati morali e razionali divenendo il bene razionale assoluto, staccato dal mondo materiale, diviene quindi una entità spirituale che, essendo il bene, si oppone a tutto ciò che è male (materia, caos). Anche in Aristotele dio resta qualcosa di trascendente, pur acquistando i connotati di causa prima, quindi reale. Ma esaminate queste caratteristiche, interessantissime in sede di studio sullo sviluppo del concetto di dio come oggi è presente nella nostra cultura (non si scorderà il debito dottrinario che il cristianesimo ha verso il platonismo e verso l’aristotelismo, rispettivamente con Agostino e Tommaso), Tamagnone inquadra l'oggetto principale della sua ricerca.
Seppure sono diversi i filosofi (gli ioni che inseriscono un principio materiale all’interno della spiegazione del mondo; Empedocle che introduce il pluralismo ontologico che porterà all’ateismo teoretico, così, ancora più compiutamente, Anassagora) che in ambito ellenico hanno contribuito fortemente allo sviluppo di una filosofia staccata dal divino, l’esame delle fonti ci porta alla conclusione che l’unica filosofia che si possa dire compiutamente atea è quella che ha un approccio atomistico. Infatti l’ateismo nella filosofia greca rappresenta una «irruzione di pluralismo estremo nel panorama di una fisica e di una metafisica dominate dalla pervicace ricerca di un origine “unica” per tutte le cose esistenti» (p. 166). Purtroppo, però, le fonti più importanti della filosofia atomistica sono andate distrutte e ci restano testimonianze che sono spesso viziate da intenti a volte denigratori che fanno perdere di vista la reale portata teorica di questa filosofia pluralistica.
Dopo una interessante quanto utile disamina delle fonti superstiti, Tamagnone giunge alla conclusione che pare più plausibile. La contraddizione tra caso e necessità che la cultura filosofica ha tramandato nelle fonti è risolvibile vedendo Leucippo quale creatore della teoria atomistica e Democrito quale sviluppatore della teoria leucippea con la differenza, fondamentale, che mentre per Leucippo il moto era casuale, per Democrito diviene necessario. Ora, l’unica dottrina che si presenta come un compiuto ateismo teoretico è quella epicurea: essa infatti risolverà in sé le contraddizioni dell’atomismo precedente sviluppando poi, accanto alle questioni puramente fisiche, un’etica fondata sulla ricerca di un piacere individuale misurato ed equilibrato. Epicuro raccoglie l’eredità fisica di Leucippo e quella etica di Democrito dando vita ad un sistema di pensiero che rispetta le due fondamentali caratteristiche di una filosofia veramente atea: fondarsi sulla pluralità delle sostanze; porre il caso quale origine del mondo. La filosofia epicurea non nega l’esistenza degli dei ma li relega, inattivi e disinteressati, in un qualche luogo lontano del cosmo. Sia la fisica, sia l’etica epicurea, quindi, fanno totalmente a meno degli dei, pongono in essere quella raffinata cultura atea che, scorrendo come un fiume sotterraneo attraverso secoli di cristianesimo, è riaffiorata nel XVII secolo per alimentare la filosofia illuministica.
La sesta ed ultima parte dell’opera è dedicata alla filosofia indiana. L’ambito culturale è profondamente differente, giacché l’approccio ateo orientale ha «caratteristiche proprie e raramente passibili di un confronto diretto con quello occidentale e ciò a partire dal concetto di “materia”, nel senso che, per la cultura indiana, una materia inerte puramente “fisica” è quasi inconcepibile» (p. 242). Si ritrovano in oriente delle filosofie che si rifanno ad un materialismo che fa a meno degli dei, ma poi si prestano a sviluppi che raggiungono spesso il campo del religioso. Il campo di ricerca del saggio, quindi. tocca questo tipo di cultura più per le suggestione atee in essa presenti che per una reale filosofia atea che possa dirsi tale in senso compiuto.
La conclusione tira le fila del discorso e mostra la coerenza e la volontà di non tralasciare nessun argomento utile al discorso sviluppato, tenendo ben chiara l’idea che laddove sussiste un dubbio sulla deriva religiosa di una determinata corrente, essa non possa essere considerata compiutamente atea e portatrice della visione del mondo che l’autore vuole cercare nel mondo antico.

Indice

Prefazione

1. Religiosità e socialità
2. Politeismo e Monoteismo
3. I prodromi dell’ateismo nel mondo greco
4. Atomismo e ontologia pluralistica
5. Edonismo ed eudemonismo
6. Elementi ateistici nella filosofia indiana

Conclusione


L'autore

Carlo Tamagnone è nato nel 1937 a Torino, città in cui attualmente vive. Dopo una iniziale formazione tecnico-scientifica, a cui è seguito un impiego come ricercatore nell'industria chimica, ha orientato i propri interessi verso i settori della cultura umanistica, sino ad ottenere una Laurea in Lettere e costantemente occupandosi del pensiero filosofico. Sempre con la casa editrice Clinamen ha pubblicato, nel 2003, Necessità e libertà. L'ateismo oltre il materialismo.

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