Recensione di Carlotta Vianello – 21/04/2006
Filosofia del linguaggio
Ha ancora senso interrogare la natura del linguaggio? Come si origina la parola e qual è il suo rapporto con le cose che nomina? Da questi fondamentali interrogativi prende le mosse il volume che, negli intenti dell’autore, tematizza il linguaggio con un approccio fenomenologico che avanza in direzione della sua genesi, attraverso una genealogia.
Il percorso inizia con un’analisi delle riflessioni del primo Heidegger sul linguaggio. Per comprenderne la portata occorre inscriverle nell’ambito in cui si muove la ricerca filosofica heideggeriana, imperniata sull’ermeneutica generale del problema dell’esistenza. In Essere e tempo, il linguaggio è inteso come un modo di rapportarsi al mondo tipico dell’Esserci, una caratteristica esistenziale, che trova la sua possibilità nell’apertura del mondo. È in tale apertura – che rende diverso il Dasein heideggeriano dal soggetto metafisicamente inteso – che può avvenire un fenomeno come quello della nominazione: per nominare la cosa, il suo significato deve in qualche modo essere già preannunciato, disponibile. Nell’interpretazione heideggeriana, i significati verbali devono cioè presentarsi in un orizzonte di senso già dischiuso dalla comprensione, e questo perché ogni parola è decodificabile, comprensibile appunto, solo in un insieme di rimandi e significati già sempre aperti per l’Esserci, dal suo essere nel mondo. Insomma, la possibilità della lingua e della significatività sono colti da Heidegger in quanto manifestazione dell’apertura del mondo propria dell’Esserci: il contesto in cui muovono le riflessioni del filosofo tedesco è dunque eminentemente ontologico. Questi fenomeni sono colti nel più ampio contesto della riproposizione del problema dell’essere e non come manifestazioni di una razionalità soggettiva: “Passando attraverso la messa in questione dell’asserzione, Heidegger intende rendere ragione, dal suo punto di vista, della necessità di una riproposizione del problema dell’essere e di una reinterpretazione del fenomeno originario della verità” (p. 57). Ecco perché Heidegger considera il linguaggio a partire dall’asserzione, poiché ciò che lo muove è l’intento ontologico di sottrarre la verità al giudizio. Questo è il motivo, secondo Di Martino, per il quale Heidegger, pur ponendo la questione del linguaggio, non ne affronta l’emergere su un piano fenomenologico, patico, carnale.
È senza dubbio condivisibile l’interpretazione secondo cui corpo e voce del linguaggio restano non tematizzati nelle riflessioni del primo Heidegger. Se considerato esclusivamente in quanto asserzione, il linguaggio preclude la possibilità di comprendere e tematizzare la poesia, vera chiave di volta della filosofia heideggeriana. Tuttavia, nel testo le riflessioni heideggeriane più articolate sul tema del linguaggio, ovvero quelle successive alla cosiddetta “svolta”, vengono solamente sfiorate.
Dopo aver dunque affrontato la posizione heideggeriana, per proseguire il cammino che conduce a una genealogia del linguaggio, l’autore passa a considerare le tesi di Merleau-Ponty, il quale ha il merito fondamentale di ripensare l’atto dell’“incarnazione linguistica”. Nell’ambito di matrice cartesiana della dualità spirito-corpo, Merleau-Ponty conduce il discorso sul linguaggio come addizione di suono e senso (in una riflessione che Heidegger considererebbe metafisica), sottolineando la coappartenenza di pensiero e linguaggio: “Senso e segno, pensiero e parola, vanno insomma riconosciuti nella loro implicazione chiasmatica” (p. 89). Ma, s’interroga De Martino, interessato alla genesi dell’atto linguistico, come si formano i pensieri e i significati? Per rispondere, seguendo Merleau-Ponty occorre indagare il pensiero e la sua stretta correlazione con il linguaggio in un luogo aldiquà dell’espressione e del linguaggio, laddove il silenzio si rompe: ecco emergere il gesto. La questione viene finalmente affrontata fenomenologicamente, il linguaggio si fa atto, corpo, azione. Con Merleau-Ponty, il corpo acquista una centralità determinante nella riflessione metalinguistica, acquisendo tra l’altro una valenza simbolica nei confronti del mondo. Ora che si tratta di spiegare come si rompe questo primordiale silenzio, nella sua lettura di Merleau-Ponty l’autore mette in campo proprio un’osservazione impensabile senza la filosofia di Heidegger: “Sotto il brusio delle parole sono già all’opera una preliminare rivelazione del senso e una primordiale comunicazione, all’interno di rapporti costitutivi e di originarie pratiche di commercio col mondo” (p. 98). In altre parole, il gesto implica sempre il venire incontro di un mondo dischiuso e della collettività, senza i quali sarebbe impossibile ogni relazione linguistica e gestuale, nonché ogni contesto emozionale.
Ma se le riflessioni di Merleau-Ponty hanno il pregio di mostrarci come la nascita del gesto e della parola siano da ricercarsi in un contesto di comportamenti pre-linguistici, spiegandoci così come pensiero e parola siano intimante connessi, rimane ancora da comprendere come la parola venga al mondo, in che modo il gesto vocale diventi linguistico. Per percorrere quest’ultimo tratto di pensiero, De Martino si rivolge al pragmatismo di George Herbert Mead. Secondo la sua teoria antropologica del linguaggio, l’atto del parlare è un atto eminentemente sociale che nasce da un’emergenza. Secondo questa interpretazione, la parola diverrebbe da vocalizzo simile a quello animale a “simbolo significativo”. Il contributo di Mead consisterebbe allora nello di spiegare la vocazione umana all’espressione, la sua primaria disponibilità alla voce. In queste riflessioni, tuttavia, pare sia colto come una categoria antropologica, dando per scontate quelle motivazioni ontologiche da cui Heidegger era partito.
Indice
Avvertenza
UN DISCORSO SENZA PAROLE. MONDO E LOGOS NEL PRIMO HEIDEGGER
La cattedra e il significato
La lavagna e il mondo
Significati e parole
Il logos apophantikos
Logica e verità
I greci e il linguaggio
Un discorso che precede la lingua
L’esserci emotivamente comprendente
Interpretare e asserire
Il livellamento dell’in-quanto
Dal giudizio all’esperienza
Il pre-verbale e il verbale
La desomatizzazione del linguaggio
La concezione impoetica del logos
La convenzione e il convenire
SIMBOLISMO DEL CORPO E SIMBOLISMO DEL LINGUAGGIO IN MERLEAU-PONTY
L’incarnazione linguistica
Il corpo come espressione e la parola
L’immanenza del senso
Il significato gestuale
Natura e convenzione
La molteplicità delle lingue e l’essenza emozionale del mondo
Il mondo del nome
LINGUAGGIO E AUTOCOSCIENZA IN GEORGE HERBERT MEAD
Mente, sé e società
Parlare, parlar-si
Il parallelismo gesto-idea
L’auto-stimolazione vocale
L’auto-obbiettivante “vita del suono”
Il significato
In cammino verso il linguaggio
La vocazione espressiva e la disponibilità della voce
To take the role of the other
La voce come medium
L’origine del linguaggio
La mente e il tempo
Sapere di sé
L’originaria alterazione
L'autore
Carmine Di Martino insegna Propedeutica filosofica all’Università degli Studi di Milano. I suoi interessi si sono prevalentemente rivolti alla fenomenologia husserliana, al pensiero heideggeriano e ai loro sviluppi in area francese. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Il medium e le pratiche (Milano 1998) e Oltre il segno. Derrida e l’esperienza dell’impossibile (Milano 2001).
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