Recensione di Maria Maistrini – 01/05/2006
Filosofia della religione, Filosofia analitica
In questo volume viene dato spazio alla riflessione sui concetti fondamentali del pensiero religioso, vista come tradizionale coronamento della metafisica e dell’etica, che oggi è evidentemente tornata al centro della discussione filosofica. Questa piccola ma ragionevolmente completa introduzione alla filosofia della religione presenta come novità epistemologica il suo essere interamente tagliata in visuale analitica, come ben spiega l’autore fin dalle prime pagine del saggio. In realtà si stenta a immaginare un eventuale boom delle vendite o un qualche significativo successo di pubblico per libri del genere, non tanto e non solo perché in partenza “condannati” in quanto libri di filosofia, quanto, come hanno magistralmente mostrato tanti filosofi non analitici - si prenda ad esempio uno Jaspers -, il problema di Dio si presenta di solito esistenzialmente con caratteri di urgenza e cogenza che ne fanno preferire una soluzione vuoi più intuitivamente accessibile vuoi più concreta, o più spirituale o magari anche estetica (si veda M. Ferraris, Estetica razionale, Milano 1997), ma insomma non molti hanno il problema di stabilire se una frase come “Cristo è risorto” sia più o meno logicamente attendibile, e molto meno, avendolo, e avendone magari rintracciato una possibile soluzione logica, se ne sono sentiti davvero consolati sul letto di morte di un caro congiunto. Col che si vuol semplicemente dire che questo libro continua a parlare la lingua morta dell’accademia, analitica o continentale in questo senso risulta indifferente.
In senso concreto, infatti, alla soluzione reale di problemi religiosi concorre probabilmente meglio Il Grande fratello di qualsiasi ipotesi vagamente caritatevole (R. Rorty e G. Vattimo, Il futuro della religione, Milano 2005), o vagamente speranzosa (G. Vattimo, Credere di credere, Milano 1996) o, per l’appunto, analitica, della quale ultima tuttavia non si può non ammirare almeno, a nostro avviso, lo speciale rigore e la particolare serietà procedurale delle analisi, le quali, quand’anche si sia d’accordo nel riconoscerne l’inutilità pratica, quanto meno appaiono molto poco sciocche dal punto di vista teoretico.
E così torniamo al libro, e al suo autore, il quale appunto senza dubbio mantiene ciò che promette. Introduttivamente, Hughes spiega infatti innanzitutto quale, a suo avviso, debba essere il compito del filosofo della religione versione analitica: “Dovrà occuparsi delle proprietà logiche, oltre che del significato, delle affermazioni religiose” (p. 4), applicando per esempio il principio di non contraddizione ad affermazioni religiose insidiosissime dal punto di vista logico, quali ad esempio quelle contenenti il concetto del Dio uno e trino (possono tre persone diverse essere una e una sola? O affermandolo si cade in contraddizione?), o della divina onnipotenza (uno che non ha il potere di fare altrimenti, può davvero definirsi onnipotente?), o della divina onniscienza (se uno sa tutto ciò che farò, possiamo affermare lo stesso che io posso fare ciò che voglio liberamente?), e via di questo passo. E appunto al compito che si è dato Hughes non viene meno, conducendo con puntiglio quasi lessicografico il lettore di definizione in definizione, fino a completare un panorama sufficientemente atto a inquadrare in sintesi le opposizioni classiche di teologia e ateologia naturali, che tocca le principali elaborazioni storiche nate e sviluppatasi soprattutto sul continente, ma sempre tagliati in chiave analitica (per esempio gli argomenti di San Tommaso e Leibniz risultano così logicamente scomposti in enunciati e tipicamente analizzati: se il lemma a dell’Aquinate ci dice che qualcosa è una causa prima efficiente, e il lemma b che se qualcosa è una causa prima efficiente, quella cosa è Dio; se ne può concludere l’enunciato “Dio esiste”? E così pure per Leibniz: se il lemma a recita “qualcosa è una causa prima, necessaria ed extramondana”, e il lemma b “se qualcosa è una causa prima, necessaria ed extramondana, allora quella cosa è Dio”, questo giustifica dal punto di vista logico la conclusione contenuta nell’enunciato “Dio esiste”? Se, come si sa, classico è il problema delle prove, e quasi infinita la letteratura concentrata sulla difesa o sulla distruzione di molte di esse, meno scontata sembra però la trattazione che Hughes propone in fase decostruttiva delle stesse, per la quale rinviamo agli appositi capitoli del saggio in esame.
Alla fine invece l’autore giunge a proporre una conclusione riassuntiva dei temi principali posti dalla filosofia della religione analitica, quali unità e trinità in Dio, Dio e immoralità, sotto una nuova luce, per esempio dicendo: “ha senso [c.m.] supporre che un Dio sia tre persone?”, oppure chiedendosi come possono essere vere insieme le proposizioni “Il Padre, il Figlio e lo Spirito santo sono tre persone” e “Vi è soltanto un Dio”.
Indice
Introduzione
L’esistenza di Dio: la teologia naturale
L’esistenza di Dio: l’ateologia naturale
Trinità e legge divina
Cos’altro leggere
Bibliografia
Ringraziamenti
L’autore
Indice dei nomi
L'autore
Christopher Hughes ha insegnato alla Cornell University e attualmente insegna presso il Dipartimento di Filosofia del King’s College di Londra. Si occupa prevalentemente di metafisica, filosofia della religione e filosofia medievale, oltre che di epistemologia e di filosofia del linguaggio. La sua pubblicazione più recente è Kripke: Names, Necessit, and Identity (Oxford 2004).
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