Recensione di Chiara Pastorini – 25/07/2006
Antropologia, Ermeneutica
«Sarebbe bello, Agatone, se la conoscenza scorresse tra di noi come l’acqua che passa dalla coppa più piena alla più vuota attraverso un filo di lana». Tratta dal Simposio di Platone, è questa la prima citazione che si legge sulla copertina del libro di Stefano Adami e che ben introduce i contenuti dell’opera. Sollecitato dalla questione socratica, l’autore si propone di indagare le modalità attraverso le quali la conoscenza passa tra gli uomini e tra le culture, facendo del rapporto con l’Altro il cardine di questo processo. Non concentrandosi specificamente sulle caratteristiche dei fenomeni di immigrazione, l’analisi di Adami cerca piuttosto di analizzare le condizioni di possibilità che consentono di poter parlare di incontro con l’Altro. In particolare, l’autore ci invita ad interpretare questo “evento” nei termini delle condizioni semiotiche, proponendo una serie di riflessioni che dalla dimensione linguistica dell’ultimo Wittgenstein abbracciano le prospettive dell’ermeneutica filosofica e dell’antropologia interpretativa. È questo invito ad una disamina dei fondamenti teorico-critici che stanno alla base delle dinamiche interculturali, e più in generale di quelle del rapporto Io-Altro, a costituire il vero merito di Adami.
L’invito alla riflessione critica, d’altra parte, mette in dubbio l’intera gamma delle certezze sulle quali si basano gli approcci più superficiali alla questione: contro l’ingenuità di alcune prospettive, emerge, qui, la consapevolezza dell’impossibilità di incontrare e conoscere l’Altro prescindendo dal condizionamento profondo del linguaggio e delle lingue, forme che strutturano la nostra espressione e la nostra comunicazione quotidiane. D’altro canto, è l’esigenza stessa di conoscenza che, attraverso il linguaggio, modifica e dà forma a qualsiasi approccio con l’Altro e al metodo della ricerca. In questo senso, la conoscenza si trasforma in un percorso non facile in cui l’interazione reciproca con gli usi linguistici conduce a scoprire le ragioni della propria e dell’altrui identità.
Se nella prima parte il libro si concentra maggiormente su un’operazione di riflessione critica nei confronti di una trasmissione della conoscenza e del sapere linguisticamente condizionata, nella seconda parte si assiste ad un’analisi di modelli concreti degli scenari teorici discussi in precedenza, e a proposte di operazioni gnoseologiche e didattiche ‘aperte’ da prendere eventualmente in considerazione anche in realtà diverse da quelle di origine.
Complessivamente, il percorso attraverso il quale Adami articola il suo lavoro è composto di cinque capitoli, preceduti dalla presentazione di Massimo Vedovelli e da una breve introduzione dell’autore in cui vengono accennati gli intenti dell’opera.
Nel primo capitolo Adami si concentra sulla modernità occidentale (rappresentata perlopiù dalla cultura “euro-americana”) sottolineandone le implicite assunzioni di superiorità delle proprie forme di vita e dei propri sistemi culturali e linguistici. Attraverso una legittimazione di sé, realizzata attraverso un procedimento di calcolo razionale, la modernità sembra affermarsi, come già nell’interpretazione di Nietzsche e di Heidegger, attraverso lo strumento della tecnica. Questa si presenta come l’estrema realizzazione di una cultura edificata su un pre-giudizio e, quindi, intrinsecamente già orientata e impositiva. In questa prospettiva, i moderni mezzi informatici e le scienze del computer si manifestano come il compimento della forte tendenza della metafisica occidentale alla smaterializzazione dell’Altro e della realtà, al loro dissolvimento e svuotamento che sanciscono il predominio della mente sulla natura. Ma, d’altra parte, è paradossalmente proprio il timore del vuoto e dell’annullamento di sé, che, secondo Adami, caratterizza il pensiero moderno. Nel rapporto con l’Altro questa paura di perdersi porta il soggetto a reagire assimilando l’alterità alla propria cultura di appartenenza, relegando una cultura altra, nella migliore delle ipotesi, ad una sorta di fase primordiale dell’umanità.
È proprio la nozione di ‘pre-giudizio’, alla base del pensiero occidentale moderno, che viene indagata nel secondo capitolo. Il pre-giudizio si presenta come una serie di categorie maturate lentamente (più o meno consapevolmente) nel soggetto e che costituiscono l’orizzonte in cui avviene l’incontro con l’Altro, predeterminandolo. In accordo con Pier Paolo Pasolini, anche Adami sostiene che sia l’ambito scolastico il luogo in cui queste strutture categoriali si solidificano. Scuola ed educazione rappresentano i luoghi di sedimentazione di certezze che fanno della cultura che caratterizzano la sola in cui sia permesso un riconoscimento identitario, trasformandola nel «migliore dei mondi possibili» (cfr. p. 49). In altre parole, scuola ed educazione si presentano come i garanti del nostro riconoscimento e del riconoscimento altrui impedendo in questo modo la perdita e l’annullamento del proprio sentimento identitario. Ma, sottolinea l’autore, in un sistema educativo così concepito, al dialogo e allo scambio con l’Altro si sostituisce piuttosto l’inserimento dell’Altro nel nostro sistema di certezze e forme di vita, favorendo invece che un’apertura all’Altro un incontro già orientato e finalizzato.
Come ribadito nel terzo capitolo del libro, le strutture educative della società occidentale (e il linguaggio attraverso cui vengono veicolate) si manifestano, dunque, da una parte, come un’istituzionalizzazione forte della centralità della cultura che le ha lentamente pensate e prodotte, e dall’altra parte, come il luogo di diffusione acritica organizzata e capillare di questa stessa cultura.
Ma, alla luce di questo scenario, qual è la soluzione? Rifiutata la possibile chiusura delle scuole, Adami propone un ripensamento profondo delle strutture educative che, rendendo meno rigidi categorie e fondamenti, e riducendo il carico di teoria, faccia delle scuole il luogo di apertura, di discussione e di incontro vero con l’Altro. È questo ideale orientativo che allontana anche le negative conseguenze relativistiche di un paradigma basato sull’incommensurabilità delle culture tra loro.
Negli ultimi due capitoli, l’autore analizza alcuni modelli concreti degli scenari teorici discussi finora, proponendoli come esperienze didattiche ‘aperte’ da prendere eventualmente in considerazione anche nella società euro-americana. E la non-conclusione di Adami si può riassumere così: soltanto in un sistema educativo che tenga conto, da una parte, dell’individuo nella sua interezza (integrando le componenti mentali-cognitive con quelle naturali-biologiche), e, dall’altra parte, della società nella sua molteplicità di razze, culture e visioni del mondo è possibile la conoscenza nel senso più pieno del termine, cioè come prodotto dell’incontro e dell’apertura all’Altro.
Indice
Presentazione di Massimo Vedovelli
Introduzione
Descrivere e comprendere
Il Pre-giudizio
Nel concreto
Per una educazione multiculturale
Per non concludere
Bibliografia
L’autore
Stefano Adami, insegnante con esperienza di docenza all’estero, è collaboratore della Encyclopedia of Italian Literary Studies alla Princeton University. Si occupa prevalentemente dell’italiano all’interno dell’opera lirica e di questioni relative ai fondamenti e alla diffusione della conoscenza, con particolare attenzione agli aspetti linguistici e letterari.
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