Milano, Feltrinelli, Milano, 2006, pp. 203, € 18,00, ISBN 88-07-10402-4.
[Ed. or.: Le siècle, Editions du Seuil, Parigi 2005]
Recensione di Francesco Giacomantonio – 08/07/2006
L’interpretazione di una particolare epoca storica è un’attività intellettuale che può avere rilevanza dal punto di vista non solo storiografico, ma anche filosofico e politico. Il XX secolo è probabilmente l’epoca storica che, con maggiore interesse, suscita questa attività intellettuale, sia per la straordinaria densità e quantità di eventi che lo hanno contraddistinto, sia per la loro complessa articolazione. Indagare il significato di questo secolo così “difficile” è quanto cerca di fare il filosofo francese Badiou in questo testo. Egli, tuttavia, non si abbandona ad un’analisi puramente speculativa, ma fa derivare le sue considerazioni dall’uso di poemi, frammenti filosofici, pensieri politici, brani teatrali, tramite cui questo momento della storia ha pensato e rivelato se stesso. Badiou vede il XX secolo come il secolo dell’avvento di un’altra umanità, di un cambiamento radicale di ciò che è l’uomo, ed è in questo senso che esso rimane fedele alle straordinarie rotture mentali (teoria della relatività, psicoanalisi, filosofia del linguaggio, cinema, musica atonale, importanti evoluzioni stilistiche dei romanzi e della pittura, ecc.) dei suoi primi anni. Partendo da questi presupposti, il filosofo afferma innanzitutto che il XX secolo è vitalista: esso interroga la propria vitalità e spesso ne dubita. È il secolo non a caso della guerra, è il secolo “posto sotto il paradigma della guerra” (p. 47). Nel XX secolo la legge del mondo non è l’Uno o il Multiplo, ma il Due. Non è l’Uno perché quest’epoca ha scoperto che l’armonia non esiste; non è il Multiplo perché esso non cerca un equilibrio di potenze. Piuttosto è il Due, perché esso esclude sia la possibilità di una sottomissione unanime, sia di un equilibrio combinatorio. Badiou, riferendosi a Brecht, ritiene che questo secolo rifletta particolarmente sul nodo enigmatico della distruzione e dell’inizio.
Dopo queste prime suggestioni, il testo perviene nel sesto capitolo a sostenere la sua tesi cruciale. Il XX secolo non è stato affatto il momento delle ideologie, dell’immaginario e delle utopie, come una lunga tradizione di studi, interpretazioni e autori hanno suggerito; piuttosto la sua determinazione è la passione per il reale. Tale passione per reale si concretizza nella questione del nuovo, nell’uomo nuovo. Nel XX secolo, da una parte le definizione dell’uomo nuovo si radica in totalità mitiche quali la razza, la nazione, la terra, il sangue; dall’altra, l’uomo nuovo si declina contro tutti gli avvenimenti e tutti i predicati, in particolare famiglia, proprietà e stato nazione.
Un altro punto cruciale del secolo è la psicoanalisi, cui Badiou dedica un altro capitolo del testo, in cui si sottolinea l’importanza di come Freud abbia saputo arrivare al reale del sesso, piuttosto che al suo senso.
La traiettoria del XX secolo è però sintetizzata dall’autore in una particolare parola greca, anabasi. Questa parola, che Badiou considera in riferimento ai contributi dei poeti Leger (degli anni Venti) e Celan (degli anni Sessanta), indica “la libera invenzione di un’erranza che sarà stata un ritorno, un ritorno che prima dell’erranza non esisteva come strada di ritorno” (p. 98). Ma la traiettoria del secolo ha contribuito soprattutto a determinare la dimensione della soggettività, della teoria del soggetto. Opportunamente, il testo delinea la questione della soggettività nel XX secolo attraverso diversi angoli prospettici. Da un punto di vista filosofico il soggetto in quest’epoca “non è, ma avviene” (p. 115), è un evento. Da un punto di vista ideologico e politico il secolo afferma la libertà del soggetto; dal punto di vista temporale il secolo ha indotto nella soggettività un mito di agitazione e sterilità; dal punto di vista formale il secolo ha affermato nella soggettività l’importanza della sua manifestazione, del suo manifestarsi. Così il reale che viviamo per tutte queste considerazioni è discontinuo e nel XX secolo “si svolge la contraddizione propriamente dialettica tra formalizzazione e distruzione” (p. 125).
Come abbiamo accennato, Badiou vede nel vitalismo e nella passione per il reale, con tutte le implicazioni che ciò comporta, i tratti distintivi di questa fase della storia occidentale; queste condizioni influenzano anche la dimensione artistica, che il filosofo tratta particolarmente nel capitolo 11, in cui si afferma che l’arte del XX secolo si accentra sull’atto piuttosto che sull’opera, poiché l’atto essendo potenza intensa dell’inizio, non pensa che al presente. Ne deriva che proclami e manifesti- si ricordi l’importanza già citata riguardo il ruolo del manifestare!- sono per tutto il secolo l’attività essenziale delle avanguardie. Non a caso tutti gli artisti contemporanei sono stati costretti a interrogarsi sulla nozione stessa di opera. Riguardo a tali questioni sull’arte, una considerazione interessante che il libro propone riguarda il tema dell’infinito e del finito; Badioiu con acume nota che la vera essenza del finito non è il limite quanto piuttosto, come insegnato da Freud e Lacan, la coazione a ripetere. Per questo l’arte del XX secolo si interroga proprio sulle forme della ripetizione.
Il conflitto di pensiero del secolo diventa quindi, sintetizzando, quello trasformalizzazione e interpretazione.
Il filosofo francese conclude la sua lettura affrontando il tema, forse implicitamente sotteso a tutte le parti del libro, del “programma dell’uomo senza Dio” nel XX secolo. Vengono richiamate due importanti ipotesi su questo problema, formulate negli anni Sessanta. L’introduzione di Sartre alla Critica della ragion dialettica e il passaggio di Foucalt dedicato alla morte dell’uomo, ne Le parole e le cose. Sartre induce a vedere l’uomo come ciò che l’uomo deve inventare. Foucault sembra porsi in un antiumanesimo radicale: l’uomo non c’è più, scomparso dietro le discipline, i discorsi e i saperi. Badiou pensa che, attraverso le voci di Sartre e Foucault, il secolo si sia chiesto se l’uomo che deve venire debba essere una figura sovrumana o inumana. La fine del secolo sembra voler abolire questa discussione. E Badiou ritiene allora che il compito filosofico all’alba di questo nuovo secolo sia proprio evitare questa abolizione.
Utilizzando riferimenti e considerazioni spesso intelligenti e stimolanti, il testo pone in luce più di un’ipotesi su cui discutere. E per chi non volesse rinunciare a considerare il XX secolo come il “secolo delle ideologie a vantaggio” del “secolo con la passione per il reale”, si potrebbe sempre prospettare l’interpretazione che il XX secolo sia stato il momento che più di ogni altro ha cercato di rendere reali le sue ideologie.
Indice
Dedica
Questioni di metodo
La Bestia
Il non-riconciliato
Un mondo nuovo: sì, ma quando?
Passione del reale e montaggio della finzione
Uno si divide in due
Crisi di sesso
Anabasi
Sette variazioni
Crudeltà
Avanguardie
L’infinito
Sparizioni congiunte dell’Uomo e di Dio
Indice dei nomi e delle opere
L’autore
Alain Badiou, filosofo, dirige attualmente il Centro internazionale di studi di filosofia francese contemporanea, presso l’Ecole Normale Superiore. Tra i suoi testi si segnala L’Essere e l’evento(1995).
Nessun commento:
Posta un commento