Recensione di Salvatore Lucchese – 19/09/2006
Filosofia politica
Aporie napoletane è il testo edito dalla Cronopio, con il quale la casa editrice tenta un rilancio del dibattito critico sulla città di Napoli, proseguendo, in questo modo, il percorso di riflessione teorico-politica sul capoluogo partenopeo iniziato negli anni Novanta con le pubblicazioni de La città porosa (1992) e Le lingue di Napoli (1994).
La finalità del testo è quella di contrapporre ai numerosi stereotipi, sia positivi che negativi, e al fatalismo oggi dominanti, ricerche rigorose e riflessioni filosofiche deleuzianamente “creative”, che spieghino le contraddizioni di Napoli sullo sfondo delle trasformazioni globali, onde individuare i sensi di possibili innovazioni.
Il testo si apre con il saggio prefazione di Maurizio Zanardi – Una piega del mondo – nel quale l’autore rielabora i temi di fondo che vi sono dibattuti. Di particolare importanza la sua contrapposizione tra le categorie di politica/politico, con le quali l’autore, sullo sfondo dell’odierna crisi delle democrazie rappresentative, intende denunciare la deriva oligarchica, personalistica e clientelare del sistema di potere partenopeo, contrapponendovi l’esigenza della ri-costruzione della sfera pubblica attraverso la concreta partecipazione delle forze che attualmente sono schiacciate dalle logiche di dominio ed esclusione del politico. In altri termini, collegandosi alla concezione deleuziana della filosofia, Zanardi propone una politica concepita come “agire collettivo che pensa a distanza dallo stato” (p. 14). Politica che deve caratterizzarsi per la partecipazione di quelle parti della città che, non avendo interessi costituiti da difendere, possono elevare gli antagonismi a conflitti politici, le lotte conservative a lotte per l’emancipazione. La distanza dallo Stato, precisa l’autore, non deve essere confusa con il disinteresse nei confronti delle istituzioni, ma deve essere concepita come un’autonoma azione collettiva, che va oltre lo schema verticistico della rappresentanza del politico, per affermare una pratica ed una teoria politica orizzontale che “si autorizza da sé” (p. 18).
Il saggio di Gianfranco Borrelli – Napoli oltre. Il senso possibile di possibili innovazioni – a fronte dei processi della globalizzazione, intende mostrare il passaggio critico in cui attualmente si dibatte il capoluogo partenopeo, sospeso tra possibilità di innovazione ed avanzamento della barbarie. La critica serrata del sistema di potere locale, tuttora vigente, si sostanzia nella decisa ed articolata decostruzione dello stereotipo che vede i napoletani come individui naturalmente sociali, solari e comunicativi. L’adozione del paradigma machiavelliano della città-organismo da un lato e di quello foucaultiano della microfisica dei poteri dall’altro, consente all’autore di individuare genealogicamente i molteplici antagonismi che, squarciando il tessuto della città nelle sue diverse parti, alimentano una rete di poteri, che si snoda sul doppio registro politico della democrazia rappresentativa e delle tecniche di conservazione, frammentazione ed assoggettamento. Attualmente, incalza Borrelli, Napoli oscilla tra una democrazia estetizzante – l’estetica del mercato e dei consumi –, e i poteri di emergenza, che progressivamente riducono lo spazio pubblico-politico della città e neutralizzano le soggettività conflittuali, depotenziandone la carica emancipativa negli antagonismi irriducibili e negli eccessi materiali. Ne emerge un’immagine della città caratterizzata da “soggettività votate ad un destino di spreco, di distruzione e di autodistruzione (p. 59).
Tuttavia, l’autore non si limita ad evidenziare le aporie, le deprivazioni e i limiti di Napoli, ma indica anche gli snodi che potrebbero consentire l’attivazione di processi di innovazione/soggettivazione che, riallacciandosi e riattivando la memoria degli scontri e delle lotte che hanno attraversato Napoli dal Seicento ad oggi, possano coinvolgere quelle parti della città escluse ed emarginate – che vanno dalla plebe agli under class, dagli immigrati ai precari passando per i disoccupati –, in modo da prospettare degli eventi di singolarità, capaci di innovare lo spazio pubblico-politico in direzione di una democrazia partecipativa, incentrata sui criteri della molecolarità e della riflessività.
Le aporie di Napoli vengono disvelate da Bruno Moroncini – Napoli e la mancanza della plebe – attraverso l’adozione della prospettiva lacaniana, incentrata sulle categorie di Reale, Immaginario, Simbolico. Il Reale, specifica l’autore, è ciò che rimane sempre identico a se stesso. Il Simbolico è il registro del cambiamento caratterizzato dalla presa di coscienza della mancanza del Reale. L’Immaginario, infine, è il registro delle totalizzazioni e delle chiusure. Napoli, prosegue lo studioso, si è sempre caratterizzata per la mancanza di soggettività volte al cambiamento: il Reale, la plebe – da non intendersi come categoria sociologica, ma come movimento centrifugo sfuggente alle relazioni di potere –, torna continuamente, nelle sue varie declinazioni, nella storia della città. Rispetto ad essa, la borghesia cittadina con l’Immaginario ha formulato una risposta di chiusura ora nei termini della teoria delle due città, ora in quelli della cultura popolare, ora, infine, in quelli di una presunta armonia perduta.
Di contro a tali processi, sostiene Moroncini, una nuova classe dirigente ed una nuova mente collettiva capaci di entrare in rottura con la cultura e le pratiche politiche tradizionali, devono infrangere il registro dell’Immaginario ed introdurre, attraverso il Simbolico, la mancanza nel Reale, in modo tale da favorire la formazione di nuove soggettività su cui fare leva per attivare i processi di trasformazione. In altri termini, secondo l’autore, i processi di soggettivazione devono partire dalla realtà della plebe per pervenire alla formazione della classe passando attraverso la massa. Classe che si deve caratterizzare per la sua piena autonomia da estrinsecarsi nel controllo dei processi produttivi. La neutralizzazione dei processi di soggettivazione, conclude Moroncini, alimenta il rischio di una città caratterizzata da un’attività sempre più frenetica che sfocia nel nichilismo: il vuoto.
Assumendo una prospettiva filosofica incentrata sull’heideggeriana ermeneutica dell’effettività, ne Il vuoto e l’abitare, Pierandrea Amato parte proprio dal vuoto per andare oltre il luogo codificato, decostruendo criticamente i saperi governamentali su Napoli: urbanistica, sociologia urbana, psicologia sociale, demografia. Saperi che, secondo l’autore, irreggimentano la città in determinate logiche di potere, ratificandone le dinamiche di inclusione/esclusione. A partire da tale prospettiva, il vuoto si configura come la possibilità di pensare e praticare il cambiamento. “La retorica urbana del vuoto – osserva Amato – che lo derubrica a luogo insicuro e malfamato va capovolta a favore del suo carattere fecondo. Indubbiamente, il vuoto urbano è pericoloso: ma solo per chi pensa la città, e i legami che alimenta, affidandosi alla sua figura consacrata ad opera del tempo” (p. 133). In altri termini, secondo Amato, il vuoto è dotato di una valenza intrinsecamente innovativa capace di corrodere la meta-fisica del centro storico “è, in definitiva, la traccia dell’abitare lì dove non c’è più spazio per abiatare. E’ il (non)luogo, dunque, della politica nel tempo della sua decostruzione” (p. 134).
La decostruzione dell’immagionario stereotipato sulla citta di Napoli passa anche attraverso la critica letteraria di Arturo Martone, che, in Oltre a resti di niente e sviscerato patire, l’impensato del reale, analizza i testi di E. Striano – Il resto di niente – e A. Ortese, Il cardillo addolorato. L’analisi strutturalistica dei due testi consente all’autore di formulare il concetto di impensato del reale, ossia di poter-essere, con il quale egli si riferisce al “deposito inesauribile di resti (resti della memoria, resti del sentire, resti del fare come del non-fare” (p. 200), da preservare per trasmettere alle generazioni future.
Nel saggio Napoli tra sviluppo e arretratezza, attraverso la rivisitazione di un classico della letteratura operistica sul Meridione – Stato e sottosviluppo. Il caso del Mezzogiorno d’Italia pubblicato – pubblicato nel 1973 da L. Ferrari e A. Serafini –, Giuseppe Antonio Di Marco giunge ala conclusione che la rinascita napoletana degli anni Novanta è stata solamente un cambiamento di facciata, in quanto a partire dai due decenni precedenti hanno preso corpo dei cambiamenti strutturali a livello nazionale ed internazionale – cambiamenti oggi riassumibili nelle categorie di globalizzazione e postfordismo –, che sembrano avere segnato il definitivo tramonto della soggettività operaia così come si era costituita nel corso del XX secolo, con la conseguente crisi di una soggettività conflittuale su cui fare leva per innescare i processi di trasformazione. “Se lo sbocco – osserva Di Marco – è quello di ‘dare rappresentazione politica, qualitativamente più che quantitativamente forte, dell’attuale marginalità del lavoro’, […], oppure se è quello di un progetto politico della moltitudine ‘per poter passare dalla sfera della possibilità a quella dell’esistenza’, […], comunque c’è bisogno di una soggettività completamente nuova. Ma su questo punto la teoria può, come sempre, seguire e non anticipare la prassi (p. 185).
E sono proprio l’attivazione pratica di nuovi processi di soggettivazione/memorizzazione e l’immaginazione/sperimentazione di nuove forme di lotte e di politica, forme declinate in senso partecipativo, gli snodi critici cruciali che emergono dalla lettura dei saggi di questo testo, al di là delle diverse e talora opposte prospettive filosofiche attraverso le quali è stato interrogato il “caso” Napoli.
Indice
Maurizio Zanardi, Una piega del mondo
Gianfranco Borrelli, Napoli oltre. Il senso possibile di possibili innovazioni
Bruno Moroncini, Napoli e la mancanza della plebe
Pierandrea Amato, Il vuoto e l’abitare
Giuseppe Antonio Di Marco, Napoli tra sviluppo e arretratezza. Rileggendo un testo del marxismo operista degli anni Settanta
Arturo Martone, Oltre ai resti di niente e sviscerato patire, l’impensato del reale
Links
Sito della casa editrice Cronopio:
Intervista a Maurizio Zanardi su Napoli:
Blog del Prof. Gianfranco Borrelli, coauture di Aporie napoletane:
Interviste a Giuseppe Antonio Di Marco sulla TAV e le nuove forme di lotta in Val di Susa e sulle periferie francesi:
3 commenti:
La raccolta di testi "Aporie napoletane Sei posizioni filosofiche" senza dubbio è ancora a suo modo attuale. Già in anno 2006 aveva ruolo marginale eppure proprio per questo reale.
Dopo Stato Unitario, Organizzazione di Nazioni Unite, Unione Europea, la particolarissima esistenza di Napoli vive storie prima impossibili, eventi paralleli che se tali non fossero di altra umanità sarebbero.
Scorgendo nelle tematiche sociali e nei ritrovati sociologici, elencati in stessa raccolta, senso di identità precario o quasi nullo, resta da notare che proprio la inconsapevolezza annulla gli effetti delle ignoranze, scaturite da vuoti di poteri democratici, deliberati o costretti.
Nella Prefazione c'è indistinzione, come se si fosse ai tempi della colonia greca ed ellena, che città ancora non era; il lettore però non si ritrova a pensar nulla se pensa Napoli come una metropoli asiatica perché il paragone ha senso! Ciò accade perché la indistinzione deriva da uno spaesamento, non scelta politica ma condizione di politica, che non è abbastanza però per dire di un destino totalizzante; significato intellettuale dimidiato non dimidiante, che si riferisce a considerazione sociale assai limitata non negativamente confinata di realtà globale, per nessun luogo tanto determinante e meno ancora per i luoghi diversi tra i quali Napoli è annoverabile. Cpn ciò la vicenda napoletana dal Secolo Decimo Settimo (1600-1700) fino ai nostri giorni non risulta senza corrispondenze perfette; eppure proprio in virtù di queste ne risulta racconto definitamente parziale.
Dalle Amministrazioni borboniche, sabaude, risorgimentali, ai commissariamenti unitari ed europei, tutto si svolge senza definitività e tutto ha una origine esterna: l'idea di democrazia imposta dall'ex pescatore amalfitano Masaniello, allorché la gente inconcludente ne sognava morte già sparito dalla città, nelle cui piazze poi "i sognatori" esibivano cadaveri di sconosciuti strozzandosi in gola i rimpianti del passato autoritario assieme alla cucina tornata uguale a prima non più 'esotica'... le diplomazie garibaldine che riuscivano ad impegnare in azioni oneste le criminalità organizzate non ancora italiane a tutti gli effetti ma non ostili a futuro italiano... il Governo Provvisorio, istituito altrove in Campania a Salerno, che agiva anche per Napoli in concomitanza coi moti partigiani napoletani, ugualmente indipendenti dalle azioni delle truppe alleate, queste in principio senza l'apporto italiano, dopo dato alle forze militari angloamericane che agivano entro quadro prospettato da Nazioni Unite... Tutto ciò è stato assai relativo in una nazione italiana dentro la nazione italiana, che Napoli stessa, quale comunità, è.
L'attenzione assoluta alla economia voluta dalla intellettualità di sinistra più autorevole e purtroppo anche autoritaria ovunque in Italia, potere alternativo ed interno durante Guerra Fredda e dagli anni della base militare americana del Patto Atlantico, differendo dalla volontà politica economica europea non potette differirne azioni, dovendo per forza di cose iniziare ad annullarsi la intransigenza, comunista-marxista, nell'affrontare impegni comuni europei. Dunque la prospettiva filosofica intellettuale consistente in dette "sei posizioni" rappresenta tal capitolazione, per i napoletani affatto diversa negli effetti, perché alla radicale differenza del luogo il fatale-finale compromesso per ex-marxismo ed altre ideologie, fossero altri comunismi od altro ancora, non era drammatica vuotità... Ugualmente alle parvenze quasi nulle del nuovo Centro Direzionale, ideato da architetto giapponese per dare forma a vocazione globale della economia e giurisdizione cittadina; però mentre per le strade, somiglianti vagamente a quelle di Brasilia, di tal Centro si percepisce l'altro presente cittadino direttamente, non così nei meandri intellettuali della postmetafisica napoletaneggiante e napoletana.
MAURO PASTORE
Nel mio testo precedente il termine
'Cpn'
sta per: Con .
Invierò testo corretto.
(Sono spiacente per inconveniente di scrittura accaduto e ne ricuso chi che me ne ha causato con relative altre necessità più gravi.)
MAURO PASTORE
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La raccolta di testi "Aporie napoletane Sei posizioni filosofiche" senza dubbio è ancora a suo modo attuale. Già in anno 2006 aveva ruolo marginale eppure proprio per questo reale.
Dopo Stato Unitario, Organizzazione di Nazioni Unite, Unione Europea, la particolarissima esistenza di Napoli vive storie prima impossibili, eventi paralleli che se tali non fossero di altra umanità sarebbero.
Scorgendo nelle tematiche sociali e nei ritrovati sociologici, elencati in stessa raccolta, senso di identità precario o quasi nullo, resta da notare che proprio la inconsapevolezza annulla gli effetti delle ignoranze, scaturite da vuoti di poteri democratici, deliberati o costretti.
Nella Prefazione c'è indistinzione, come se si fosse ai tempi della colonia greca ed ellena, che città ancora non era; il lettore però non si ritrova a pensar nulla se pensa Napoli come una metropoli asiatica perché il paragone ha senso! Ciò accade perché la indistinzione deriva da uno spaesamento, non scelta politica ma condizione di politica, che non è abbastanza però per dire di un destino totalizzante; significato intellettuale dimidiato non dimidiante, che si riferisce a considerazione sociale assai limitata non negativamente confinata di realtà globale, per nessun luogo tanto determinante e meno ancora per i luoghi diversi tra i quali Napoli è annoverabile. Con ciò la vicenda napoletana dal Secolo Decimo Settimo (1600-1700) fino ai nostri giorni non risulta senza corrispondenze perfette; eppure proprio in virtù di queste ne risulta racconto definitamente parziale.
Dalle Amministrazioni borboniche, sabaude, risorgimentali, ai commissariamenti unitari ed europei, tutto si svolge senza definitività e tutto ha una origine esterna: l'idea di democrazia imposta dall'ex pescatore amalfitano Masaniello, allorché la gente inconcludente ne sognava morte già sparito dalla città, nelle cui piazze poi "i sognatori" esibivano cadaveri di sconosciuti strozzandosi in gola i rimpianti del passato autoritario assieme alla cucina tornata uguale a prima non più 'esotica'... le diplomazie garibaldine che riuscivano ad impegnare in azioni oneste le criminalità organizzate non ancora italiane a tutti gli effetti ma non ostili a futuro italiano... il Governo Provvisorio, istituito altrove in Campania a Salerno, che agiva anche per Napoli in concomitanza coi moti partigiani napoletani, ugualmente indipendenti dalle azioni delle truppe alleate, queste in principio senza l'apporto italiano, dopo dato alle forze militari angloamericane che agivano entro quadro prospettato da Nazioni Unite... Tutto ciò è stato assai relativo in una nazione italiana dentro la nazione italiana, che Napoli stessa, quale comunità, è.
L'attenzione assoluta alla economia voluta dalla intellettualità di sinistra più autorevole e purtroppo anche autoritaria ovunque in Italia, potere alternativo ed interno durante Guerra Fredda e dagli anni della base militare americana del Patto Atlantico, differendo dalla volontà politica economica europea non potette differirne azioni, dovendo per forza di cose iniziare ad annullarsi la intransigenza, comunista-marxista, nell'affrontare impegni comuni europei. Dunque la prospettiva filosofica intellettuale consistente in dette "sei posizioni" rappresenta tal capitolazione, per i napoletani affatto diversa negli effetti, perché alla radicale differenza del luogo il fatale-finale compromesso per ex-marxismo ed altre ideologie, fossero altri comunismi od altro ancora, non era drammatica vuotità... Ugualmente alle parvenze quasi nulle del nuovo Centro Direzionale, ideato da architetto giapponese per dare forma a vocazione globale della economia e giurisdizione cittadina; però mentre per le strade, somiglianti vagamente a quelle di Brasilia, di tal Centro si percepisce l'altro presente cittadino direttamente, non così nei meandri intellettuali della postmetafisica napoletaneggiante e napoletana.
MAURO PASTORE
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