Recensione di Francesco Crapanzano – 23/11/2006
Filosofia della scienza
Il volume raccoglie saggi che rappresentano il frutto di alcuni anni di ricerca nell’ambito del pensiero complesso.
La storiografia filosofica contemporanea si è alcune volte mossa all’interno di ambiti angusti, fino allo scadere nel filologismo, nello specialismo, nella compiaciuta analisi di minuscoli ambiti di ricerca o di un linguaggio, incomprensibile ai più, il cui solo uso certifichi la bontà del lavoro. Giuseppe Giordano avversa tale modo di costruire prospettive e temi filosofici e, memore dell’insegnamento crociano secondo cui “la filosofia non si trova solo nei libri dei filosofi” (p. 16), volge lo sguardo a temi, figure e metodi tradizionalmente ai margini, se non esclusi, dalla storia della filosofia. Egli ricostruisce le tappe del cammino che porta alla svolta paradigmatica della complessità il cui terminus a quo è Einstein e il terminus ad quem è Edgar Morin. I “protagonisti” del volume “sono – per ammissione stessa dell’Autore – meno i filosofi che gli scienziati (ma non per questo non filosofi)” e questi ultimi emergono nella loro dimensione filosofica “consapevolmente tale” che impone l’appartenenza delle indagini alla ricerca storico-filosofica (cfr. p. 7). Le premesse metodologiche e gli obiettivi del lavoro di Giordano risultano ancor più convincenti quando si traducono nella pratica storico-filosofica, cioè quando entra nel vivo delle argomentazioni e analisi che danno vita ai saggi raccolti nel volume. Parecchie figure e tematiche prese in considerazione provengono dall’ambito scientifico tradizionalmente regno dei filosofi della scienza, mentre Giordano ne rivendica l'importanza e centralità per la riflessione storico-filosofica. Si ha la chiara sensazione che la ‘deprofessionalizzazione’ della filosofia della scienza operata dall’Autore funzioni, i risultati a cui perviene sono originali, “l’analisi logico-filosofica della scienza [lascia] il posto ad altre chiavi di lettura” che non [sono] quelle demarcazioniste o analitiche in senso lato (cfr. pp. 133-135). Vengono presentati, nell’ordine, Bohr, Heisenberg, Prigogine, i ‘nuovi’ filosofi (cfr. pp. 20-52); Popper, Kuhn e Feyerabend (pp. 53-80), la cui immagine più o meno esplicitamente “illiberale” della scienza contrasta con la contemporanea propensione di questa a riconoscere la complessità del reale e a recuperare “pienamente al suo interno la storia” (p. 79). Si prosegue leggendo dell’insospettata ‘alleanza metafisica’ tra la scienza galileiana ed il cristianesimo sul terreno platonico, infranta da Laplace che ritiene non necessaria l’ipotesi di un Dio garante del suo sistema fisico (cfr. pp. 81-92). Si arriva, poi, al nuovo scenario rappresentato dalle riflessioni di Vernadskij e Lovelock riguardo all’ecosfera e alla biosfera che possono instaurare un proficuo rapporto tra uomo e natura non solo su base tecnologica ma pure etico-spirituale (cfr. pp. 92-94).
La prima parte del volume presenta ancora una “ricostruzione dei fondamenti storico-filosofici e scientifici del pensiero eco-etico”, pensiero in cui è centrale il connubio tra essere vivente ed etica, nel senso che la seconda non si limita a regolare i rapporti fra gli uomini ma è costretta a dilatare i propri orizzonti all'ecosfera (cfr. pp. 95-132). È un’articolata esplorazione intorno a motivi e personaggi responsabili del cambio di “paradigma” dal riduzionismo alla complessità: la scoperta delle geometrie non-euclidee da parte di Riemann, la teoria della relatività di Einstein, i lavori di Planck, Heisenberg e Bohr sulla termodinamica e la fisica dei quanti, rappresentano a vario titolo dei magli contro le certezze della scienza classica. La nuova scienza, quella della complessità, è rappresentata dal biochimico Erwin Chargaff, dal Nobel per la chimica Ilya Prigogine, dal fisico Niels Bohr, dallo scienziato russo Vernadskij e dall’americano James Lovelock (il padre dell’ipotesi “Gaia”). Si tratta di una scienza non più “deresponsabilizzata ed estranea, [ma] effettivamente responsabile, anzi, per usare il titolo di un celebre libro di Edgar Morin, [di una] scienza con coscienza” (p. 131). “Siamo in un momento – aggiunge Giordano – in cui l’ecologia deve trasformarsi in ecosofia” (ibidem); la nuova scienza è più responsabile perché sa che “la terra è una totalità complessa fisica/biologica/antropologica, in cui la vita è un’emergenza della storia della terra e l’uomo un’emergenza della storia della vita terrestre” (p. 132).
Il capitolo che chiude la prima parte del testo (La polemica contro lo specialismo. Tappe di un percorso verso la complessità da Ortega a Morin, pp. 133-174) contestualizza e approfondisce le premesse metodologiche inizialmente esposte. Ortega y Gasset viene ritratto come paladino della guerra contro lo specialismo, colui il quale ha criticato, prima di Popper, Kuhn, Chargaff, Heisenberg ecc., la “barbarie” di chi opera in comparti stagni e che perciò emerge “come uno strano tipo d’uomo, né dotto né incolto” (p. 142). Edgar Morin, poi, rappresenta il punto di confluenza per tutta la riflessione anti-riduzionista, anti-specialista, e perciò ‘complessa’, sulla realtà e sui modi di conoscerla: “La specializzazione disciplinare ha esercitato un ruolo positivo nella crescita del sapere, ma ha anche sviluppato tutti i rischi potenziali che essa recava con sé, rischi che si possono riassumere nella decontestualizzazione dell’oggetto della ricerca e nella parcellizzazione, segnata da incomunicabilità, fra discipline e settori di ricerca specialistica diversi” (pp. 169-170); “lo specialismo è stato il frutto maturo della razionalità astratta” (p. 174).
Nella seconda parte Giordano riconduce in modo originale il pensiero complesso alle sue radici filosofiche esplicitandone singoli debiti verso filosofi e filosofie.
Iniziando da Wolfgang Pauli e Albert Einstein, il cui confronto si svolge sul terreno del linguaggio scientifico considerato come unico e perfettibile dal secondo e uno fra diversi e mutevoli approcci alla realtà dal primo (cfr. pp. 177-202), si passa a Niels Bohr, fisico incline a riflessioni sulla biologia che non fanno sparire la vita nel processo di oggettivazione scientifica, ma allargano quest’ultimo alla luce della fisica quantistica. Ciò consiste nell’estensione del “criterio epistemologico del principio di complementarità” (considerare aspetti contraddittori della realtà come ontologicamente fondati, quindi non reciprocamente escludentesi) che non riduce “il vitalismo al meccanicismo” (cfr. pp. 203-228) e permette un approccio epistemologico del vivente in cui “se da una parte le leggi fisico-chimiche devono valere nell’organismo, dall’altra […] le leggi biologiche non devono essere semplicemente una conseguenza di quelle fisico-chimiche” (pp. 225-226).
Questa conclusione è stata espressa da Heisenberg, il quale riconosce come essa sia “l’altro lato della tesi di Bohr”. E ad Heisenberg è dedicato il capitolo successivo (Werner Heisenberg tra Kant e Hegel) in cui si mette in risalto la sua “critica a Kant” e la consonanza con Hegel, l’uno figura del paradigma riduzionista, l’altro della complessità (cfr. pp. 229-249). Attraverso il confronto dialettico con i due grandi filosofi, emerge la profonda consapevolezza di Heisenberg “della storicità dei concetti scientifici” (p. 239), egli - scrive Giordano - “ha colto l’istanza della necessità di storicizzare la scienza e superare il paradigma classico” (p. 249).
Sempre Kant è al centro delle riflessioni critiche di Prigogine (Prigogine e la critica a Kant). Rifiutando i vari riduzionismi (del qualitativo al quantitativo, delle quattro cause alla causa efficiens, del mutamento a movimento; cfr. pp. 254-258) operati dalla scienza classica, non può che valutare i limiti di colui che “identificando sic et simpliciter la scienza con quella di Newton, ha negato il pluralismo nella scienza stessa [e] ha ratificato la scienza classica perché allo stesso modo in cui essa cercava l’unica spiegazione del reale, la spiegazione vera, così [Kant] ha cercato l’unico modo di conoscere i fenomeni” (p. 270).
La teoria dei sistemi è al centro del successivo capitolo (Il circolo di retroazione dalla cibernetica all’autopoiesi). Si tratta di un excursus che prende in esame le differenti ‘declinazioni’ date a questa disciplina: da quella biologica a quella cibernetica fino a giungere all’umanistica. Giordano fa notare come al suo interno abbiano sempre prevalso due posizioni: una riduzionista, che ad esempio riconduce l’uomo al funzionamento di una macchina computazionale in cibernetica o a quello dei geni in biologia, l’altra complessa. La seconda ha il pregio di non confinare l’uomo nel contesto determinista o riduzionista, annullandone, di fatto, la peculiarità. L’interazione fra “organizzazione” e “struttura” risulta essere reciproca e non più univoca (la struttura che determina l’organizzazione). Infatti, secondo la prospettiva tradizionale, “l’organizzazione riguarda la descrizione, per così dire, astratta delle relazioni fra i componenti di un sistema, la struttura […] è costituita dalle relazioni reali fra componenti fisici. In altre parole la struttura del sistema è l’incarnazione fisica della sua organizzazione” (p. 302); invece, “secondo Maturana e Varela – alfieri del nuovo paradigma della complessità in ambito neurofisiologico – gli esseri viventi si caratterizzano perché si producono continuamente da soli, il che [viene indicato] denominando l’organizzazione che li definisce organizzazione autopoietica” (p. 303), quindi eminentemente ‘circolare’. Per Giordano, “cibernetica e biologia […] costituiscono un evidente esempio del mutamento epistemologico che ha inserito l’uomo nel suo mondo – quel mondo da cui Galileo e Cartesio l’avevano staccato -, reinserimento di cui la metafora del circolo è massimamente esplicativa” (pp. 310-311).
Il capitolo finale (Thomas Kuhn) presenta in forma breve una delle figure più note della filosofia della scienza contemporanea: Thomas Samuel Kuhn. Ci si sbaglierebbe pensando ad una semplice esposizione dei concetti-chiave dell’epistemologia kuhniana; nelle poco più di quindici pagine dedicate all’argomento, Giordano (che di Kuhn si è più volte occupato) evidenzia pregi e nodi problematici delle definizioni di “paradigma”, “scienza normale”, “anomalia”, “rivoluzione scientifica”, “incommensurabilità” tra teorie. La sottile analisi su tali temi lo porta a considerare come Kuhn recuperi la storia della scienza alla filosofia della scienza: “È la ricerca storica che fa comprendere inequivocabilmente come la scienza non sia e non possa essere isolata dal contesto culturale e sociale in cui si manifesta” (p. 329). Ma, si chiede Giordano, la “scelta metodologica [che rivaluta la storia della scienza] ha costituito effettivamente, per usare la terminologia del filosofo americano, un mutamento di paradigma rispetto alla filosofia della scienza della prima metà del Novecento? La risposta a questa domanda […] è negativa” (p. 329). Kuhn rivaluta la dimensione storica e sociale della scienza, tuttavia non mette significativamente in discussione quella logica, né, soprattutto, la scienza cui guarda è di tipo diverso rispetto a quella dei neopositivisti o di Popper; infatti, “è la tradizione scientifica i cui connotati sono stati tracciati all’inizio dell’età moderna […], è una scienza, almeno epistemologicamente, classica. Un mutamento paradigmatico avrebbe richiesto un mutamento di oggetto” (p. 330) e il nuovo oggetto – suggerisce l'Autore – è rappresentato dalla ‘scienza’ della complessità che Kuhn non considera e perciò, più che essere “un pilastro della nuova filosofia della scienza”, egli incarna “una crepa apertasi nell’edificio della classica filosofia della scienza” (p. 329). Tali considerazioni, comunque, non sminuiscono “in alcun modo l’importanza e il ruolo innovativo che le riflessioni di Thomas Kuhn hanno avuto nella storia della filosofia del Novecento” (p. 330).
Indice
Premessa
Questioni metodologiche e interpretative
I. Storia della filosofia, scienza e scienziati. Nuovi modelli storiografici e nuovi luoghi della filosofia
II. L’immagine illiberale della scienza nell’epistemologia del Novecento. Popper, Kuhn, Feyerabend
III. Cristianesimo e scienza: dalla scienza classica alla scienza della complessità
IV. Dalla scienza estranea alla scienza “responsabile”. Per una ricostruzione dei fondamenti storico-filosofici e scientifici del pensiero eco-etico
V. La polemica contro lo specialismo. Tappe di un percorso verso la complessità da Ortega a Morin
Personaggi e figure fra due paradigmi
VI. Pauli, Einstein e il linguaggio scientifico
VII. Niels Bohr e la Biologia
VIII. Werner Heisenberg tra Kant e Hegel
IX. Prigogine e la critica a Kant
X. Il circolo di retroazione dalla cibernetica all’autopoiesi
XI. Thomas Kuhn
Bibliografia citata
Nota bibliografica
L'autore
Giuseppe Giordano è professore associato di Storia della filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina, ove insegna pure Filosofia della scienza. È coordinatore del comitato editoriale della rivista “Complessità” (Sicania). Nella sua attività di ricerca si è interessato prevalentemente dei rapporti tra filosofia e scienze, in una prospettiva eminentemente storico-filosofica. È autore di diversi saggi su Croce, Franchini, Bohr, Eddington, Einstein, Kuhn, Pauli, Popper, Prigogine. Tra i suoi libri: Tra paradigmi e rivoluzioni: Thomas Kuhn (Rubbettino, 1997); Tra Einstein ed Eddington. La filosofia degli scienziati contemporanei (Armando Siciliano, 2000); La filosofia di Ilya Prigogine (Armando Siciliano, 2005).
Links
Sito web del Centro Studi di Filosofia della Complessità “Edgar Morin” cofondato dall’Autore - www.filosofiacomplessa.it
Rivista sulla Complessità -
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