Filosofia teoretica, Antropologia filosofica
Recensione di Ottavia Spisni -26/02/07.
Il denso volume di Roberto Garaventa offre uno sguardo teoretico sul concetto di ‘angoscia’ in riferimento a come l’hanno concepito e sviluppato alcuni importanti pensatori dell’Ottocento e del Novecento. Gli ambiti e i punti di vita di analisi del termine sono molteplici a seconda del contesto storico e filosofico di riferimento di ogni singolo pensatore (analisi dell’esistenza, psicoanalisi, sociologia, teologia). Il libro si apre dunque con la definizione di “angoscia”, “uno stato affettivo (o una condizione dell’animo) che ha un significato centrale e fondamentale per e nell’esistenza umana, in quanto mette l’individuo a confronto con la sua libertà, cioè con la sua facoltà di scegliere fra molteplici possibilità e così di decidere di se stesso e del proprio destino, ma al contempo con i suoi limiti, la sua problematicità, la sua caducità, la sua finitudine” (p. 5). Il concetto di angoscia è polivoco, si riferisce a un reale complesso, e non è quindi possibile effettuare una distinzione netta tra l’angoscia e stati affettivi affini quali il timore, la paura, lo spavento, la fobia, il panico, l’ansia; inoltre, sono molteplici le situazioni umane in cui può presentarsi angoscia. Tuttavia, in ogni situazione possibile e nella legittimità di una distinzione tra “sensazioni” (Empfindnisse), “tonalità emotive” (Stimmungen) e “sentimenti” (Gefühle), l’angoscia ha come facoltà prima di singolarizzarci, di isolarci e di rinchiuderci in noi stessi; è la cartina tornasole della conditio humana, la tonalità emotiva chiave della condizione umana, il modo di avvertire in maniera diretta e senza mediazioni l’esistenza, singolare, finita, incerta, unica, ed è paradossalmente l’unico modalità di accesso alla sua “autenticità”.
Dal punto di vista della storia della filosofia, il concetto diventa rilevante solo con la riscoperta della dimensione della corporeità ad opera di pensatori quali Schelling, Schopenhauer, Feuerbach, Nietzsche, Freud. È Kierkegaard il primo pensatore a occuparsi di questo stato affettivo fondamentale dell’esistenza in modo sistematico e a fornirne una fenomenologia. Il suo Concetto dell’angoscia mette in luce l’angoscia del nulla che assale l’uomo quando si scorge libero e, dunque, nel momento in cui è chiamato a scegliere una singola e unica possibilità a scapito di tutte le altre, a identificarsi, a diventare “Io”: “L’angoscia ha dunque una funzione propedeutico-formativa alla fede, ma può essere vinta e superata solo dalla e nella fede, che libera l’uomo dalla sua angosciata concentrazione su di sé e sul finito e, dischiudendogli la dimensione dell’Eterno, gli rende possibile un approccio non più angosciato con il mondo e il prossimo” (p. 34). In seguito, dopo la prima guerra mondiale, il concetto diviene fondamento per le filosofie dell’esistenza (Heidegger, Jaspers, Sartre). Nell’opera di Heidegger, essenziali alla cura (Sorge) sono tre aspetti dell’esistenza: la libertà, la necessità, l’inautenticità. L’esserci è progetto (Entwurf), ma al contempo si trova in una condizione di gettatezza (Geworfenheit) ed è passibile di esistere anche secondo una forma inautentica, deietta (Verfallenheit), dominata dalle scelte altrui. Il volume ricostruisce la centralità del concetto di angoscia nello sviluppo del pensiero di Heidegger, a partire dall’analisi del § 29 di Essere e Tempo, passando per i concetti-chiave presenti in tutta l’opera e confrontandolo con la declinazione del concetto presente in Che cos’è metafisica.
L’analisi prosegue considerando l’itinerario di pensiero di Freud in merito all’angoscia. Dapprima, essa è considerata come “libido trasformata”, ovvero libido non utilizzata ma accumulata e trasformata; dal 1926, con Inibizione, sintomo e angoscia, è considerata come una reazione dell’Io a situazioni di pericolo. Garaventa si concentra successivamente sull’analisi della concezione jaspersiana di angoscia, presente nella grande opera del 1932, Filosofia. All'idea di angoscia come chiave di volta della condizione umana si ricongiunge l’insegnamento cardine dell’intera tradizione filosofica occidentale, quello che vede la cura per la morte (melete Thanatou) come un altro nome per la libertà, e ancora, un altro nome per la responsabilità. La responsabilità è nei confronti di sé stessi e della propria angoscia per dare infine un senso e una direzione alla propria vita, e di conseguenza comunicare autenticamente con gli altri. Le domande di orientamento autenticamente filosofico, “da dove vengo” e “dove vado”, devono restare domande appunto, aperte, in quanto “la vita è di per sé tensione, inadeguatezza, incompiutezza” (p. 83). L’uomo che non si interroga è come re Amfortas (Parsifal) malato di una ferita insanabile, la cui ferita smette di sanguinare solo all’incontro con il suo dono più proprio, la fede filosofica che “consente di esperire la quiete senza rimuovere l’angoscia del naufrago” (p. 86). Nel Sartre di L’essere e il nulla e di L’esistenzialismo è un umanismo, “la libertà è l’essere della coscienza umana’ (p. 89), nel senso che l’uomo è un “per-sé”, “si fa” in base alle sue scelte e decisioni e dunque la libertà si autodetermina da sé stessa. Tramite l’esperienza dell’angoscia facciamo esperienza del carattere ingiustificabile di ogni nostra scelta. Essa è coscienza della libertà. La rassegna prosegue con l’analisi dell’angoscia dal punto di vista dei rapporti intersoggettivi e delle relazioni sociali, nonché del suo ruolo nell’ambito della genesi dell’aggressività umana (Fromm). Jonas pone l’accento sulla funzione terapeutica dell’angoscia: in una società a tecnologia avanzata come la nostra, è necessario utilizzare mezzi (ad esempio la divulgazione scientifica) per acuire la percezione di problemi reali (altrimenti ormai divenuta ottusa) quali la preservazione del pianeta. Bisogna inoltre ricorrere a una “euristica della paura” (Jonas e Anders): “L’uomo della società tecnologica avanzata dovrà dunque imparare a provare un profondo ma salutare senso di paura, angoscia, terrore al pensiero dei possibili futuri sconvolgimenti cui andranno incontro le generazioni future” (p. 114). Infine, va almeno citato il punto di vista della teologia, che vede l’importanza della fede cristiana per contrastare gli effetti dell’angoscia ontologica sull’uomo sotto forma di disperazione, nevrosi, aggressività (Tillich e Drewermann).
Indice
Angoscia: uno stato affettivo fondamentale dell’esistenza
Søren Kierkegaard: una fenomenologia dell’angoscia
Martin Heidegger: angoscia e spaesamento
Sigmund Freud: angoscia e rimozione
Karl Jaspers: angoscia, morte, comunicazione
Jean-Paul Sartre: libertà, angoscia, responsabilità
Erich Fromm, Hans Jonas, Günter Anders: angoscia, aggressività, tecnocrazia
Paul Tillich e Eugen Drewermann: angoscia e fede
Bibliografia
L'autore
Roberto Garaventa (1951) ha studiato a Genova con Alberto Caracciolo e a Tübingen con Hans Küng. Tra i suoi lavori, ricordiamo Nichilismo, teologia ed etica. Saggio su Wilhelm Weischedel, Milella, Lecce 1989; Il suicidio nell’età del nichilismo. Goethe, Leopardi, Dostoevskij, Angeli, Milano 1994; La noia. Esperienza del male metafisico o patologia dell’età del nichilismo? Bulzoni, Roma 1997; Esperienza della morte, senso dell’esistenza, impegno etico. Aspetti e problemi della tanatologia filosofica contemporanea, Troilo, Bomba 1999; Religione e modernità in Ernst Troeltsch, Luciano, Napoli 2004. È ordinario di Storia della filosofia contemporanea presso l’Università ‘G. d’Annunzio’ di Chieti-Pescara.
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