Recensione di Carla Maria Fabiani – 4/3/2007
Etica
Il testo di Laura Tundo Ferente che qui presentiamo si muove su due distinte e al contempo connesse dimensioni teoriche: quella propriamente filosofica, che rimanda all’esercizio della riflessione critica, che scava in profondità, tesa a far emergere i processi di formazione della coscienza etica moderna, e quella storica, che ricostruisce e prefigura scenari, che mantiene alto lo sguardo sull’orizzonte di una modernità solo apparentemente in declino. Ci si potrebbe chiedere perché attribuire così grande rilevanza alla coscienza; e perché declinarla nel suo aspetto etico; e poi perchè, soprattutto, moderno. L’intento è quello di rispondere innanzitutto ai “maestri del sospetto”. Marx, Nietzsche e Freud, presi insieme, delegittimano ogni pretesa filosofica di rintracciare nella modernità, una forma etica di coscienza, valida universalmente e stabile ontologicamente; ovvero una ragione autocosciente, conscia dei propri limiti e perciò capace di uscire da condizioni di minorità interna ed esterna (Kant e Hegel presi insieme). Contemporaneamente, sul piano della storia, l’autonomia di un soggetto che fa la propria storia (per es., le Carte dei popoli), viene duramente inficiata da dinamiche economicistiche non propriamente riconducibili a forme di autoconsapevolezza, autocontrollo, autonomia, libertà. Il nodo storico-filosofico intorno a cui ruota la riflessione di Laura Tundo è perciò costituito dalla crisi etica del soggetto moderno. L’Autrice propone una rilettura di tale crisi facendo però perno sulla valenza morale che, volenti o nolenti, contraddistingue il nostro agire. L’inconsistenza di un soggetto filosofico ridotto moralmente ai minimi termini non chiude certo la storia. Se con il sistema idealistico di stampo hegeliano la storia sembrava virtualmente interrotta verso l’alto dalla mente assoluta e autotrasparente del filosofo-soggetto ora, con una certa postmodernità, si lascerebbe intendere che la storia si chiuda verso il basso, esaurendosi via via la forma del soggettivo, cioè l’autocoscienza libera, individuata e universale al contempo.
E invece, suggerisce l’Autrice, eventualmente ciò che si esaurisce – verso l’alto o verso il basso – è la capacità del filosofo di fare storia o, il che è lo stesso, di interpretare criticamente la storia.
È innanzitutto una questione di metodo ciò che questo testo invita a prendere sul serio: l’esercizio filosofico puro non regge, non basta a se stesso, non può autonomizzarsi dal contesto, non vale se è autoreferenziale. Deve calarsi nella storia, prefigurando possibili svolte, cambi di paradigma, o anche solo rileggendo il passato, riconoscendo i limiti culturali entro cui la specificità del pensiero filosofico si muove. Il contesto in cui la filosofia opera non va espunto, pena la produzione di filosofie assai ingenue. Le ragioni di questa forte presa di posizione metodologica sono, a nostro avviso, da rintracciare nel contenuto stesso del testo: la costruzione della coscienza etica moderna costituisce un punto di non ritorno, con il quale la stessa ricerca filosofica deve misurarsi, in positivo o in negativo che sia. Leggiamo allora, senza pretese di completezza, solo alcuni passi del testo.
La modernità, la cultura e la storia moderna, hanno un incipit ben preciso che muove proprio dalla messa in risalto di aspetti umani tendenzialmente universali perché operanti e significativi innanzitutto sul piano della prassi: la dignità dell’uomo di un Pico della Mirandola (1484) è il segno di uno stacco epocale dalle riflessioni medioevali che restituisce in termini filosofici un’antropologia fondata sulla capacità umana di agire-progettare liberamente il proprio destino. L’accento cade sulla dimensione attiva, pratico-morale attribuita all’essere umano. Sul fronte teoretico, la filosofia dell’Umanesimo, con un Nicola da Cusa, pone le basi concettuali per quello che, in tutto il corso della modernità, sarà il metodo d’indagine conoscitiva attribuita specificamente all’uomo: conoscenza certo finita e limitata, perché distinta dalla conoscenza infinita propria del Dio trascendente, e però tendenzialmente infinita nel senso di inarrestabile: “Il nuovo asse intorno a cui ruota la discussione è ora l’uomo, le sue capacità-abilità, la sua operosità-fabbrilità, che comporta, per un verso, valorizzazione di sé e presa di coscienza delle proprie possibilità, e per altro verso esige libertà di movimento, scelta autonoma.” (p. 23).
La filosofia in età moderna, sembra suggerirci l’Autrice, nasce calata in contesti morali, pratici e perciò produttivi di forme etiche di coscienza. La coscienza non scende dall’alto, ma sorge dal basso, mischiata all’accidentalità, anche alla bruta empiria, al corpo, alla materia informe, alla natura, alle dinamiche socio-economiche; e tuttavia compito della riflessione filosofica dell’Umanesimo-Rinascimento sembra essere quello di rintracciare un comune denominatore universalmente valido, sebbene ambiguo e ambivalente, quale quello di uomo: “La duplice valenza, ovvero l’ambivalenza intrinseca dell’Umanesimo, si mostra dunque abbastanza chiaramente: da una parte l’illuminarsi di un principio universale, [...] dall’altra l’alienazione di quello stesso principio d’uomo in quello di individuo economicamente dotato, dotato cioè di virtù (fabbrilità) e di fortuna (ricchezza) [...].” (p. 29). L’avvento della borghesia sulla scena della storia occidentale – a far tempo dal Comune fino al governo del principe – crea le condizioni di possibilità per una dialettica filosofica (la coscienza etica moderna in corso di formazione) che acquisisce e pone principi etici in teoria universali, ma in pratica validi solo per alcuni.
Altro snodo centrale della modernità è costituito dal dibattito tra Sei e Settecento sul diritto naturale (pp. 48 e ss.): “La riflessione dei teorici inglesi, tedeschi e francesi del diritto naturale – Grozio, Althusius, Hobbes, Pufendorf, Thomasius, Locke – si lega strettamente agli stessi principi che abbiamo visto rivendicati con una rivoluzione.” (p. 51). La nascita di un principio etico-giuridico quale quello di diritto naturale soggettivo, è il segno di un capovolgimento di paradigma antropologico che vede l’uomo come soggetto razionale di per sé libero ed autonomo in campo innanzitutto pratico-morale. È questa libertà-razionalità attribuita per natura all’uomo – e poi a tutti gli uomini eguali per natura – che lo rende capace di prendere su di sé il peso della fondazione di Stati. E tuttavia, proprio sul piano della politica – dei rapporti di potere e di proprietà – sorge un conflitto spesso irredimibile fra il principio etico della libertà e quello dell’eguaglianza. Max Weber vede con chiarezza, secondo l’Autrice, la crisi del diritto naturale sia come crisi di legittimità dei principi che reggono l’ordinamento giuridico nel suo complesso, sia come crisi politica del diritto, derivante dallo “stabilirsi di una stretta relazione fra forma del potere, anche autoritario, [...] e forma del diritto.” (p. 67). La storia delle moderne rivoluzioni occidentali, compresa quella russa, racconta le alterne vicende del principio etico dell’eguaglianza. E qui Rousseau e Marx, insieme al socialismo utopico sono i protagonisti indiscussi.
Laura Tundo cita significamene una prolusione tenuta da Isaiah Berlin (Due concetti di libertà, Oxford 1958, trad. it. Feltrinelli, Milano 2000) nella quale viene messo in luce il fallimento del progetto sovietico, e la conseguente necessità di riportare in auge il concetto di libertà. Esso è legato indissolubilmente al soggetto: “Qual è l’origine dell’operatività del soggetto, ovvero: il soggetto ha al suo interno la sorgente del principio del proprio agire, oppure all’esterno?” (p. 125). In età contemporanea una delle risposte più note a questa domanda dirimente proviene dai teorici dell’etica pubblica: primo fra tutti da Jürgen Habermas, secondo il quale è con l’intersoggettività dell’agire comunicativo che si universalizza l’azione morale, in un contesto in cui ciò che emerge, anche in forma conflittuale, è il problema della convivenza fra visioni e posizioni morali, culturali, religiose assai diverse fra loro. E tuttavia ciò che si obietta al soggetto habermasiano è questa sua eccessiva inclinazione alla giuridificazione, il cui rischio è quello di restituire di sé la debole immagine – al dunque impraticabile sul piano politico – di “rapporti civili fra soggetti di diritto privato”(p. 142). Ma veniamo a noi, cioè a i nostri giorni: “Alla crisi dello Stato sovrano nazionale si affianca un forte interesse per la comunità, che è contestuale ma confliggente con la maturazione politico-pragmatica di una struttura dotata di autorità sopranazionale, come l’Unione europea, che coltiva l’ambizione di giungere a integrare i precedenti principi di sovranità, cittadinanza, democrazia a un livello post o sovranazionale. [...] E confligge, infine, con l’avanzare, [...] dell’idea di una progressiva unificazione dell’umanità, l’idea cosmopolitica, ben chiaramente distinta, tuttavia, dall’autocandidatura dell’unica superpotenza a potenza-guida, egemone sul piano planetario.” (p. 162) E ancor più distinta da un processo universalizzante-omologante delle differenze individuali, culturali. In questo ambito teorico e pratico si recupera sia un certo Hegel (con Taylor) sia un certo Aristotele (con Sen), entrambi però calati nelle vicende economico-politiche attuali, cioè nella cosiddetta globalizzazione o mondializzazione dell’economia capitalistica. Ciò che risulta inaccettabile è tuttavia l’imposizione violenta da parte dell’Occidente di processi universalizzanti a scapito di culture non-occidentali. La costruzione di una coscienza etica – quella moderna di cui abbiamo fino ad ora seguito il non facile cammino storico e storico-filosofico – sembra clamorosamente franare, venir meno su questo crudo dato di realtà: la guerra.
Eppure, secondo Laura Tundo, possiamo rintracciare forme ontologicamente stabili di coscienza etica, riconducibili al moderno, laddove individuiamo concettualmente pratiche di solidarietà. La fraternità-solidarietà è declinata qui in stretta analogia con il tema antropologico e teoreticissimo dell’origine: “In questo sta probabilmente la forma più pervasiva del co-essere, del Mit-sein, come carattere essenziale della stessa esistenza umana, di cui il pensiero occidentale, a partire almeno dalla sinistra hegeliana, ha riconosciuto l’importanza.” (p. 217). È qui che il testo si inoltra nella verticalità dell’umano (processi di identificazione di sé con sé), coniugandola felicemente con quella orizzontalità (co-essere) che strutturalmente, insieme alla prima, contraddistingue la natura dell’uomo. Da qui emergono categorie morali quali il dono o il riconoscimento, ancora in corso di formazione. Sembrerebbe allora che il moderno abbia raggiunto, sebbene tortuosamente, un esito buonista, ottimistico, aperto al futuro, a scenari storici e filosofici tendenzialmente non conflittuali ed eticamente consci. E tuttavia, proprio a conclusione del testo, l’Autrice riapre assai problematicamente il percorso etico della coscienza moderna. In effetti, col principio di responsabilità (Weber, Jonas e soprattutto Lévinas) ci si fa avanti un soggetto che, per dirla in breve, è responsabilmente asimmetrico, privo di reciprocità nel suo approssimarsi gratuitamente all’Altro. Quello che emerge è una forma paradossale di soggettività, che non parte da se stessa, ma sempre e solo dall’altro. Con tutte le dovute distinzioni del caso, saremmo tentati di recuperare il noto motto hegeliano: “Das Wahre ist das Ganze” (Fenomenologia dello spirito, [1807], trad. it. a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2000, p. 68). Qui Hegel è ancora una volta con Aristotele nel ritenere che la relazione viene prima dei termini.
Indice
Premessa
Agli albori della modernità. L’idea di dignità dell’uomo
Libertà autonomia autogoverno
Il tormentato percorso del principio di eguaglianza
Intermezzo: prime affermazioni storico-politiche
La declinazione contemporanea dei principi di libertà-giustizia-equità
Universalismo: valore e limite
La solidarietà
La responsabilità
Indice dei nomi
L'autrice
Laura Tundo Ferente insegna Storia della filosofia morale e Bioetica nella facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Lecce. Fra le sue pubblicazioni: L’utopia di Fourier (Dedalo Bari 1991) e Kant. Utopia e senso della storia (Dedalo Bari 1998). Ha curato le edizioni italiane di Mercier, L’anno 2440 (Dedalo Bari 1993); Kant, Per la pace perpetua (BUR Milano 2003) e il volume Etica e società di giustizia (Dedalo Bari 2001)
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