Recensione di Fabio Lelli – 27/05/2007
Filosofia politica, Filosofia del diritto
1. Il testo è una raccolta di articoli del famoso costituzionalista tedesco, raggruppati attorno al tema dello stato secolare e democratico; un breve ripasso della sua storia e dei suoi presupposti in vista della mutazione probabilmente irreversibile delle condizioni che l’hanno creato. La raccolta comprende oltre a scritti teorico-politici di più ampio respiro, anche alcuni interventi di stampo storico-critico su alcuni autori classici della filosofia del diritto e della politica, come von Savigny, Hegel e Carl Schmitt.
Il primo contributo è dedicato alla scuola storica di von Savigny, colpevole, a dire dell’autore, di aver considerato la storia del diritto lo sviluppo di una aprioristica entelechia che tende naturalmente al sistema formale. Questa prospettiva non può quindi cogliere quel legame essenziale e biunivoco fra società e diritto, dialetticamente uniti in una reciproca influenza. Compare qui una delle valutazioni peculiari del pensiero politico di Böckenförde: il diritto si innesta in un polarità già presente fra etica (di quella società) e politica; non può “bastare a sé stesso” e, soprattutto, non può funzionare per la sua sola normatività interna, perché il suo fondamento risiede sempre nel “sentire” del popolo.
Di “secolarizzazione” Böckenförde dà una definizione semplice: è il distacco di un ambito o di un’istituzione “dall’osservanza e dal potere clerical-spirituale” (p. 34). È anche un processo storico antico quanto l’idea di Stato, a partire dalla lotta per le investiture, passando per Hobbes, l’editto di Nantes, e naturalmente le guerre di religione. Ma dissolto il legame con Dio, supplente dell’unità statale divenne l’ideale di nazione, che adesso sta mutando (per non dire sgretolandosi) a causa della globalizzazione e della supremazia internazionale dei diritti dell’uomo. Cosa può tenere ora unito lo stato liberale? Una religione civile? Ma non sarebbe una forzatura proprio di quella libertà che ne è alla base? La conclusione è che lo stato secolarizzato si deve rifare a presupposti esterni, non può generare da sé le condizioni per la propria esistenza. In questo consiste il “teorema di Böckenförde” al quale Habermas risponde nei recenti scritti di “Tra scienza e fede”.
Già per Hegel lo stato poteva e doveva essere autonomo dalla Chiesa, perché conteneva in sé la sua essenza (come suprema realizzazione dello spirito oggettivo), ma allo stesso tempo poteva innestarsi solo in una coscienza religiosa diffusa (cristiana) che aveva il compito di educare le coscienze dei cittadini. Böckenförde estrapola questa considerazione riferendola alla contemporaneità: la forma dello stato attuale non si può più basare sulla religione, quindi il suo consenso è “sospeso in aria”, ed è per questo che spesso si riaffaccia l’idea della “religione civile”.
2. Lo Stato, seguendo la lezione di Schmitt, è lo spazio di pacificazione di una comunità, quell’ambito del “politico” che permette la gestione dei conflitti senza che questi sfocino in una lotta (come succede invece con lo spazio esterno dei “nemici”). Per adempiere questa funzione lo stato si è separato dalla società, e la sua separazione e dialettica con la società è necessaria ad evitare il totalitarismo — brillantemente definito da Böckenförde come l’identificazione del politico con la società — e a difendere i diritti degli individui. Ma allo stesso tempo il fatto che la società non possa organizzarsi da sola attorno a questa funzione pacificatrice rende a sua volta necessario lo Stato.
Se l’esistenza e la legittimità dello Stato sono legate alla gestione di questa unità “pacificata”, è necessario che quest’ultimo entri anche nella gestione dell’economia. Infatti proprio la separazione dalla società rende possibili le ingiustizie sociali, ed è quindi indispensabile un certo livello di stato sociale, o non sarà possibile mantenere quella situazione di relativa omogeneità sulla quale deve innestarsi i potere statale. Böckenförde mantiene anche in questo caso una predilezione per il modello dialettico: non si tratta né della pura autonomia dell’economia, né di un mero dirigismo statale. Lo Stato imporrà alcuni “correttivi” o “linee guida”, unicamente al fine di poter svolgere la sua funzione.
3. Negli articoli che toccano il tema dell’Europa unita e della globalizzazione, la prospettiva di Böckenförde può mostrare la sua valenza applicativa. Sia l’europeizzazione che la globalizzazione scardinano i fondamenti storici sui quali si è edificato lo stato democratico moderno, vale a dire quella indispensabile omogeneità fra i cittadini che è un dato storico ed è difficile ricostruire artificialmente, e quell’unità funzionale dello Stato necessaria all’esplicazione della sua funzione di pacificazione interna. Per entrambi i fenomeni, infatti, si è assistito ad un distacco della sfera economica dal dominio dello Stato-nazione ed un suo trasferimento ad un livello che non solo è sovra-nazionale, ma anche extra-politico. In tal modo gli Stati non hanno più la capacità di intervento e di ridirezionamento dell’andamento economico che Böckenförde caldeggia.
L’esito è che quelle strutture politiche che si sono costituite storicamente non possono più esistere nella loro forma originaria e neppure è possibile semplicemente “dilatarle” per farle aderire ai nuovi confini allargati; e questo è impossibile anche e soprattutto perché quella omogeneità culturale, etnica e religiosa non esiste in tale dominio allargato, e neppure a livello europeo, visto che un “popolo” europeo ancora non esiste. Böckenförde non crede che l’unica soluzione sia regredire verso soluzioni politiche ormai remote (ammesso e non concesso che questa retrocessione sia praticabile), ma è invece auspicabile pensare a soluzioni diverse, ad esempio federali, e puntare sul ruolo formativo delle strutture educative (dove “stato e società si incontrano”, p. 221) e delle comunicazioni di massa.
Böckenförde tocca un nervo scoperto della politica e della filosofia contemporanea, che è attualmente impegnata a ripensare il fondamento della giustificazione del potere liberal-democratico fra non poche difficoltà. Le sue proposte politiche non peccano di verosimiglianza, anche se sottolineano con insistenza l’importanza dell’uniformità religiosa e culturale e arrivano ad auspicare un intervento diretto dello Stato sugli apparati educativi e sulle comunicazioni di massa (già un’idea di Carl Schmitt) per plasmare le coscienze dei cittadini. Ma se si può dissentire sulla prospettiva politica di Böckenförde, non si può che ammettere l’acutezza della sua analisi, sostenuta da una lucidità storica e giuridica esemplari.
Indice
Prefazione di Geminello Preterossi
La scuola storica e il problema della storicità del diritto
La nascita dello Stato come processo di secolarizzazione
Osservazioni sul rapporto fra Stato e religione in Hegel
L’importanza della separazione fra Stato e società nello Stato sociale democratico di oggi
Il concetto di «politico» come chiave per intendere l’opera giuspubblicistica di Carl Schmitt
La nazione. Identità nella differenza
Cittadinanza e concetto di nazionalità
Dove sta andando l’Europa?
Il futuro dell’autonomia politica. Democrazia e statalità nel segno della globalizzazione, dell’europeizzazione e dell’individualizzazione
L'autore
Ernst-Wolfgang Böckenförde è uno dei più autorevoli giuspubblicitsti tedeschi. È anche stato giudice costituzionale.
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