Recensione di: Adele Patriarchi – 2/05/2007
Filosofia teoretica, Filosofia della scienza
Il testo curato da Francesca Bonicalzi, come spiega l’Introduzione di Giulia Belgioioso, nasce da una serie di incontri seminariali dedicati a Macchine e vita nel XVII e XVIII secolo, tenutisi presso l’Università della Calabria nel corso degli anni accademici 2002-2004. Tali appuntamenti hanno consentito l’apertura di un confronto fra un gruppo di studiosi italiani, coordinati dalla stessa Bonicalzi, e studiosi francesi di grande esperienza e levatura come Olivier Bloch.
Come evidente dal numero degli scritti a lui dedicati, al centro del volume vi è l’analisi del pensiero di Descartes e della sua ricezione, svolta a partire da prospettive spesso molto diverse fra loro, anche dal punto di vista metodologico. Il primo di questi saggi, intitolato Semantica di machine/machina nel corpus cartesiano, scritto da Jean Robert Armogathe, si sviluppa attraverso un approccio lessicologico. Nel suo testo Armogathe cerca di analizzare la rilevanza che i termini machine/machina hanno nei testi di Descartes. La prima notazione riguarda il fatto che la differenza fra il singolare e il plurale sia rilevante: «il plurale sta sempre ad indicare le arti meccaniche, mentre, quando la macchina si riferisce al vivente, la parola è sempre al singolare» (p. 1). Chiaramente la ricerca dell’autore si incentra su quest’ultima accezione del termine che viene rintracciato, per la prima volta, nello scritto cartesiano intitolato De l’homme, scritto negli anni 1631-32 ma pubblicato postumo. Dall’analisi di questo testo emerge come, con una sola eccezione, tutte le occorrenze del termine machina vengano evidenziate da un dimostrativo o da una relativa: «Descartes non dice mai che il corpo umano è una macchina, ma tutto è presentato come se lo fosse, cioè, come se fosse questa macchina che Descartes immagina e descrive» (p. 3). Altrettanto accade nel Discours de la méthode, del 1637, in cui il termine ha ancora una funzione metaforica; tuttavia, nello stesso testo, vi è anche la precisazione secondo cui gli uomini «non sono delle macchine» perché hanno «l’uso del linguaggio e il carattere universale della ragione, che sono i due mezzi che permettono di conoscere la differenza che c’è tra gli uomini e le bestie» (p. 6). Successivamente, tra la fine degli anni trenta e i primi anni quaranta, Descartes abbandona l’uso del termine machina per adottare il vocabolo automa: gli animali diventano così degli «automi imperfetti» (p. 8) che «permettono di pensare ad un automa perfetto, l’uomo che gli automi immaginari avevano il dovere di imitare e, in qualche modo, avevano la missione di precedere nell’universo cartesiano» (p. 9). Nel momento in cui si leggono le Passions de l’âme (1649), le occorrenze del termine machina appartengono sempre «al sintagma “macchina del nostro corpo”» (p. 9). L’evoluzione del pensiero di Descartes, secondo Armogathe, approda all’idea che «se l’uomo non è una macchina, sarebbe più esatto dire che non è soltanto una macchina» (p. 10), aprendo così una prospettiva dualistica che permetterà di caratterizzare l’uomo grazie al possesso della loquela.
Nel secondo saggio, intitolato Meccanismo e concatenazione. Sull’uso di «meccanico» e «geometrico» nel pensiero settecentesco, Paola Basso indaga il tema del rapporto fra il «geometrico» e il «meccanico» nel pensiero moderno, da Descartes, Leibniz, Newton, Eulero fino a Kant. De iure distinti, i due termini finiscono con l’indicare, sia nella visione cartesiana che in quella leibniziana, il primo la «perfezione» ma anche l’astrattezza; il secondo l’«imprecisione» e, contemporaneamente, la concretezza. Il primo sembra afferire alla sfera del divino, il secondo al mondo imperfetto, e pur tuttavia dominabile, dell’umano. Nel corso dello studio, tuttavia, l’iniziale dicotomia fra i due termini si trasforma: con l’avvento di Newton, il termine «meccanico» «perde il senso di “inesatto” per assumere un significato dottrinario di ciò che è appunto spiegato dai principi meccanici, in particolare il moto, e per questo posto addirittura a fondamento della geometria ogniqualvolta questa […] ricorre al moto come principio di generazione» (p. 17). Anche Eulero, non a caso ammiratore di Newton, associa al «geometrico» e al «meccanico» un terzo vocabolo, «fisico», facendo si che il «meccanico» stesso assuma il ruolo di Mittelding degli altri due termini. Infine, in Kant, il «meccanico» viene definito come il «fenomenico», cioè come ciò che può essere conseguito secondo regole. A partire da ciò, la distinzione ontologica che teneva de iure distinti il «geometrico» e il «meccanico» non può impedire che de facto i due termini siano appaiati, fino a trovarsi, dal punto di vista gnoseologico, ed essere «ambiti pericolosamente affini» (p. 31). Il saggio di Paola Basso è seguito da un inedito di Johann Heinrich Lambert: «Analysis Machinarum Characteristica», da cui emerge il tentativo di riduzione radicale del meccanico al geometrico.
Segue lo scritto di Olivier Bloch, Macchine e vita nella Risposta… del medico Gaultier de Niort, che offre un panorama della figura del medico Abraham Gaultier (1650-1720), di cui si pubblica, in Appendice, il testo intitolato Parità della vita e della morte, preceduto da un’introduzione dello stesso O. Bloch. Lo scritto mette in evidenza come dietro l’utilizzo di immagini tradizionalmente associate al meccanicismo, nel caso di Gaultier non vi sia il tentativo «di costruire effettivamente uno schema di macchina vivente» (p. 39) perché le nozioni che permeano la Risposta sembrano essere piuttosto di stampo «chimico e vitalistico» (p. 39); si manifesta inoltre l’adesione del medico ad una «embriologia epigenetistica ispirata a Harvey» (p. 39), accolta anche con spunti di rielaborazione personale. A partire da questi presupposti, Gaultier «si sforza di attribuire alle proprietà dei viventi la proprietà di pensare oltre che quella di sentire», capacità emergente «ad un certo grado di organizzazione dei corpi» (p. 39). O. Bloch, nel proseguo del suo scritto, mette in evidenza come il meccanicismo e materialismo biologico di Gaultier non sia esente da incertezze e contraddizioni, e come esso tenda a cedere alla tentazione di utilizzare un «vocabolario del meraviglioso» fonte di molteplici ambiguità (pp. 40-41).
Nel suo Il movimento della vita tra Galileo e Descartes, Francesca Bonicalzi prende le mosse dall’operazione galileiana, antiplatonica e antiaristotelica, attraverso cui viene spezzato «il primato dell’anima» e riformulato «il concetto stesso di corpo per riconoscerlo come elemento di unificazione della realtà e criterio di spiegazione» (p. 44). Questa operazione conduce a «sottrarre alla materia tutte le proprietà che non sono matematiche e geometriche» e, contemporaneamente, «anche ad escludere il soggetto senziente, artefice di sensazioni erroneamente riconosciute come qualità dei corpi, inesistenti fuori dal corpo senziente» (p. 45). Non c’è più posto, quindi, nel cosmo galileiano per l’anima sensitiva ma rimane un «corpo animato e sensitivo che si modifica in senso qualitativo nel contatto con il mondo dei corpi estesi», per cui il mondo «dei colori, degli odori e dei sapori esiste solo come modificazione interiore di tale corpo […]. Le qualità sensitive, sottratte ai corpi fisici, vengono attribuite all’interiorità di una soggettività gnoseologica» (p. 45). Tuttavia, Galileo non fornisce una spiegazione anatomo-fisiologica del modo con cui nel corpo senziente si generi la sensazione e, quindi, non elabora nemmeno una teoria scientifica del vivente. Da un lato lo scienziato afferma che a caratterizzare il vivente è il «movimento», che diventa criterio di separazione tra ciò che è vivo e ciò che è morto. L’immobilità, infatti, è tipica di ciò che è privo di vita, di ciò che Galileo definisce come «corpaccio inutile» (pp. 46 e ss.). Dall’altro, tuttavia, il «movimento della vita» non è posto a oggetto di un’analisi scientifica. La relazione fra «movimento» e «vita» conduce a indagare il pensiero di Descartes, in cui la differenza tra vivente e non vivente è colta nel fatto che nella vita esiste sia un «movimento spontaneo» che un’«organizzazione tra le parti corporee». La distanza tra Galileo e Descartes si misura quindi nel fatto che, in quest’ultimo, tra vivente e non vivente non vi è «differenza di natura o di essenza» (p. 51): non si muore per il venire meno dell’anima ma a causa della corruzione del corpo, a causa del «non funzionamento del corpo». Mentre in Galileo, tra vivente e non vivente esisteva una diversità ontologica, in Descartes «non c’è soluzione di continuità tra vita e morte e questo mette in campo una rinnovata concezione filosofica e scientifica» (p. 52). Secondo la Bonicalzi, nella chiusura del Traité de l’homme si esplicita la posizione di Descartes secondo cui «bisogna rinunciare all’anima come principio di movimento […] per sostituirla con il movimento degli spiriti agitati dal calore del cuore» (p. 55). Mentre non si può rinunciare all’anima perché vi sia il pensiero, si deve tuttavia farne a meno quando si voglia dare una spiegazione della vita in generale e della vita animale in particolare. È su queste fondamenta che Descartes costruisce la propria teoria gnoseologica e cerca di risolvere il problema rappresentato dal senso, che viene «ricondotto da un lato al solo movimento e dall’altro restituito al pensiero» (p. 57).
In Leibniz e le macchine della natura, di Michel Fichant, si parte dalla definizione data da Leibniz nella Monadologia di «macchina della natura»: la differenza tra le macchine artificiali, fatte dall’uomo, e le «macchine della natura» è che le prime non sono macchine in tutte le loro parti, mentre «le macchine della natura, vale a dire i corpi viventi, sono ancora macchine nelle minime parti, sino all’infinito. È questo che fa la differenza tra la natura e l’arte, cioè tra l’arte Divina e la nostra» (p. 61). Fichant segue poi l’evoluzione del concetto di macchina, prima in De corporum concursu (1678), e poi nel Principium Mechanicae Universale Novum (1680-1686), fino ad approdare al concetto di macchina della natura nel Système Nouveau de la nature et de la communication des substances (1695).
Segue lo scritto La discussione della fisica cartesiana dei vortici nelle Recherches curieuses de philosophie (1714), di Emilio Sergio. Del manoscritto delle Recherches curieuses de philosophie (1714), spesso citato in testi riguardanti la letteratura clandestina e il pensiero libertino di lingua francese, Sergio rintraccia l’autore in Dirk Jacobsz Santvoort (1653-1715), di cui delinea una sintetica biografia e delinea la ricezione del pensiero di tale autore nella letteratura olandese degli ultimi quindici anni. L’importanza dell’opera di Santvoort viene individuata nella possibilità di comprendere, attraverso di essa, la «diffusione dell’opera di Descartes in Europa e dei rapporti, ideali o reali, intrattenuti dai rappresentanti francesi del pensiero naturalistico e libertino con gli autori del cartesianesimo olandese» (p. 95). Il saggio prosegue mostrando come le Recherches si propongano come una rivisitazione dei Principia philosophiae, sia dal punto di vista fisico che cosmologico.
È di Claudia Stancati l’ultimo contributo del libro, intitolato Oltre Descartes: linguaggio e pensiero degli animali tra XVII e XVIII secolo. Nel saggio l’autrice ci offre una panoramica del dibattito sul tema del rapporto fra animali e macchine in Arnauld, Gassendi e Marsenne. Come mostrano gli sviluppi successivi del problema, fino a Locke, il fulcro della questione era legato al problema della natura del linguaggio. È con D’Argens, La Mettrie e la letteratura clandestina che avviene il capovolgimento del paradigma di Descartes: perché se si parte dal presupposto che gli animali hanno vita, sensibilità ecc. allora la materia diventa principio esplicativo anche del pensiero umano.
Il testo curato dalla Bonicalzi si interroga su uno dei pilastri su cui si è costruita la modernità filosofica e scientifica: la nascita, lo sviluppo e la diffusione del modello meccanicistico. Tuttavia, lo svolgimento del tema, privilegiando l’aspetto della ricostruzione concettuale, rischia talora di decontestualizzare le riflessioni degli autori analizzati. Rimane inoltre in ombra il ruolo assunto da Kant, in quanto autore della Critica del giudizio, come il pensatore in cui più forte si avverte la crisi dell’utilizzo dei principi meccanicistici rispetto al problema della conoscenza degli esseri organizzati, cioè della vita. Da questo punto di vista, senza volere concedere nulla ad un a certa tendenza periodizzante della manualistica corrente, è con Kant che si chiude l’ottimismo epistemologico che ha caratterizzato la modernità.
Indice
Premessa di Francesca Bonicalzi
Introduzione di Giulia Belgioioso
Elenco delle abbreviazioni
Semantica di machine/machina nel corpus cartesiano, di Jean Robert Armogathe
Meccanismo e concatenazione. Sull’uso di «meccanico» e «geometrico» nel pensiero settecentesco, di Paola Basso, seguito da un inedito di Johann Heinrich Lambert, «Analysis Machinarum Characteristica»
Macchine e vita nella Risposta… del medico Gaultier de Niort, di Olivier Bloch
Il movimento della vita tra Galileo e Descartes, di Francesca Bonicalzi
Leibniz e le macchine della natura, di Michel Fichant
La discussione della fisica cartesiana dei vortici nelle Recherches curieuses de philosophie (1714), di Emilio Sergio
Oltre Descartes: linguaggio e pensiero degli animali tra XVII e XVIII secolo, di Claudia Stancati
Appendice
Parità della vita e della morte, di Abraham Gaultier, preceduta da una introduzione di Olivier Bloch
La curatrice
Francesca Bonicalzi, docente di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Bergamo, si è a lungo dedicata allo studio del pensiero di Descartes. Tra le sue opere possiamo ricordare: La ragione cieca. Teorie della storia della scienza e comunità scientifica (Jaca Book, Milano 1982); Il costruttore di automi. Descartes e le ragioni dell'anima (Jaca Book, Milano 1987); L'ordine della certezza: scientificità e persuasione in Descartes (Marietti, Genova 1990); Passioni della scienza. Descartes e la nascita della psicologia (Jaca Book, Milano 1990); A tempo e luogo. L'infanzia e l'inconscio in Descartes (Jaca Book, Milano 1998); L’impensato della politica. Spinoza e il vincolo civile (Guida, Napoli 1999).
Nessun commento:
Posta un commento