Recensione di Luigi Marfè - 12/05/2007
Filosofia del diritto
Il concetto di ‘confine’ attira da tempo su di sé così tante attenzioni, dall’antropologia alla letteratura, dalle scienze sociali alla filosofia, che per classificare l’universo di saggi critici che gli sono stati dedicati si è dovuta inventare un’etichetta: quella di border studies. A garantire l’importanza di questo libro di Enrica Rigo, Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza nell’Unione allargata, al di là di ogni compiacimento retorico, basta però la prefazione di Ètienne Balibar, lo studioso forse più qualificato ad affrontare il discorso sulla sfida che l’idea di Europa può rappresentare per il pensiero filosofico di oggi. Partendo dai problemi legati alla gestione giuridica dei flussi migratori nel Mediterraneo e nell’Europa orientale, in seguito all’allargamento dell’Unione Europea, il proposito ambizioso del libro è infatti quello di rifondare il discorso sulla cittadinanza nel doppio senso di politeia come comunità di cittadini e sistema di istituzioni.
A permettere alla ricerca di Enrica Rigo di superare l’impasse teorica in cui è arenato il dibattito critico attuale è il punto di vista con cui ridefinisce il concetto di cittadinanza sulla base di quello di confine. Il suo libro, che concentra la propria analisi sulla critica del diritto, confrontandosi con pensatori molto diversi tra loro come Hans Kelsen, Carl Schmitt e Donato Donati, intende questa materia come ricerca di una forma dinamica capace di ricostruire l’antagonismo della scena sociale. Da questa prospettiva, Enrica Rigo compie un lavoro sotterraneo di sovvertimento del discorso sulla cittadinanza che opera in maniera non dissimile dall’archeologia del sapere descritta da Michel Foucault. La conseguenza più immediata è quella di disconnettere e riconfigurare tutta la rete dei rapporti che legano il concetto di confine con quelli di spazio e territorio.
Polisemica per definizione, l’idea di ‘confine’ nelle lingue europee prevede solitamente due voci: mentre l’una ne esprime le sfumature più connotate in senso emotivo, all’altra è affidato il significato denotativo. In italiano, ad esempio, questa opposizione semantica è resa dalla coppia di termini ‘confine’ e ‘frontiera’. Se infatti l’intima ambiguità della parola ‘confine’ è garantita da associazioni con lemmi che indicano la sua stessa infrazione (confino, sconfinamento e così via), solo di recente il termine ‘frontiera’ si è affrancato dall’uso amministrativo cui era tradizionalmente riferito. A questo proposito, si pensi a come la letteratura contemporanea abbia ribaltato in chiave culturale il concetto militare dello stare sul fronte. Dal limes romano in avanti, il concetto di confine ha infatti rappresentato sempre la macchina etnocentrica di differenziazione tra ciò che è dentro (la civiltà) e ciò che è fuori (i barbari). Enrica Rigo supera questo modo di presentare la questione, passando da una valutazione statica ad una dinamica. Una nozione del confine non cioè legata al territorio in maniera definitiva e immutabile, ma piuttosto modificabile in chiave funzionale, in quanto relativa al sistema fluttuante e transitorio dei rapporti di forza tra i diversi attori dello spazio sociale.
Europa di confine consta di quattro parti. Nei primi due capitoli, Enrica Rigo smaschera le contraddizioni delle due categorie in cui il concetto tradizionale di confine dividerebbe lo spazio sociale: da una parte, coloro che a buon diritto possono considerarsi cittadini d’Europa; dall’altra, i migranti illegali. Nel terzo capitolo, il suo studio ridefinisce il concetto di cittadinanza sulla base della nuova idea di confine che vi è proposta. L’ultimo capitolo applica infine questo stesso discorso all’idea di Europa, scorgendo le aporie di una concezione rigida delle sue frontiere e riscattando dalle accuse di incompiutezza la logica in divenire che ne sta guidando lo sviluppo.
Se, come già notava Georg Simmel, le ripartizioni dello spazio hanno sempre una caratterizzazione sociale, il modello di cittadinanza basato sulla dicotomia tra inclusione ed esclusione risulta debole sia da un punto di vista teorico sia da quello funzionale. Tra il diritto a lasciare il proprio paese, che la giurisprudenza europea è concorde nel concedere, e il susseguente diritto al territorio dove emigrare, che è invece negato in base all’opposto diritto che gli Stati vantano sul territorio, c’è infatti una contraddizione aperta. È per questo che, a proposito dei migranti, Enrica Rigo si serve della definizione ossimorica e provocatoria di “cittadini illegali”. Studiando le diverse odissee cui le legislazioni attuali costringono i flussi migratori, la sua ricerca conclude che la lettura della cittadinanza non è riducibile all’opposizione dentro-fuori, poiché esiste una serie di livelli intermedi, che nel corso del tempo gli Stati finiscono per attribuire allo stesso migrante. Dal momento che lotta per la piena legittimazione, egli entra nella cittadinanza a poco a poco: chi è punito con l’espulsione o la detenzione, ad esempio, si guadagna una sorta di riconoscimento dallo Stato che lo tratta come soggetto sotto la propria giurisdizione. Illegale, dunque, ma già cittadino: o meglio, cittadino del non-ancora.
D’altro canto, lo studio di Enrica Rigo sovverte anche i confini della categoria cui tradizionalmente è associato lo status di cittadini. Benché resti un criterio valido nella mentalità comune di alcuni degli Stati membri, in cui il principio del rispetto delle minoranze è ancora un’astrazione imposta dall’alto, il criterio della nazionalità come fattore determinante per la cittadinanza ha perso oggi ogni valore legislativo. Per entrare nell’Unione, infatti, i nuovi Stati hanno dovuto oppure sono sul punto di adeguare il loro apparato di leggi agli standard degli altri membri. La continua modificazione del confine orientale dell’Europa ha messo inoltre in relativo il discorso tra straniero e cittadino, che finisce per derivare da accordi internazionali che cambiano di anno in anno. Le idiosincrasie del mercato dei lavoratori migranti mostrano ad esempio come la questione della cittadinanza non dipenda dal semplice riconoscimento o dalla negazione dei diritti, ma piuttosto dalle modalità differenziali di mobilità degli individui e dei gruppi.
La novità di Europa di confine è quella di rifondare il discorso giuridico sulla cittadinanza in maniera obliqua. Secondo l’analisi di Enrica Rigo, i confini sono infatti slegati dalla loro estensione territoriale e configurano uno spazio giuridico globale e discontinuo. Essi vengono cioè a coincidere con i termini frattali di una legislazione che si serve di diversi strumenti giuridici – espulsioni, pattugliamenti, accordi tra Stati – che ne estendono l’influenza anche al di là del proprio territorio geografico. Eppure, il discorso fortemente esclusivo con cui Fortress Europe difende se stessa può essere letto anche in chiave inclusiva, purché si guardi la cittadinanza dal punto di vista liminare dei casi intermedi tra chi è cittadino e chi non lo è ancora. Occorre cioè imparare a pensare che tra il migrante e il cittadino c’è una differenza più di grado che non di genere: in questo senso, l’Europa è un confine tracciato all’interno dell’Europa stessa.
Quali sono allora i confini dell’Europa? A soccorrere alla definizione è ancora una volta la distinzione tra il termine confine e il termine frontiera: più delle frontiere effettive dell’Europa, che sono arbitrarie e transitorie poiché potenzialmente allargabili in maniera indefinita, riesce forse utile pensare al valore figurativo del termine confine. I termini estremi dell’Europa sono virtuali e dipendono dalle strategie messe in campo per difenderla dai flussi migratori: dalla caccia ai gommoni ai campi di accoglienza. Perché l’Europa fondi un discorso sulla cittadinanza finalmente saldo, deve allora imparare dai propri confini a considerarsi uno spazio legislativo in divenire. Prima ancora che un’entità geopolitica, essa appare infatti come una forza espansiva in opera nel flusso dei movimenti di popolazione.
In quanto cittadino del non-ancora, che vive nella dimensione transitoria di chi reclama, senza avere ancora ottenuto, il proprio diritto al territorio, il migrante svela l’incompiutezza dello spazio europeo come spazio di cittadinanza. Ad essere riproposta dai problemi legati allo sviluppo dei flussi migratori è, infatti, la questione classica della distinzione tra il potere pubblico sul territorio e il diritto dei soggetti al territorio. Enrica Rigo convince però del fatto che sia proprio in questo margine di indeterminazione la scommessa che l’Europa deve vincere, rimanendo fedele alla sua natura di progetto sempre da ancora farsi. Chissà che non sarà proprio da qui a schiudersi una possibilità di ripensare l’universale: non nel senso del riconoscimento reciproco di un diritto ripartito rispetto ai suoi spazi di esercizio, ma in quello più vasto e dubitante di chi riconosce ogni partizione come indefinitamente sovvertibile.
Indice
Étienne Balibar, Prefazione. Il diritto al territorio
CAPITOLO PRIMO. CITTADINI MIGRANTI
Il “posto” delle migrazioni nel dibattito sulla cittadinanza
Asimmetrie liberali
Cittadini e ospiti
Cittadini globali
La proprietà dei cittadini
Il lavoro degli immigrati
Cittadini illegali
CAPITOLO SECONDO. CITTADINI D’EUROPA
Europa di confine
Ethnos e territorio della nazione europea
Riposizionare il confine orientale
L’identità dello spazio europeo
Il governo della circolazione nello spazio di “libertà, sicurezza e giustizia”
Gli spazi della cittadinanza
CAPITOLO TERZO. CITTADINI DI CONFINE
Cittadinanze postcoloniali
I confini dell’ordine europeo
L’estensione dei confini europei (e la loro funzione di appropriazione)
I confini interni dell’Europa
I confini diacronici dell’Europa
CAPITOLO QUARTO. CONFINI D’EUROPA
Confini virtuali di spazi concreti
Confini e frontiere nelle scienze sociali e nel diritto
Diritto al territorio e diritti sul territorio
Confini d’Europa
Confini d’ordine
Confini di produzione
Disporre lo spazio
Confinare la mobilità
Il tempo dei confini e il tempo della cittadinanza
L'autrice
Enrica Rigo è dottore di ricerca in Filosofia e teoria giuridica, sociale e politica. Attualmente collabora alle cattedre di Filosofia del diritto e Sociologia del diritto dell’Università degli Studi Roma Tre. È consulente alla ricerca presso la Kingston University di Londra. È autrice di numerosi saggi pubblicati in riviste e volumi, italiani e internazionali, su migrazioni, cittadinanza e postcolonialismo.
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