domenica 8 luglio 2007

Sen, Amartya, La libertà individuale come impegno sociale.

Bari, Laterza, 2007, pp. 101, € 6,50, ISBN 8842083191.

Recensione di Gennaro De Falco – 08/07/2007

Filosofia politica

Un invito alla riflessione sulle libertà individuali, sulla giustizia sociale, sull’impegno degli Stati per colmare le disparità tra le classi: questi sono alcuni temi affrontati da Amartya Sen nei due saggi – il primo del 1990, il secondo del 1996 – raccolti in questo libro dalla scrittura chiara e limpida, arricchito da esempi concreti che l’autore attinge sia dalla sua esperienza vissuta (pp. 4-8), come la carestia del Bengala del 1943, che da eventi storici a tutti noti.
Benché i due saggi abbiano ormai qualche anno, il lettore troverà attuali gli argomenti affrontati, le soluzioni tratteggiate, come pure la descrizione dei problemi relativi alla globalizzazione economica.
Amartya Sen inizia la sua analisi affrontando la nozione di libertà, avvertendo che tale concetto può essere oggetto di pericolose ambiguità.
È possibile individuare due diverse concezioni della libertà: la prima interpretata in senso positivo “riguarda ciò che, tenuto conto di tutto, una persona può o meno conseguire” (p. 9); la seconda, intesa in senso negativo, “si concentra precisamente sull’assenza di una serie di limitazioni che una persona può imporre a un’altra (o che lo Stato o altre istituzioni possono imporre agli individui)” (p. 9).
Le due libertà hanno una natura ontologica diversa: “una violazione della libertà negativa implica una violazione della libertà positiva, mentre non è vero il contrario” (p. 10).
Sen, pure affermando l’importanza delle due libertà, perché entrambe necessarie all’emancipazione ed all’affermazione dell’individuo nella società, è tuttavia convinto che l’intervento dello Stato, in certe situazioni, si configuri come l’unico elemento in grado di salvaguardare in maniera sostanziale le libertà positive: è il caso delle carestie avvenute nel paese natale dell’autore, l’India, dove un sistematico intervento pubblico, consistente principalmente nell’attuazione di politiche economiche basate su forme di integrazione di reddito delle fasce più vulnerabili della popolazione, ha consentito di limitare gli effetti atroci di queste situazioni che, come avverte lo stesso Sen, “sono avvenute quando la disponibilità di cibo era al suo massimo livello” (p. 14).
L’autore prosegue la sua analisi, focalizzando l’attenzione sul rapporto evidente che intercorre tra l’intervento statale nell’erogazione di servizi pubblici e il tasso di mortalità: “gli uomini hanno meno probabilità di raggiungere i quaranta anni nei sobborghi neri di Harlem a New York che nell’affamato Bangladesh” (p. 32); e ciò si spiega senz’altro a causa della irrilevanza negli Stati Uniti di politiche pubbliche in materia di sanità.
Ciò che Sen rende evidente è il modo in cui uno Stato, con le sue scelte sociali, influisce sulle libertà dell’individuo, in base ad una scala di valori che saranno (o così dovrebbe essere), in un paese democratico, il frutto del costante confronto tra forze politiche contrapposte. Amartya Sen sostiene con decisone la tesi secondo la quale la democrazia, e soprattutto un uso corretto degli efficaci mezzi di comunicazione di massa, capaci di sensibilizzare l’opinione pubblica, siano strumenti fondamentali per garantire ed estendere le libertà dell’individuo: “se le notizie di carestie, pubblicate sui giornali, sconvolgono il pubblico e mettono sotto pressione il governo, questo avviene proprio perché le persone si interessano a quanto succede agli altri” (p. 42).
Un esempio di quanto detto è dato dalla politica degli Stati Uniti: le sue scelte realizzano nel massimo grado le libertà negative; la realizzazione delle libertà positive è per lo più affidata alla carità dei ricchi, proprio come è accaduto durante la carestia del 1943 nel Bengala.
Sulla stessa linea prosegue il secondo saggio raccolto in questo libro.
Sen analizza il rapporto tra l’impegno sociale ed i doveri di rigore e conservatorismo finanziario volti a non eccedere nella spesa pubblica (p. 45 sg.): da un lato quindi l’impegno della società a raggiungere un’eguaglianza sostanziale di tutti gli individui, e dall’altro la costante preoccupazione dei governi di tenere sotto controllo il bilancio dello Stato.
Dopo aver accennato all’importanza dei movimenti socialisti sorti come critica al capitalismo (p. 64) e al conseguente rischio che la prosperità economica possa avvantaggiare solo alcuni ceti sociali, Amartya Sen sofferma la sua analisi sull’Europa e sulle scelte monetarie e fiscali che l’hanno caratterizzata a partire dagli inizi degli anni Novanta. Tali scelte puntavano sostanzialmente all’eliminazione dell’inflazione, con la chiara conseguenza della rinuncia a politiche fondamentali in termini di impegno sociale: “è assai significativo come l’impegno sociale teso ad evitare una disoccupazione non necessaria abbia perso rilievo fra gli obbiettivi politici perseguiti nell’Europa contemporanea” (p. 78).
Il rapporto tra disoccupazione ed impegno sociale è stato analizzato da diversi studiosi, tra i quali il sociologo Zygmunt Bauman.
Bauman, così come Sen, afferma che in Europa sia scomparso il dovere di protezione sociale verso le fasce più deboli della popolazione: svilimento delle tutele del lavoratore, precariato e terziarizzazione esasperati sarebbero prove a conferma di tale situazione.
L’estremismo nelle scelte finanziarie degli Stati, ulteriore prova di quanto sostengono numerosi studiosi, non deve ridimensionare quelle priorità sociali (salute, istruzione, libero accesso alle posizioni sociali, uguaglianza di capacità), che fungono da sistemi di bilanciamento e di garanzia delle libertà e dei diritti fondamentali – in primis il diritto alla sopravvivenza – appartenenti a tutte le popolazioni della Terra, a tutti gli individui in quanto persone.
È questo il messaggio finale che ci consegna l’autore, avvertendo nel contempo che le scelte dei governi non possono essere disgiunte dal confronto sociale e dalla concertazione (p. 87).
Una politica unidirezionale porta ad esiti rovinosi che non possono durare a lungo: Sen porta l’esempio di Chirac e degli interventi sulle spese sociali che il suo governo intraprese senza alcuna preventiva consultazione con le parti interessate (e, sempre pensando alla Francia, sono recenti le sommosse delle Banlieue che dimostrano ancora una volta il disagio sociale presente in alcune fasce della popolazione).
Una politica di tal genere è anche il frutto dell’eccessivo potere dato ai tecnocrati: il loro operato non può essere d’impedimento alla realizzazione degli obblighi sociali.
A tal proposito è indicativo l’esempio delle banche centrali, la cui unica preoccupazione è quella legata all’aspetto finanziario del quadro economico. Nel contempo, tuttavia Sen prende atto del fatto che, con maggiore forza ed incisività, i movimenti politici dovrebbero sostenere le politiche sociali (p. 91).
A fronte dell’insufficiente azione da parte dei movimenti politici e del loro sostanziale fallimento, gli scettici potranno non condividere lo slancio di fiducia nutrito da Sen verso gli individui che non perseguono solo il loro interesse personale, in quanto “come persone sociali, hanno valori e obbiettivi di più vasta portata” (p. 41); tuttavia è vero che la nascita e la diffusione di movimenti e organizzazioni in grado di cambiare e sensibilizzare l’opinione pubblica, sono il frutto di individui che hanno oltrepassato, con la forza degli ideali e la passione che gli ideali fanno nascere, l’orizzonte del loro interesse personale.
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La libertà individuale come impegno sociale
Impegno sociale e partecipazione: esigenze di equità e vincolo di bilancio


L'autore

Amartya Sen (Santiniketan, Bengala, 1933) ha insegnato a Calcutta, Cambridge, Delhi, alla London School of Economics, Oxford e Harvard. Premio Nobel per l’economia nel 1988, nello stesso anno è divenuto rettore del Trinity College a Cambridge. Tra le sue opere ricordiamo: Poverty and Famines (1981), Utilitarismo e oltre (con Bernard Williams, 1984), Scelta, benessere, equità (1986), Etica ed economia (1988), Risorse, valori e sviluppo (1992), Il tenore di vita (1993), La disuguaglianza (1994), Lo sviluppo è libertà (2000), Identità e violenza (2006).

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