Recensione di Stefano Franceschini – 07/10/2007
Filosofia pratica
“Che cos’è filosofia” è forse la domanda più imbarazzante che si possa rivolgere a un filosofo, domanda che non permette facili e univoche risposte, anzi essa ne trova di molteplici: la questione è delicata perché coinvolge tutta la filosofia e tutte le attività che fanno parte di essa giungendo fino a interrogarsi sulla propria origine. La domanda è soprattutto rischiosa poiché ci spinge verso un movimento di presa di coscienza situandoci di fronte a un orizzonte complesso, polimorfo, ambiguo, intrecciato e insicuro in cui siamo chiamati a un aut-aut: o scegliamo la via meno rischiosa e passiamo a definire la filosofia secondo il suo significato etimologico di “amore della sapienza”, facendola (giustamente) risalire alle sue origine nel pensiero greco, o tentiamo la via più insidiosa cercando di fornire ed enunciare la propria personale ricostruzione del significato di questa attività. Bencivenga con questo libro ha intrapreso la seconda via e la sua strategia non si limita a enunciare il significato dell’attività filosofica ma si propone di svolgerla fornendo degli esempi concreti.
Il libro è composto da cinque capitoli nei quali la tradizione filosofica viene interrogata per rispondere ad alcune importanti questioni filosofiche, alternando la discussione di questi problemi alle soluzioni che sono state offerte dai grandi pensatori del passato.
Il capitolo “La sbornia” ci fa comprendere il modo in cui certe strategie debbano funzionare a partire da questi punti di vista, a partire da queste tesi. La tipicità dell’approccio di Bencivenga risiede nel suo partire da situazioni concrete, quotidiane, da una realtà innocua e nel suo successivo porsi domande su questa realtà, la quale lascia poco spazio a degli interrogativi: nel momento in cui la cosa sembra necessaria, naturale, scontata, essa, nella sua pienezza, non lascia spazio ad interrogativi estranei alla sua propria immagine. Ma è questo il momento privilegiato in cui la filosofia comincia il suo paziente lavoro, in cui essa deve irrompere con tutti i suoi strumenti e le sue possibilità: credenze, certezze, criteri e presupposti, capacità funzionali e relative azioni fallimentari, approcci interpretativi e capacità di progresso, tutto deve essere messo in discussione, ri-discusso per poterne prendere consapevolezza e per poter effettuare una decisione in merito.
Bencivenga è convinto che questa attività venga svolta principalmente nel linguaggio: capacità articolatoria e ambiente segnato dall’irrealtà permettono di praticare una serie di strategie e di azioni liberatorie capaci di esplorare situazioni complesse e di arrivare a soluzioni creative. Ma in quest’ambiente è forse facile perdersi e di fronte a un gioco così articolato è necessario sempre chiedersi che cosa stiamo facendo.
Sorge così il dubbio legittimo su che cosa in realtà si stia facendo e questo dubbio potrebbe essere riformulato nella questione più determinata “ma che cos’è allora filosofia?”. “Questo” e “questo”, si potrebbe rispondere. La questione però si sposta sul campo della metafisica, cioè su quella parte della filosofia che si occupa della struttura generale del mondo, e prosegue interrogandosi sul problema dell’identità degli oggetti, come essi possano modificarsi nel tempo rimanendo gli stessi, mantenendo lo stesso nome. Il problema dell’identità viene affrontato e discusso nel secondo capitolo intitolato “Il nome della cosa” utilizzando come esempio tutta la complessità offerta da un semplice oggetto: un’automobile.
Ma tutto ciò è sufficiente? Può la filosofia limitarsi ad enunciare questo possibile senza procedere oltre nel suo operare? La risposta alla questione non può essere che negativa. La filosofia è per Bencivenga qualcosa che deve essere usato, esercitato, deve essere imparato e interiorizzato, fatto funzionare in modo produttivo e quindi modificato, adattato in modo continuo e mai definitivo. Certo è che se noi ci addentriamo nel campo della pratica, altre insidie ci aspettano e noi siamo costretti a confrontarci con altri difficili problemi. Nel momento in cui siamo inseriti in un ambiente determinista, noi abbiamo a che fare con rapporti causali che sono alla base dei nostri automatismi e della nostra efficienza: il più delle volte la nostra azione risulta essere propriamente una re-azione, un comportamento che assomiglia molto a quello di una macchina. Rompere questo meccanismo può essere forse una delle vie per riappropriarci della nostra libertà.
Tanti diversi aspetti vengono messi in evidenza dalla lucida analisi di Bencivenga, aspetti che sono stati ampiamente trattati dalla tradizione filosofica e da grandi autori come Hume, Kant, Heidegger, la Scuola di Francoforte, Sartre e molti altri ancora. Ma tutto il discorso di Bencivenga sembra assumere un punto di vista differente, sembra mettere in luce degli aspetti non ancora molto esplorati presentando una soggettività libera e in lotta per la sua libertà.
Un diverso e allo stesso tempo imprescindibile interrogativo accompagna la riflessione sulla libertà: quello della responsabilità morale. Nel momento in cui ci occupiamo di etica noi procediamo coerentemente a partire da certe convinzioni e il valore morale di un’azione risiede nel perché io la faccio. Tradizionalmente viene considerata come azione di grande valore morale la lotta contro l’egoismo. Questa azione, secondo Bencivenga, può essere articolata attuando tre diversi approcci, i quali trovano la loro espressione tramite le figure di Aristotele, Kant, Mill e Bentham. Sono tre diverse istanze a cui la riflessione morale è chiamata a rispondere, istanze contrapposte che spingono a trascendere se stessi, a raccogliere come motivo morale del mio agire un dovere, ad interiorizzare nel nostro carattere l’istanza razionale trascendente e allargare al maggior numero di persone questo “gioco morale”.
Riguardo a quest’ultimo problema l’egoismo assume un nuovo aspetto: deve l’egoismo essere considerato necessariamente negativo? Dipende. Esso può perdere la sua connotazione negativa e un “egoismo generalizzato”, in cui ognuno muove con forza morale contro ai condizionamenti sociali, risulta essere un’azione degna di valore morale. I capitoli “La forza di volontà” e “Pranzo natalizio” ci introducono quindi in delicate questioni che riguardano la nostra libertà, la nostra volontà, la nostra spontaneità, la nostra autonomia e la nostra responsabilità morale. Possiamo domandarci infine quale sia “Il senso della storia”. L’autore ci suggerisce che una strategia efficace di pensare la nostra vita, l’unità della nostra vita e della nostra esperienza, sia quella di rappresentarcela come un film e un film è una storia. Non tutte le storie hanno un senso immediato, non tutte le domande hanno una risposta definitiva. Anzi a volte non si riesce proprio a trovare il senso a un discorso o a un film: in realtà a volte bisogna ammettere un po’ angosciati che un senso non c’è, non si trova. Si può allora procedere a tentoni, per tentativi e imporre un senso a questa storia, oppure cercare delle regolarità, delle necessità, degli ordini, oppure ancora procedere pragmaticamente trovando un senso vago ma efficace in un’esperienza incontrollabile. Oppure…Scacco! Scacco al re! Forse tutto ciò mi fa comprendere che sono io stesso e il mio sforzo ad essere impegnati a mantenere questo delicato equilibrio e a dare un senso alla vita. E se tutto ciò fosse solo un’illusione, si chiede Bencivenga…ho forse io il compito di stabilire che cos’è la mia vita?
Il libro di Bencivenga, sotto la sua immediatezza e familiarità comunicativa, nasconde una complessità e articolazione di tesi che renderebbero vano il tentativo di elencarle tutte. Ma in fondo quello di Bencivenga è un invito alla pratica: la pensiamo diversamente, vogliamo altro, questo senso è a noi estraneo? Liberi di farlo, anzi questo è il bello della filosofia, una pratica continua e coinvolgente a cui tutti possono partecipare. E che, soprattutto, non può avere fine.
Indice
Introduzione
La sbornia
Il nome della cosa
La forza di volontà
Pranzo natalizio
Il senso della storia
L'autore
Ermanno Bencivenga insegna Filosofia all’Università di Irvine, California. È autore di numerosi saggi di logica, estetica, filosofia del linguaggio e storia della filosofia e tra le sue recenti pubblicazioni in italiano si ricorda: La rivoluzione copernicana di Kant, Bollati Boringhieri 2000; Teoria del linguaggio e della mente, Bollati Boringhieri 2001; I passi falsi della scienza, Garzanti 2003; Platone, amico mio. Bruno Mondadori 2006; Dio in gioco. Logica e sovversione in Anselmo d’Aosta, Bollati Boringhieri 2006.
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