venerdì 5 ottobre 2007

Tarizzo, Davide, Giochi di potere. Sulla paranoia politica.

Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 179, € 18,00, ISBN 9788842083818.

Recensione di Olivia Guaraldo - 05/10/2007

Filosofia politica

Il saggio di Davide Tarizzo si propone di tracciare una differente genealogia della politica, a partire da alcuni incroci disciplinari alquanto insoliti nel panorama filosofico politico italiano: il fenomeno del potere è infatti sottoposto alla lente d’ingrandimento della sociologia, della psicanalisi, della teoria dei giochi senza però venire ad esse ridotto. È possibile, si chiede l’autore, dare conto della politica rifiutando l’esaustività della cornice esplicativa giuridica (quella che declina il potere secondo la logica dell’ordine, del comando) di quella etica (che declina la questione a partire dalla logica dell’umano) e persino di quella biopolitica (che esaurisce la questione del potere in termini esclusivamente disciplinanti e normalizzanti)?
Attraverso una ricognizione originale del fenomeno dell’obbedienza, della principale relazione che il potere instaura tra gli umani, Tarizzo propone di individuare una forma di obbedienza che non si riduca a mero esito della minaccia coercitiva propria del comando (Fai questo!), e che nemmeno si riduca ad una sostanziale adesione ad una versione sostantiva ed essenziale dell’umano (Sei questo!).
Paranoico è quell’ordine di cose che pretende di sapere ciò che l’umano è, con una certezza scientifica prestata alla forza coercitiva della politica. La politica paranoica è, allora, quella politica che pretende di avere validità certa in quanto fondata su una nozione positiva, scientificamente provata dell’umano e, di conseguenza, di ciò che umano non è.
Tuttavia, afferma Tarizzo, il volto totalitario della politica paranoica ha nella paranoia politica il suo altro speculare: si tratta della fede liberale nell’assoluta autonomia del soggetto, la quale a sua volta nega che ci possa essere qualcosa come una comune natura umana. L’impossibilità di porre o di rispondere alla domanda ‘che cos’è l’uomo?’, propria delle nostre società liberali incentrate sull’autonomia del sé, non sarebbe altro che l’opposto della politica totalitaria: una diversa forma di paranoia, di delirio, relativo alla politica, il quale nega legittimità alla domanda sull’uomo perché ad essa non può essere data alcuna risposta scientifica. Il silenzio sull’umanità dell’umano ha quindi a che fare con la sua inafferrabilità cognitiva: non posso parlare di ciò che non so, di ciò che non posso catturare nelle maglie del sapere. Al centro della crisi della politica contemporanea (e della sua sostituzione con una grammatica dei diritti umani, tanto più paranoica in quanto certa della propria giustezza) starebbe quindi l’inammissibilità epistemologica della domanda sull’umano, come reazione indignata alla sua sostanzializzazione durante i regimi totalitari novecenteschi. Alla impossibilità di porre tale domanda segue, come per automatismo, una sostituzione totale del politico con il sociale, la quale trasforma ogni questione relativa all’umano in mera verità biologica (la deriva biopolitica) e, come tale, incontestabile, oppure rinuncia a porre la domanda per sostituirvi una remissione totale alle dinamiche socio-economiche imperanti cercando faticosamente di aderirvi.
C’è però la possibilità di concepire la politica in maniera radicalmente diversa rispetto alle alternative poste in essere dalla nostra tradizione filosofico-politica. Tarizzo sostiene che vi siano forme di obbedienza radicalmente diverse da quella postulata come essenziale all’ordine politico basato sulla sovranità. Ci sarebbe un’obbedienza che si basa sull’adesione, sulla convinzione (Überzeugung) e non sulla coercizione. Attraverso una complessa (e a dire il vero un po’ tortuosa) genealogia alternativa dell’obbedienza (che da Platone passando per Freud, arriva a Caillois e Bateson) Tarizzo propone di considerare il fenomeno dell’obbedienza spontanea: quella per cui qualcuno obbedisce perché convinto della proposta fatta da chi è in posizione di potere. Non si tratta però, come ad una prima lettura verrebbe in mente, di una convinzione basata sull’argomentazione razionale (secondo l’etica del discorso di Habermas) bensì di una convinzione che si radica nella contingenza di una decisione. “Sì, mi hai convinto, aderisco alla tua proposta, ti seguo”, potrebbe essere il tono dell’obbedienza spontanea, basata sulla convinzione.
Se l’alternativa habermasiana contrappone l’argomentazione razionale della ragione comunicativa all’agire strategico basato sulla coercizione o sull’inganno, il tertium a cui Tarizzo allude è semplicemente una forma provvisoria, contingente e purtuttavia ‘convinta’, di adesione ad una idea, ad un progetto, ad una politica. In ultima analisi, la convinzione come cifra della politica non può che essere l’adesione ad una idea di umano. La convinzione spontanea ha a che fare con la contingente e provvisoria accettazione di una idea di umanità. Solo in questo modo, debole, infondato da un punto di vista filosofico, e contingente, la politica può salvarsi dalle derive totalizzanti (e totalitarie) del sociale. In effetti, per rafforzare la sua ipotesi, Tarizzo ricorre alla distinzione, propria della teoria dei giochi, fatta da Gregory Bateson: vi sono diversi tipi di dinamiche ludiche che rispondono a diverse dinamiche di interazione umana. La più utile ai fini di una esplicazione della proposta teorica di Tarizzo è quella che distingue fra game e play: Game è il gioco con regole rigide e intrasformabili, il quale costringe i giocatori ad accettarle nella loro totalità se vogliono partecipare; play è invece il gioco delle regole, della loro creazione o decostruzione. Se il game ha come fine la vittoria o la sconfitta su un avversario, play non ha alcun fine al di fuori della continua invenzione di regole e di ruoli a cui si sceglie di aderire.
Si tratta dei numerosi giochi infantili che cominciano con una frase del tipo “Facciamo che tu sei…”. In dinamiche ludiche affini al modello batesoniano del play, il compagno non è mai un avversario, ma l’oggetto di una proposta, alla quale può aderire o meno, ma se lo fa si tratta appunto di una forma di obbedienza non scaturita dal comando. Il game è il gioco rigido e competitivo delle identità sociali (fai così e vincerai!), il play è la forma sempre mobile e sempre decidibile dell’interazione politica (facciamo che..). È nella natura coinvolgente e relazionale del “facciamo che…”che si colloca la diversa forma di obbedienza e di interazione fra soggetti. Accettando una forma particolare di play, si accetta di aderire – ma Tarizzo preferisce la parola obbedire, così carica di spiacevoli reminiscenze in ambito politico – ad una certa idea, più che ad una persona. L’adesione a quella certa idea o proposta viene chiamata ‘convinzione’, in virtù della sua natura pubblica e condivisa, diversamente, secondo Tarizzo, dall’opinione, che è una forma privata di convinzione. Tale sottile distinzione, tuttavia, non è convincente se si guarda alla lunga tradizione di pensatori e politici che hanno tentato di redimere l’opinione dalla maledizione platonica circa la sua inconsistenza filosofica, ribadendone la centralità e l’efficacia politica. Ci chiediamo, in altri termini, perché Tarizzo si sforzi di giustificare la sua scelta eterodossa di termini quali convinzione e obbedienza per designare fenomeni che avrebbero potuto, forse più efficacemente, essere detti con altre parole (opinione e consenso anziché convinzione e obbedienza, le quali rimandano sempre con ostinazione ad un contesto familiarmente legato alla costrizione, sia fisica che psicologica)?
In ogni caso, ci pare di rintracciare nella felice scelta della metafora ludica per illuminare possibili percorsi alternativi alla attuale crisi della politica, una dimensione relazionale, plurale, contingente di praxis, distinta invece dalla poiesis sociale sempre ossessionata dalla costruzione o dalla demolizione di un ordine. Play e praxis allora sono affini nella loro costante elaborazione ‘di concerto’, come direbbe Hannah Arendt, di regole a cui si decide di dare il proprio assenso, e attraverso le quali si decide di agire e ‘obbedire’. Declinando la proposta di Tarizzo in termini leggermente diversi, si potrebbe riassumerla in questa formula colloquiale: “Non sappiamo (wissen) che cosa sia l’umano, ma vogliamo deciderlo insieme”. È forse questa l’unica risposta politica alla domanda politica per eccellenza, la domanda relativa all’umanità dell’umano. La questione ha naturalmente a che fare con chi è incluso in questo insieme, con chi riesce ad entrarci e con chi invece non ci entrerà mai. Il problema del play sta forse proprio qui, nel fatto che ogni gioco ammette un numero massimo di giocatori.

Indice

1. Paranoia politica: stato dell’arte
2. Psicopatologia politica: questioni preliminari
3. La convinzione: una teoria superficiale del potere
4. Giochi di obbedienza
Postilla


L'autore

Davide Tarizzo insegna filosofia politica presso l’Università l’Orientale di Napoli e l’Università di Salerno. Tra i suoi saggi più recenti: Il pensiero libero. La filosofia francese dopo lo strutturalismo (Milano 2003), Homo insipiens. La filosofia e la sfida dell’idiozia (Milano 2004) e Introduzione a Lacan (Roma-Bari 2003).

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