Trad. it. di Andrea Calzolari, Genova, Marietti 1820, 2007, pp. 401, € 35,00, ISBN 9788821185649.
[Ed. or.: Le toucher, Jean-Luc Nancy, Galilée, Paris 2000]
Recensione di Francesco Tampoia - 22/12/07
Filosofia teoretica (gnoseologia)
“Più che di un libro su Jean-Luc Nancy, si tratta di un accumulo. Questa caratteristica non dice la sola particolarità di questo testo, ma mostra una cifra di quello che vorrebbe presentarsi come un corpus filosofico. Ne va qui di quella che comunemente chiamiamo filosofia. Questo testo, nella partizione che lo costituisce, è irriproducibile, irripetibile. Non può essere supportato da chiavi di lettura, che lo introducano o ne anticipino i motivi salienti. Nella sua esclusività esso chiama la parola a deporsi nel tocco del proprio corpo e, dopo una lunghissima deviazione, a fare il verso a se stessa” (p. 396). Questo l’addendum al libro, simile a una postilla o a una postfazione, di Riccardo Panattoni e Gianluca Solla, che forse il lettore tradizionale, avverso il divieto di leggere-cercare chiavi di lettura, avrebbe preferito sfogliare all’inizio del volume.
Si viaggia in compagnia di Aristotele, che in Perì Psyches (422b) si domanda se il tatto sia più sensi o un senso solo, e quale sia il sensorio proprio della facoltà tattile. Dalla Psiche di Aristotele al Corpus di Nancy, la movenza, il cammino del pensiero, si dipana alla ricerca del senso del tatto, della consistenza del corpo e dello spirito secondo la definizione freudiana “Psiche è estesa, partes extra partes, non è che dispersione di posti indefinitivamente spezzettati in luoghi che si dividono e non si penetrano mai. Nessun incastro, nessuna sovrapposizione, tutto è al di fuori di un altro fuori” (pp. 23-24). Psiche, insomma, è la piegatura di un divenire dentro del primo fuori. Forse Ovidio nelle Metamorfosi, forse Canova nel suo celebre gruppo scultoreo, forse i pittori (Giulio Romano, fra gli altri) nei loro dipinti sono riusciti a rappresentarci perfettamente la solitudine di Psiche, la sua corporeità che non si tocca, che si può al massimo immaginare, ma non pensare. Nel famoso dipinto Il ratto di Psyche di William Bouguereau, ispirato al noto episodio della mitologia, appare la fanciulla Psyche sul punto di essere rapita dal suo innamorato Cupido: è abbracciata dal bel dio dell’amore, le loro due figure sembrano un tutto unito, i loro corpi insieme formano un complesso lirico. E poi i fluttuanti drappi sul corpo di Psiche, il silenzioso spiegamento delle ali di Cupido che completano la composizione, adagiata su una sottile, sofisticata enfasi in diagonale. Ma il dubbio resta: si può immaginare un toccare che toccherebbe qualcosa di inesteso? Se Psiche ha un corpo, è corporea. Resta, tuttavia, intangibile.
Il filo del discorso, nel suo avvolgersi, ruotare, riaggomitolarsi si gioca dall’inizio alla fine sulle metonimie del toccare, che Derrida vuole offrire con ammirazione all’amico-discepolo Jean-Luc Nancy. Nancy sa che pensare il toccare non può e non deve significare toccare. “Il passaggio concettuale, se così si può dire, dell’argomentazione tra l’estensione del corpo (facilmente comprensibile per il senso comune, attributo essenziale della sostanza corporea per Descartes, componente eidetica di ogni cosa materiale e di ogni res trascendente e tangibile per Husserl) e l’estensione della psiche o del pensiero (estensione paradossale e ribelle all’intuizione, alla percezione, alla coscienza), è ciò che in tutte e due eccede la misura. E dunque la misura comune. È dunque la misura comune. È la loro comune incommensurabilità” (p. 39). Su questa storica discussione e/o spiegazione non rifugge dal confrontarsi con Descartes. Essendo l’anima unita al corpo, a tutto il corpo, siamo di fronte a una contraddizione doppia: non è plausibile pensare che lo spirito sia estensione nella ghiandola pineale, né pensare l’estensione come un punto. E non è del tutto peregrino ricordare la definizione geometrica di punto che certamente Cartesio ha davanti (il punto è ciò che non ha parte alcuna, cioè che non occupa spazio alcuno), che anche Kant accoglie, fedele per tutta la vita alla geometria euclidea.
Ma riprendiamo il lungo cammino sul senso del tatto. I sensi sono cinque, tre oggettivi (tactus, visus, auditus), due soggettivi (gustus, olfactus). Secondo certi criteri il primo è il tatto perché è il solo senso della percezione esteriore immediata, quindi più certa. Questo ha pensato e scritto Kant in Antropologia dal punto di vista pragmatico: il senso del tatto, il valore “conoscitivo” del tatto si prova esemplarmente nella mano, la mano dell’uomo. Questo, muovendo da altri contesti, hanno pensato dopo di lui Husserl e Heidegger. Aristotele con la sua prosa da anatomista ha scritto che “il tatto è il solo senso che sia indispensabile all’esistenza del vivente in quanto tale. Gli altri sensi non sono destinati ad assicurare l’essere dell’animale o del vivente, ma soltanto il suo ben-essere (435b20-25). Ma senza il tatto, l’animale non potrebbe esistere” (p. 68).
In Corpus, Nancy designa il toccare come un rapporto a sé del mondo, del nostro mondo. Scrive che il nostro mondo (Corpus) si tocca da sé, si tocca per diventare mondo, ma anche per uscire da se stesso. È il Corpus dell’umanità cristiana o addirittura abramica, giunto oggi alla fase di un autosuperamento che forse gli è profondamente proprio. Nel Cristianesimo è centrale la presenza del Corpus, inteso come carne, basti ricordare l’incarnazione, la transustanziazione, la nascita e il rigetto, la sacralità del pane e del vino, hoc est enim corpus meum. E Nancy con la sua ricerca avvia la sua personale decostruzione del Cristianesimo, la sua decostruzione dell’anima. Dire di Psiche che è estesa, pertanto, significa ricordare che rimane o dovrebbe rimanere, in quanto corpo, tangibile. Significa, ancora, ricordare che la sua estensione non è quella di Descartes né quella di Kant.
Bisogna toccare senza toccare, cioè saper toccare senza toccare, senza troppo toccare, “in questo corpus del tatto non si tratta tanto di fare una lista categoriale delle operazioni che consistono nel toccare quanto di pesare, cioè pensare, ciò che in mille modi si dona al tatto, cioè il corpo, il corpus, in quanto esso pesa. E dunque che, in un certo modo pensa” (p. 98). Pensare il peso, e dire la pesantezza del pensiero, non è un chiasmo letterario. Nessuno può negare l’affinità tra pensiero e peso, tra leggerezza e pesantezza, essa è confermata da spostamenti semantici, quali denken e danken, thinking e thanking.
Verso la fine degli anni ‘80 del secolo scorso, nell’evoluzione del pensiero di Nancy il corpus viene indagato, toccato, quasi violato dalla techne. Derrida allude all’operazione di trapianto di cuore subita da Nancy. E riprende la sua e di Nancy analisi cristiana del tatto: “Tutti i vangeli presentano il corpo cristico non solamente come un corpo di luce e di rivelazione, ma, in modo non meno essenziale, come un toccante e toccato, come una carne toccante-toccata” (p. 132). I Vangeli sono in tal senso, se si esclude il Vangelo secondo Giovanni, una sorta di aptica generale. Fin troppo evidenti le tracce, sparse nell’opera dei padri cristiani, in Agostino, e via di seguito. La vita di Gesù è piena di episodi in cui il toccare è decisivo, per Gesù toccare è anche comunicare, mettersi a diretto con-tatto con gli uomini.
Nella seconda parte del volume Derrida, che fino a questo momento ha per lo più commentato Nancy, sente il bisogno di proporre alcune storie esemplari della “carne”. Cerca di farlo con alcune tangenti, che meglio rappresentano la sua fenomenologia del toccare, il suo modo tattile di fare filosofia. “Una tangente tocca una linea o una superficie, ma senza tagliarla, senza una vera intersezione, in una sorta di pertinenza impertinente. Tocca in un sol punto, ma un punto che non è nulla: limite senza spessore e senza superficie” (p. 169). Ritorna al tatto, ai sensi, e si chiede: che ne è, a questo punto, della divisione dei sensi? Aristotele ha detto: si può vivere senza vedere, udire, gustare, sentire (nel senso dell’olfatto), ma non si sopravviverà mai un solo istante senza essere a contatto, in contatto. L’essenza del tatto è l’attività motrice e la mano ne è l’espressione privilegiata, più alta. Anassagora, prima di Aristotele, ha trattato diffusamente della mano, ha detto che le mani permettono all’uomo di essere il più intelligente degli animali, ma il modello di uomo che Anassagora ha in mente è l'uomo che ha le mani e le usa, l'uomo tecnico che proprio in quegli anni in Atene si imponeva a pieno titolo nel contesto sociale. Nancy, invece, tende a lasciarsi alle spalle la tradizione: “A me sembra che Nancy rompa con queste metafisiche aptocentriste, o comunque ne prenda le distanze. Il suo discorso sul tatto non è intuizionista, né continuista, né omogenista, né individualista. Richiama prima di tutto la divisione, la partizione, la discontinuità, l’interruzione, la cesura: la sincope” (p. 201).
Husserl, in Ideen II, ha trattato diffusamente la relazione senziente-sentito, toccante-toccato, soggetto-oggetto; Merleau-Ponty è pervenuto a una sorta di “riabilitazione ontologica del sensibile”; ma Nancy non la condivide, perché non crede alla confusione dell’uno nell’altro, dell’io e dell’altro. Né intende ricadere nella ontologia occidentale con il privilegio della vista, tornare all’inizio, all’ontologia greca con l’intuitus che guida ogni interpretazione della conoscenza, in conformità del primato del “vedere”, come ha fatto Kant, come ha fatto a modo suo Heidegger: “Kant infatti scrive, e Heidegger lo sottolinea: ‘Quale che sia il modo e il mezzo con il quale (durch welches Mittel) una conoscenza può rapportarsi a degli oggetti, quello in cui tuttavia essa si rapporta a loro immediatamente (unmittelbar), e a cui tende ogni pensiero in quanto mezzo c.m., è l’intuizione (und worauf alles Denken als Mittel abzweckt, die Anschaung)’” (p. 256).
Nella Tangente IV Derrida cerca di isolare alcuni motivi tra le diverse eredità filosofiche mantenendo fede alla regola esplicita nel contratto del libro: Le toucher, Jean-Luc Nancy. Nancy ha usato il termine portage per indicare “una partecipazione, una incontestabile prossimità, delle affinità, degli incroci, una sorta di comunità o di contemporaneità del pensiero, della lingua, del discorso. Ciò che noi chiamiamo tangenza. Ma esse significano anche un’altra cosa, sempre nell’uso alla Nancy che facciamo di questa parola, e cioè una partizione partition che spartisce départage, un’altra partenza (‘altra partenza’ è una citazione da Nancy che presto preciserò), un altro modo di procedere, un’altra scrittura, e, spesso protetta, dissimulata, appena decifrabile sotto enunciati che sembrano dipendere dalla stessa koiné” (p. 274). Nancy ci parla della portage dell’alterità che seguirebbe la linea della tecnica da una parte e di un al di là del cristianesimo. Il corpus da cercare sarebbe, quindi, da una parte un corpo originariamente propizio a una techne, dall’altra un corpo impegnato in una decostruzione della “carne” cristiana.
Ma perché Nancy insiste tanto sulla carne? Lo fa per avviare la decostruzione del cristianesimo come decostruzione del corpo, dunque del tatto cristiano, ma anche u-manista e antropo-teologico. Il cuore del cristianesimo è la dottrina dell’incarnazione, e basilare per essa è la dottrina dell’homoousia. San Tommaso ha cristianizzato l’aptologia. Dalla greca Psiche, da un tatto sensibile l’Occidente cristiano è transitato al tatto spirituale, al corpo dell’incarnazione, dell’eucarestia, del dono, della promessa e della memoria. Verso la conclusione Derrida si appella al succo della ricerca di Nancy, in particolare al libro Corpus: “Senza raccogliere, egli raccoglie sulla parola corpus, che soprattutto non si può tradurre semplicemente con corpo, tutti i linguaggi che vengono a ‘dire’ la disseminazione” (p. 355), ricordando che tra i corpi e le immagini dei corpi vi sono sempre degli interstizi, dei limiti, dei bordi. Chiude con un invito: “Rimangono da pensare insieme il primo bacio e il suicidio, il principio e l’atto della filosofia autentica, la loro giovinezza e la loro disciplina. Compito impossibile d’una aptologia generale” (p. 363). Dando atto a Nancy di aver cercato di farlo con un pensiero iperbolico che mette in gioco, senza riserve, corpo e anima, un pensiero che pone davanti la questione (filosofica) del toccare.
L'autore
Jacques Derrida (1930-2004), filosofo di origine ebraica, noto come il fondatore del decostruzionismo, è riconosciuto come uno dei maggiori filosofi del nostro tempo. Numerosa e molto varia la sua produzione saggistica. Tra le sue opere più note: L'écriture et la différence, De la grammatologie, La voix et le phénomène, La dissémination, Marges de la philosophie, Glas, La Vérité en peinture, La Carte postale: de Socrate à Freud et au-delà, De l'espirit: Heidegger et la question, Limited, Inc., Du droit à la philosophie, Politiques de l'amitié: suivi de l'oreille de Heidegger, Adieu à Emmanuel Lévinas.
5 commenti:
Ritengo necessaria precisazione, date inesattezze biografiche su Autore riportate a fine recensione.
L'origine ebraica per Derrida era un ambiente procuratogli, con sua tristezza e rifiuto, dalle aberrazioni pseudoreligiose insistite, cui alcuni, troppi destinavano fingendo fatalità, dissociandosi dai propri errori sulla religione e confessandosi irreligiosi od agnostici od atei... E giocando costoro con fraintendimenti e superstizioni per fingere il rapporto al Mistero una beffa misconoscevano proprie premesse idolatriche e occultavano le ragioni dei propri successi nei fatti dovuti ad idoleggiamenti, dando dubbi col proprio fatale futuro incontro, attraverso gli idoli stessi e le relative ossessioni spiacevoli, col divino nella Natura... E tale incontro accadeva per essi fuori tempo, fuori mestiere, fuori da successi politici, questi consumati nelle polemiche contro "l'oppio dei popoli" ma basati sui misconoscimenti stessi... Per esempio quelli intorno alle vere origini del filosofo ed intellettuale politicamente impegnato e culturalmente autorevole J. Derrida, che proveniva da ambienti arabi non alieni da contatti con ebraismo e capaci di usare cultura ebraica per diplomazia comunicativa ma non ebrei né ebraici.
MAURO PASTORE
Cartesio pensava spirito e materia, psicologicamente, quale mente e movimento, pensiero ed estendersi, in tal senso estensione non geometrica ma fisica, ma non è vero che si fosse illuso di aver trovato la via fisica-mentale privilegiata tra anima e corpo, cose che descriveva infatti coincidenze nella unità, individualità dei viventi o solo della vita, punto per punto, parte per parte, tutto con tutto. Dovendo fare una descrizione, descriveva il tutto col tutto, mentre descriveva la vitale individualità secondo unità necessarie assolutamente, relativamente, non necessarie. Rispettivamente le mostrava, ed anatomicamente, distinguendo tra ferite mortali, ferite non mortali, separazioni traumatiche, separazioni non traumatiche, perdite non indifferenti, perdite indifferenti, costruendo una filosofica psicologica analogia mente-corpo: mente ed attività mentale ovvero zone cerebrali concentrate e diffuse, anima ed animazione ovvero impulsi e sistema nervoso, tutto quanto muta e non provoca danni irreversibili o gravi se viene a mancare, ovvero parti non fondamentali di parti non fondamentali. Non era fisiologia, si badi, ma psicologia filosofica. Con tqoe prospetto indicava vasta comunanza anima-corpo e poi anche una tra tante secondo richieste di infermieri e medici di allora. Tale richiesta fu da molti intesa quale precisazione non indicazione e Cartesio in principio trovava in mezzo all'errore sempre tanti bisogni di usare quel suo esempio particolare ma alla fine non lo eresse ad idolo lasciandolo inessenziale, uno tra tanti. Molti non seppero capirlo ed i vantaggi medici dell'esempio li inducevano a favoleggiarne geometricamente pure.
Ugualmente un esempio per la fisiologia filosofica è stato indebitamente eletto a chiave di comprensione unica... Ma come si suol dire "andandosene per la tangente" non sfiora solo la mano, anche un gluteo od un piede od un labbro od insomma altro del corpo e con altro può sfiorare, per tangenza, creando un tatto inesteso ovvero un toccando senza un toccato, la percezione attivandosi anche per circostanza del tutto inerente non solo per accadimento.
Notandosi in religione cristiana, non in sua dogmatica, una cultura del corpo antropocentrica e ovviamente teologicamente significata, il trasmutare elementi e interezze di patrimonio culturale non significava negare i dogmi neppure distruggere espressioni e manifestazioni della religione cristiana in particolare cattolica, bensì ritrovare nelle affermazioni ragioni di verità. In particolare mostrando parzialità teo-antropologica si avvia intuizione cosmo-teo-antropologllica. In che modo questo senza reiniziare dal niente? Notando non differenza assoluta tra umano essere e mondana esistenza; io aggiungo: quel che E. Swedenborg in qualità di scienziato fisiologo indicava universalità macroantropica nella uguale risultanza di effetti remoti ambientali ed effetti diretti del corpo umano. Ma tutto ciò non è stato compreso se non da pochi, ugualmente alla ontoteologia cartesiana.
...
MAURO PASTORE
Nel messaggio precedente il termine 'cosmo-teo-antropologllica' sta per:
cosmo-teo-antropologica.
Inoltre, prima, il termine 'tqoe' sta per:
tale.
Reinvierò messaggio corretto.
MAURO PASTORE
Cartesio pensava spirito e materia, psicologicamente, quale mente e movimento, pensiero ed estendersi, in tal senso estensione non geometrica ma fisica, ma non è vero che si fosse illuso di aver trovato la via fisica-mentale privilegiata tra anima e corpo, cose che descriveva infatti coincidenze nella unità, individualità dei viventi o solo della vita, punto per punto, parte per parte, tutto con tutto. Dovendo fare una descrizione, descriveva il tutto col tutto, mentre descriveva la vitale individualità secondo unità necessarie assolutamente, relativamente, non necessarie. Rispettivamente le mostrava, ed anatomicamente, distinguendo tra ferite mortali, ferite non mortali, separazioni traumatiche, separazioni non traumatiche, perdite non indifferenti, perdite indifferenti, costruendo una filosofica psicologica analogia mente-corpo: mente ed attività mentale ovvero zone cerebrali concentrate e diffuse, anima ed animazione ovvero impulsi e sistema nervoso, tutto quanto muta e non provoca danni irreversibili o gravi se viene a mancare, ovvero parti non fondamentali di parti non fondamentali. Non era fisiologia, si badi, ma psicologia filosofica. Con tale prospetto indicava vasta comunanza anima-corpo e poi anche una tra tante secondo richieste di infermieri e medici di allora. Tale richiesta fu da molti intesa quale precisazione non indicazione e Cartesio in principio trovava in mezzo all'errore sempre tanti bisogni di usare quel suo esempio particolare ma alla fine non lo eresse ad idolo lasciandolo inessenziale, uno tra tanti. Molti non seppero capirlo ed i vantaggi medici dell'esempio li inducevano a favoleggiarne geometricamente pure.
Ugualmente un esempio per la fisiologia filosofica è stato indebitamente eletto a chiave di comprensione unica... Ma come si suol dire "andandosene per la tangente" non sfiora solo la mano, anche un gluteo od un piede od un labbro od insomma altro del corpo e con altro può sfiorare, per tangenza, creando un tatto inesteso ovvero un toccando senza un toccato, la percezione attivandosi anche per circostanza del tutto inerente non solo per accadimento.
Notandosi in religione cristiana, non in sua dogmatica, una cultura del corpo antropocentrica e ovviamente teologicamente significata, il trasmutare elementi e interezze di patrimonio culturale non significava negare i dogmi neppure distruggere espressioni e manifestazioni della religione cristiana in particolare cattolica, bensì ritrovare nelle affermazioni ragioni di verità. In particolare mostrando parzialità teo-antropologica si avvia intuizione cosmo-teo-antropologica. In che modo questo senza reiniziare dal niente? Notando non differenza assoluta tra umano essere e mondana esistenza; io aggiungo: quel che E. Swedenborg in qualità di scienziato fisiologo indicava universalità macroantropica nella uguale risultanza di effetti remoti ambientali ed effetti diretti del corpo umano. Ma tutto ciò non è stato compreso se non da pochi, ugualmente alla ontoteologia cartesiana.
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MAURO PASTORE
MAURO PASTORE :...
Certo non era una ricostruzione storico-filosofica l'oggetto di indagine intellettuale di J. Derrida su percezioni e conoscenza e cultura e politica.
Il pensiero della indagine si fondava sul ritorno all'Opera di Aristotele, al concetto di senso primordiale, del tatto, sulla rievocazione mitologica, che introduceva con allusione alla favola di psiche ed amore (d'altronde oggetto di studio severo della psicologia archetipica), mostrando l'inadeguatezza culturale di un itinerario di conoscenza avviato dall'idea di un esperire materialmente l'anima e concluso nel concetto di un sentire idealmente il corpo... Eppure ciò restando ragionevole se si pensa che l'universo si sente anche solo pensando senza un oggetto pensato e che la vita si rivela con la esperienza della vita... Ma non abbastanza saggio per affrontare il rischio della esistenza, se dal Mistero che salva si vuol trarre riflessione per edificazione spirituale e morale di coloro che ad Esso si rivolgono, perché in tal maniera non si può trovare l'occasione del tempo ma solo sentenza dal tempo. Da questa constatazione ma in evidenze di distrazioni di massa, derivò un terribile interrogativo che fece giungere Derrida in università, accademie e circoli intellettuali. Se la realtà offre occasione vitale, come mai un intero mondo la rifiuta? Allora bisognava chiedere anche della volontà di morte per limitarne potere nella cultura e negarne alla politica. Inutile a tal fine gli era mostrare la intelligenza filosofica aristotelica e neanche saggezza del mito ne bastava.
MAURO PASTORE
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