Recensione di Paolo Calabrò – 07/02/2008
Filosofia teoretica, Storia della filosofia
Il problema del divenire è antico come la filosofia: se l’essere è, come può divenire? Come può “essere” il “mutamento”: come può cioè una cosa non essere “più”? Questo è il punto di partenza dell’ultimo libro di Fabio Vander, che mostra quanto il tema, antico ma non vecchio, sia più che mai presente nell’odierno dibattito filosofico italiano, al quale per scelta l’Autore si limita: per Vander infatti «la maggiore filosofia al mondo si fa oggi in Italia» (p. 9). Ed è quindi con quattro autori italiani di spicco che si confronta: Emanuele Severino, Gennaro Sasso, Massimo Cacciari ed Andrea Emo.
Soltanto un fondamento come la contraddizione può permettere di venire a capo del problema del divenire senza cadere in aporie: questo è il tema del libro. «È perché ogni uomo è buono/cattivo che può poi essere detto buono, cioè può dar luogo all’incontraddittoria “opinione” della bontà (o cattiveria) di un singolo» (p. 21). L’Autore si rifà esplicitamente ad Hegel, del cui pensiero dialettico il libro è in verità una ricapitolazione puntuale e priva di sbavature, che ha il pregio della chiarezza: una volta identificato il dispositivo intellettuale, per il quale all’ente necessariamente bisogna riferirsi in modo incontraddittorio, secondo il dettato del principio di non contraddizione aristotelico (p.d.n.c. nel testo), mentre l’essere è di necessità contraddittorio, l’argomentazione fluisce piana, regolare, senza sorprese. La contraddizione è regula veri, la non contraddizione è regula falsi. Solo la contraddizione, fondamento di una realtà che il linguaggio è costretto ad oggettivare secondo il p.d.n.c., può dare conto della realtà dell’esperienza nel suo multiforme divenire. Solo il Tutto è. Ed è tutto, cioè – nel comprendere gli estremi, ogni cosa ed il suo opposto – è contraddittorio. L’esperienza è parziale, unilaterale, non contraddittoria ed infine falsa. La parte può essere conosciuta autenticamente solo se ricondotta al tutto di cui è parte. Il meccanismo di riconduzione è la dialettica.
Purtroppo il libro (ma forse meglio si dovrebbe dire l’Autore) non ha anche il pregio dell’umiltà: Vander, che non perde tempo «con filosofie analitiche, epistemologie, postmodernità e “pensieri deboli”» (p. 13), intende stabilire non solo «che cosa davvero Aristotele disse a riguardo della contraddizione» (p. 12) ma soprattutto «cosa i nostri autori [cioè i quattro criticati] ne hanno capito» (ivi); per Vander Severino ha «un modo invero ben strano di ragionare» (p. 18) ed Emo trae conclusioni in maniera assurda (p. 140), «resta fermo alla più ingenua delle ontologie» (p. 143) e deve «riconoscere il suo finale fallimento» (p. 150). Ma il suo vero bersaglio è Cacciari, il quale: «riscopre la mediazione ma si ostina a pensarla non dialetticamente, il che semplicemente è impossibile» (p. 96), sbaglia nell’interpretazione dell’enigma dell’oracolo di Delfi (p. 108), è arbitrario nella sua considerazione della dialettica (p. 111n.), «applica in modo errato la sua concezione della dialettica non solo a Croce ma anche a Gentile» (p. 115n.), «ha una percezione distorta, rovesciata del problema della politica» (p. 119), mantiene presupposti surrettizi a causa della sua «cattiva intelligenza della dialettica» (p. 123), si fa domande “retoriche” e “sbagliate” (p. 124), «è prigioniero del suo pregiudizio irrazionale» (p. 126), quando cita Aristotele «lo fa in modo improprio» (p. 126n.) ed in definitiva «confonde l’essere dell’ente con l’essere in quanto essere» (p. 128n.).
Vander intende mostrare la forza e la consistenza della concezione della dialettica di Hegel, e sceglie di farlo con “metodo dialettico”, cioè per contrapposizione alle filosofie dei quattro autori citati, facendo leva sulle debolezze di queste, mettendone in luce le aporie e spiegando infine i vantaggi che offre la dialettica hegeliana nella soluzione di tali problemi. In verità, la presentazione della dialettica gli riesce meglio della critica: la prima risulta infatti chiara, conseguente e precisa, mentre alla seconda sarebbe forse meglio convenuta una trattazione più estesa, basata su una bibliografia più ampia. Vander prende in esame tre testi di Severino, tre di Sasso, quattro di Emo ed addirittura uno solo di Cacciari (oltre alla prefazione di quest’ultimo ad un libro di Emo, che certo non si può considerare un “testo” da criticare). Egli dice di voler restringere il confronto all’«ultima filosofia italiana» (p. 11), ma è probabile che autori come quelli in questione, che hanno all’attivo decine e decine di libri ed il cui percorso intellettuale si dispiega in decine d’anni, si riconoscerebbero difficilmente nell’immagine che Vander ne restituisce; per cui la sua critica è quantomeno “parziale”. Inoltre, manca quasi del tutto la bibliografia secondaria sugli autori trattati, ciò che estromette la critica di Vander dal dibattito attuale intorno agli stessi.
Quest’appunto vale anche per la sua interpretazione di Aristotele, della quale non rivendica l’originalità, ma certo la correttezza (contro «determinati errori ermeneutici che il pensiero di oggi condivide con una secolare tradizione di interpretazioni aristoteliche», p. 12). Francamente questa è una cosa che lascia sconcertati. Vander, che non è certo uno scrittore alle prime armi, porta avanti la sua critica a queste vecchie interpretazioni e la sua proposta d’interpretazione senza citare una sola volta il testo greco di Aristotele (mentre le citazioni dal greco si sprecano in tutto il resto del libro, dove sono molto meno necessarie che su questo punto). Basa tutto su un paio di passi controversi, fa affermazioni apodittiche su questioni quantomeno discutibili e cita raramente la letteratura secondaria sull’argomento; il tutto senza astenersi dall’affermare a ogni piè sospinto (come già visto) che gli autori italiani (Cacciari soprattutto, che a sua volta novellino non è) sbagliano l’interpretazione di un problema filosofico di queste dimensioni, cioè la portata ontico-ontologica del p.d.n.c. Così come, pur comprendendo bene che l’opinione di Semerano e Giannantoni (benemeriti) non è probante in un ambito eminentemente filosofico (e non solo) come quello delle origini presocratiche della dialettica, nondimeno è in grado di affermare al riguardo, dopo sole sei pagine di trattazione, di aver raggiunto la dimostrazione cercata (p. 158).
È impossibile negare la conoscenza della materia e quella degli autori che Vander certamente possiede; anzi, è proprio per questo che si resta stupiti. Escluso ogni sospetto d’imperizia, non resta che pensare che l’atteggiamento descritto sia semplicemente il riflesso di quello che Vander ha nei confronti dei pensatori che critica: egli li tratta di continuo come se, avendo a disposizione una filosofia consistente e adamantina come quella hegeliana, si ostinassero – per motivi oscuri, o per cattivo carattere – a battere sentieri impervi e sdrucciolevoli, la cui sola meta non può che essere l’aporia. Sembra accusare questi filosofi di non aver letto Hegel e Aristotele, o di averli capiti male (e quasi, certe volte, di farlo apposta); non dà conto, a chi non ha letto Della cosa ultima, del fatto che Cacciari non può assumere integralmente una prospettiva hegeliana perché attanagliato dal seguente dilemma: «Abbiamo visto come il testo aristotelico stesso [il libro V della Metafisica] sembri alludere ad altro, a ‘qualcosa’ che il pensiero ‘patisce’ senza poter ‘risolvere’. Dobbiamo mettere a tacere questo suo dramma? Il pensiero vuol far vedere; il nostro discorso tende sempre ad apparire puramente apofantico. Ma l’arché sembra avere una voce che è difficile non ascoltare, e ancor più difficile ‘ripetere’» (M. Cacciari, Della cosa ultima, p. 40). Ma, per Vander, come per lo stesso Hegel, la filosofia hegeliana è un punto d’arrivo; ciò che viene prima sbaglia per difetto, ciò che viene dopo, per eccesso. (Russell, che è probabilmente il «“maestro” dispensabile del Novecento» di cui Vander parla a p. 144n., rilevò che, secondo la Fenomenologia dello spirito, «l’Universo sta gradualmente imparando la filosofia di Hegel». B. Russell, Storia della filosofia occidentale, Milano, Longanesi, 19962, p. 704).
Ma la coerenza interna del sistema non è l’unica esigenza della filosofia. Un problema come quello di Cacciari (e di Aristotele) non può essere semplicemente “messo a tacere”. In più, oggi la filosofia non può esimersi dal confronto con la scienza moderna – qualunque sia l’ambito ed il livello di validità che si è disposti a riconoscerle in quanto forma di sapere – il che non vuol dire che essa debba essere accomodante anche quando, giustamente, rinuncia ad essere mera ancilla scientiae. Leggendo il libro, non si può non chiedersi cosa penserebbe un uomo di scienza, ancorché non prevenuto e genuinamente interessato alla speculazione filosofica, di fronte ad un’affermazione del genere: «“Determinazione noetica” è allora quella che indica proprio la natura contraddittoria del bianco e del nero; per cui il nero è non-nero ed è condizione della sua determinazione (dianoetica) come “opinione” del puro nero. In altre parole posso avere l’opinione (non la verità) che il nero è solo nero, sulla scorta della determinatio della verità del nero, che è dialettica, cioè contraddittoria, cioè nero/non-nero. L’opinione è la determinatio della verità, è l’unilateralizzazione della contraddizione» (p. 26). Non è solo una questione di linguaggio. Per la scienza è indispensabile attingere ad un saldo fondo di oggettività (anche se solo in termini di intersoggettività); essa non può fermarsi al fatto che «il miele è dolce/amaro, ma c’è “chi lo guarda” dolce e “chi lo guarda” amaro» (p. 62). Per la scienza, l’ontologia della contraddizione è problematica da conciliare con il dato imprescindibile d’esperienza (anche di fronte a fenomeni e teorie “olistici”, quali ad esempio l’entanglement quantistico o la teoria fisica del bootstrap); detto altrimenti, non le è sufficiente affermare la mera utilità pratica del p.d.n.c. , dicendo che «serve a non buttarsi nei burroni» (p. 46).
Dalle pagine trapelano l’entusiasmo e la passione dell’Autore, che ci tiene a fugare ogni dubbio, non è avaro di esempi che possano giovare alla spiegazione e fa di tutto per non lasciare nulla in sospeso. Né manca vivacità al testo, pur dotato di un linguaggio omogeneo e rigoroso: come quando Vander rievoca il pirandelliano “uno, nessuno e centomila” a proposito della incontraddittorietà degli enti (p. 80), o come quando dice che «l’esperienza è solo la fugace indian summer del finito» (p. 60). In conclusione questo libro, solida introduzione alla dialettica hegeliana – la cui lettura può risultare impegnativa per la mole delle note (che spesso superano in ampiezza lo stesso testo) ma non per farraginosità dell’esposizione – resta una testimonianza lampante di quanto forte possa essere ancora oggi, a due secoli di distanza, il fascino di una filosofia avvolgente come quella di Hegel che ha preteso – e pretende – di fondare la filosofia “incontraddittoriamente, sulla contraddizione”. Pochissimi i refusi tipografici di questa bella edizione Marietti.
Indice
INTRODUZIONE
PARTE PRIMA
La contraddizione come fondamento. Su Severino
Tempo e contraddizione in Gennaro Sasso
PARTE SECONDA
Cacciari e la riconquista della mediazione
La dialettica «senza fondamento» di Andrea Emo
CONCLUSIONE
Origini presocratiche della dialettica. Su Semerano
INDICE DEI NOMI
L'autore
Fabio Vander, nato a Roma nel 1958, è laureato in filosofia e storia contemporanea ed è diplomato presso l’Alta scuola di studi legislativi (ISLE). Ha pubblicato: con M. Fotia, Neo-centrismo e crisi della politica, Asterios, 2006; con G. Pieraccini, Socialismo e riformismo, Marietti, 2006; La democrazia in Italia, Marietti, 2004; Kant, Schmitt e la guerra preventiva, Manifestolibri, 2004; Che cos’è socialismo liberale?, Lacaita, 2002; L’estetizzazione della politica, Dedalo, 2001; Aldo Moro, Marietti, 1999. Collabora con le riviste «Behemoth», «Il cannocchiale», «Telos», «Teoria politica».
Links
www.filosofiaitaliana.it (sezione del «Giornale di filosofia» dedicata alla filosofia italiana)
www.filosofia-italiana.org (centro per la filosofia italiana)
www.lelettere.it/site/d_Page.asp?IDPagina=42 (sito dell’editrice del «Giornale critico della filosofia italiana, fondato nel 1920 da Giovanni Gentile)
7 commenti:
Trovasi in questa recensione di Paolo Calabrò materia logico-filosofica, marxisticamente (forse per esigenze altrui non di stesso recensore P. Calabrò) tratta da materia, hegelianamente corrispondente (posthegelianamente coincidente da parte di autore recensito Fabio Vander), filosofica-logica di stesso autore (recensito), cui lavoro recensito del 2007, recensione del 2008.
Intorno ad anni 2007-2008 ed in questi stessi, dei risultati recensivi non erano medesime risultanze di ultimi anni dal 2012 al 2019. A prescindere dalle discronie che ho elencato, risulta comunque evidente che il recensore agiva criticamente - determinatamente - elettivamente - non neutralmente. Non a prescinderne risultando pure che in anni 2007,2008 e fino a 2012 non v'era medesima condizione accademica universitaria scolastica culturale filosofica di dopo: mi riferisco ad evento filosofico in connessione - commistione al seguente accadimento politico e non viceversa:
In Italia, da anni intorno ad anno 1989 allorché dissoluzione della Unione Sovietica per stasi di interventi esterni da parte di essa medesima fino alla riconversione dei sistemi sociali sovietici in Unione in compimento ineluttabile in anno 2012, da anni 1989 - 2012 con conseguente dissoluzione ineluttabile dei corrispettivi sistemi culturali-sociali esternamente ad Unione, accadeva indirettamente quanto direttamente in Paesi di Patto di Varsavia in Università e Scuole e non senza cambiamenti in Accademie, nonostante Paese di Italia fosse entro Patto Atlantico ugualmente ad oggi; indiretti accadimenti italiani a causa di condizioni da guerra civile non di guerra civile determinate dal terrorismo soprattutto di matrice comunista e per causa anche di forte momentaneo potere comunista partitico ad interdizione dei normali svolgimenti istituzionali dello Stato, con sostegni di servizi segreti sovietici deviati, stalinisti.
Secondo condizione di fatto di studi universitari non accademici italiani fino ad anno 1989, era invalsa pratica di studio marxista o filomarxiana, esclusiva o necessaria, optativa o non optativa secondo varietà locali ma ovunque o presente o fatta necessariamente presente, quindi con opzionalità non sempre attive e limitate da interculturalità per necessità o marxista o marxiana, di relazioni unilaterali o multilaterali, cui libera opposizione non marxista o non filomarxista od antimarxista esisteva
— ed era in forse durante gli anni della crisi economica (anni '70) e garantita quindi da tutt'altro da quanto fatto e raccontato da ambienti antidemocratici-antilibertari cioè garantita da difese di emancipazioni a scopo vitale e non partitiche e non antiautoritarie e fortemente antiautoritariste (dicibili propriamente "Contestazione"), necessarie in Occidente da anni '60 ad anni 70' fino ad anni 90', ineludibilmente sino ad anni '90, inizialmente in Stati Uniti d'America poi in Europa poi in sola Europa, con manifestazioni collettive limitate a mondo anglosassone —
e solo da anno 1989 fino ad anno 2012 trovando meno limitata opzionalità, poi dopo anno 2012 ottenendone illimitata, ma di fatto scontrandosi con revanscismo e post revanscismo ed ex revanscismo di marxismo sostenuto da antioccidentalità poi mondialista-meridionalista...
! In qualità di: ex hegelismo anti - post - hegelista, il marxismo rifiutava infine tendeva a rifiutare concetto di alienazione culturale, che invece autore recensito non rifiutava.
MAURO PASTORE
A differenza di autore recensito, il marxismo, in qualità di: ex hegelismo anti - post - hegelista, rifiutava infine tendeva a rifiutare il concetto di alienazione culturale, sia esplicito che implicito, posto da Hegel stesso ad utilizzabilità non solo usufruibilità del proprio sistema filosofico-dialettico dopo che la cultura tedesca si era unificata diversamente da quanto stesso Hegel voleva, quindi ugualmente riposto da hegeliani dopo che la cultura teutonica non solo teutone, europea, si era unificata differentemente da quanto voluto da hegeliani stessi. Tali necessari limitazioni furono rispettivamente antiimperialiste quindi postcolonialiste, per Germania e territori ex asburgici, di Italia pure, ed accadevano, prima e dopo, tra iniziarsi di fine Regime asburgico e compirsi di sua medesima fine; in Italia tutto risolvendosi durante periodo monarchico unitario...
Ma nel frattempo assolutismo inverso, di generico imperialismo economico internazionale eurasiatico — poi imperialismo-colonialismo internazionalista eurasiatico-meridionale — era istanza entro cui si formava materialismo assolutista marxista da presto e primieramente passando da velleitario autoritarismo a totalitarismo effettivo. In ed attorno anni 2007-2008 la tensione al rifiuto era ancora determinante in istituzionalità universitarie non accademiche, perciò della dialettica hegeliana, posthegeliana, ex-hegeliana, da molti si continuava a tentare applicazioni assolutiste-autoritariste, controculturali, contro postcolonialismo non contro dittatorialità distruttivamente anti-ideologiche o non-ideologiche ed antioccidentali.
Tali applicazioni intolleranti, parte diventando automatismi di schemi sociali - culturali autonomamente funzionanti anche senza adesioni né costrizioni, rifiutavano o escludevano nozioni, conoscenze, usi, utilizzi di stretta dialettica hegeliana non alienata munita cioè di esplicite relativizzazioni-connessioni, che incappava in distratte ma non verbalmente nulle critiche, le quali occupavano (certe volte con coinvolgente tematicità non deliberata) filosofiche espressioni, cui necessaria ulteriore militanza intellettuale. Di questa era protagonista non in àmbito accademico ma da àmbito accademico egemonico potere comunque non corrispondente alla maggiore attività determinante della filosofia italiana in politica e cultura!
Dunque filosofi importanti agivano ai margini di stretta logica-razionale hegeliana, sia post che ex hegeliana, essi da entro schematicità postuma di marxismo e marxisti oltre provvedendosi ragioni dal Decostruzionismo, inversamente funzionante dai propositi post non ex marxisti...
MAURO PASTORE
In anno 2008 non era di stringente necessità filosofica comune il domandarsi circa effettiva consistenza della rilevanza maggiore filosofica italiana ufficialmente invalsa, perché non bisognava precipitare eventi per darne restante senso vitale e perché comunque v'era una cultura italiana indipendente da 'subculturazione' imposta dagli antioccidentalismi marxisti sempre più inclini al potere mondialista-meridionalista antipolitico contro politica del Nord del Mondo — cui Continente Europeo unico interamente compreso...
Altri valori dunque, attendismi; ma il perché vi fosse tanta agibilità di revanscismo marxista sta in destini non solo politici culturali filosofici vitali ma in possibilità destinali-fatali esiziali cui filosofia era solo una delle forze non la decisiva...
Difatti non era certo che si potesse continuare vita europea e non solo di retaggio europeo di Occidente, cioè neanche in Europa stessa!!
In parte il volgersi post non ex marxista al Meridione del Mondo più rischiosamente impolitico, ha mostrato rapporti tra fatalità e destinalità di possibili esizi;
che non sono accaduti per ostinata conduzione autoctona europea, sia per forza che debolezze; e che non possono accadere per naturalità europea, ove umanità ha parte integrante non solo integrata!
MAURO PASTORE
Fabio Vander, entro critica già formulata da intellettualità antimarxista ed antimarxista - non marxista, notava consequenzialità non filosoficamente sostenibile di un movimento filosoficamente ineccepibile e individuava in movimento stesso dei passaggi aporeticamente in accadimento interno nulli ma ad evento esterno non nulli — che solo attualmente paiono o parrebbero o potrebbero parere altresì non esistenti...
Tali non nullità essendo non 'entitariamente' ovvero 'entelechisticamente' entro generico finalismo non filosofico particolaristicamente extrafilosofico:
A) sovraordinato al finalismo antifilosofico nichilista-distruttivo descritto ex-non-post-eleaticamente da E. Severino;
B) non subordinabile alla critica filosofica dei filosofemi criticisti fatta valere da G. Sasso secondo realismo ex-non-post-kantiano;
C) incommensurabile alla medietà di filosofia attualisticamente possibile posta in causa dal filosofare del dialogo integrativo di M. Cacciari;
D) persistente in stessa riconduzione ex-civile-culturale del relativo filosofare comune al possibile futuro filosofare assolutamente necessario proposta da A. Emo...
E) sottoposto ad amplificazione culturale del presente linguistico, realizzata filosoficamente con gli studi sulla nullità ipotetica del linguaggio unico ex-indoeuropeo-europeo, che Semerano conduceva scientificamente con effetti di potenziamenti culturali non subculturali...
Notandosi evidenze di necessarie ulteriori perduranze della deriva culturale di generico progresso oramai largamente diffusa e determinante in stesso movimento filosofico a sua volta necessario per futuro culturale italiano-europeo-occidentale; da situarsi italiano delle comprensibilità culturali necessarie alle comprensibilità filosofiche della entelechia non solo occidentalmente ma globalmente negativamente pervasiva, antioccidentalmente, antieuropeisticamente, antiitalianisticamente, in concomitanza di necessarie alternative positività non esterne ad evento più vasto entro cui quello di tali filosoficità coinvolte... ed insomma tutto ciò notandosi filosoficamente per individuazione di razionalità dialetticamente extrafilosoficamente scaturite... Ma ciò (!) da impostazione esclusiva di marxismo non si può notare perché questa è in alienazione culturale disconosciuta e non riconosciuta ed anche logicamente volta con effettivo non impiego di ovvietà di premesse europee che in marxismo sono sostituite da corrispondenti originali non originarie euroasiatiche, con procedere ragionativo in parte occultato da disconoscenti relazionamenti e quindi in altra parte occulto per privazioni di radici culturali originarie euroasiatiche cioè privazioni, ad originalità persistente, di evidente sensatezza generando poi insensatezze organizzative — codesta ultima privazione dal criminale intervento dello stalinismo e da continuazione delittuosa marxista-stalinista era resa abbandono culturale quindi etnico cui insensatezze corrispettive facevano forse perenne, cioè fino ad etnocidio, attuato da "Stalin" e stalinisti per tramite di azioni economiche consistenti in coincidenza con stesso privare e da marxisti tramite medesimo privare.
MAURO PASTORE
Bisogna notare che in tattica recensoria v'è ignorare di dialettica idealista schellinghiana, in cultura filosofica progressiva, idealista - realista neoidealista - neorealista, di fatto di pertinenza non sola attinenza a premesse logiche universalmente generali, in quanto da intuitività distintiva-non-separativa a pensabilità separativa-distintiva, da ragione necessitata a ragionamento necessitante...
Notissimo l'esempio di Schelling stesso di oscurità notturna che mostra solo vacche bianche e non nere ma v'era pure il suo falso seguente enigma di oscurità notturna che mostra vacche nere e non bianche... Ovvio che si deve per aggirare falso enigma pensare a stalle e lune e ad assenza di completezze fenomeniche di lumi / non-lumi.
Recensore oltre a pretender troppo da eredità esclusivamente hegeliane eludendo o forse non sapendone sèguiti altri, di fatto attribuisce al pensiero scientifico necessità inesistenti senza spiegare quali sarebbero circostanze particolari necessitanti né chi necessitanti. Infatti finanche la psicoanalisi scientifica conosce logica mentale di riferimento di totalità - totalità-parzialità; ne recano studi di (ex non-post-freudiano) Erich Fromm (con termine "freudiano" ci si deve in tali casi riferire ad interdisciplinarità psicologica / neurologica di parte neurologica e neppur sufficiente realizzata da Sigmund Freud oppure ci si riferirebbe a pedagogia psicoanalitica di Anna Freud o proprio a nulla!).
Mi son riferito a metodo di psicologia scientifica detto psicoanalisi; ecco esempio di scienza non da esperire ma di esperimenti, l'ottica:
i rapporti tra lo sfondo luminoso e gli oggetti luminosi studiati dagli scienziati di ottica sono ripartiti numericamente secondo prospetto non tabelle di questa tipologia aritmetica-alfanumerica matematica:
a (x) , b (y) = a b
dove cioè si indica una totalità di contrari soltanto reciprocamente nulli scoperta da non totalità cioè elementarità reciprocamente non nullamente contrarie.
Bisogna evitare l'errore di pensare che la scienza fisica sia il termine ultimo onnicomprensivo delle varietà scientifiche. La scienza fisica è solo una scienza ed i rapporti antichi tra fisica filosofica e fisica scientifica, in opere aristoteliche la costituzione di scienza fisica statica (scoperta di maggiorazioni minorazioni non solo divergenti; che attuale analisi matematica esprime così con insieme di segni: < > ) da valutazione di fisica filosofica di elementarità triadica (durezza, adattamento, informità), non vanno adottati senza saperne né bisogna trascurare quanto già non direttamente fatto dalla filosofia contemporanea per evitarne — la classica metafisica quale prima filosofia, già troppo poco classica per il Medio Evo già inoltrato ad ottica scientifica poi reinoltrato a matematica scientifica, in Evo Moderno era tornata importante perché iniziando fisica dinamica ed ultimamente col progredire di fisica teorica riavendo rinomanza nuova; ma resta che l'Assolutezza è il vero riferimento previo di ogni sistematica filosoficità non l'opporre circolarmente metafisiche ed antimetafisiche (invece utile per filosofia della scienza sarebbe ritrovare la Fondazione scientifica aristotelica e porla di nuovo assieme a galileiana).
MAURO PASTORE
In mio primo messaggio '2007,2008' sta proprio per:
2007, 2008 .
In mio secondo messaggio 'necessari limitazioni' sta, in non immediata evidenza, proprio per:
necessarie limitazioni .
MAURO PASTORE
Sono dispiaciuto dei minimi inconvenienti di scrittura, dipendenti da noie non solo a me arrecate delittuosamente da altri e durate tanto tempo e necessitantimi anche altre urgenti attenzioni alternative cui non ho voluto opporre maggior impegno per mio filosofico senso del limite ed istintiva mia saggezza, anche perché Internet non è una libreria... allora sia bastato ultimare questa mia piccola fatica oggi solo con precisazioni verbali accluse.
MAURO PASTORE
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