Recensione di Rita Fulco - 22/02/2008
Pedagogia, filosofia della religione
Una ricerca specialistica e approfondita – condotta con sapienza storico-filosofica e filologica – sui temi dell’ascesi e sul rapporto di essa con la pedagogia, a partire da una rilettura di quelle pagine weiliane che interrogano e offrono risposte all’orizzonte – quello pedagogico – scelto dall’autrice per avvicinare il pensiero di Simone Weil: questa, in estrema sintesi, l’inedita prospettiva offerta dal libro Simona Faucitano, il cui taglio, certamente complesso, chiama pedagogia e filosofia a un incontro e confronto su temi spesso estranei all’uno o all’altro ambito. Già questo, a livello formale, costituisce un esercizio “di legame”, che ci fa addentrare, per via esperienziale, in una delle tematiche più importanti che Faucitano prende in considerazione nel testo, quella, appunto, delle “pratiche di legame”. Un legame che dovrebbe essere teoretico e forte, innanzitutto, nell’ambito stesso delle scienze umane, sviluppate, purtroppo, in modo spesso ermetico e autoreferenziale, privando i concetti interni a ciascuna di esse della sovrabbondanza di senso che potrebbe derivare da un confronto interdisciplinare di prospettive.
La “formazione all’aperto”, concetto chiave del testo di Faucitano, richiama subito alla mente le immagini fotografiche che ritraggono Simone Weil con la sua classe femminile di filosofia, mentre fa lezione all’aperto, sotto grandi alberi, intenta a parlare di filosofia greca, di letteratura francese, di politica europea, di differenti sistemi pedagogici, tessendo fili di pensiero in una trama sapiente, volta a disegnare orizzonti, piuttosto che a delimitare campi di riflessione. Ma altrettanto calzante potrebbe essere il riferimento agli incontri con gli operai, i minatori, i contadini, i pescatori, che la ascoltano mentre legge e commenta le tragedie greche o spiega Platone. L’aperto – nella sua accezione concreta e, soprattutto, in quella analogica – è il luogo dello spaziare dello sguardo, dell’acuire l’udito, dell’esercizio dell’attenzione, della percezione del vuoto, che può preludere a smarrimenti nell’infinito o a una ricettività salvifica dell’infinito stesso. Una Lichtung in cui ogni cosa si ritrova raccolta e quieta nell’immemore tempo dello spirito, attraverso l’addestramento a cogliere il simbolismo analogico presente nell’ordine dell’universo, senza per questo sfuggire al malheur, che destinalmente unisce gli esseri umani e chiede di essere meditato e ripensato, proprio a partire dalla sperimentazione del vuoto che esso stesso provoca.
Gli ambiti a cui Faucitano, con Weil, rivolge la sua attenzione – la bellezza, la letteratura, la filosofia – sottolineandone la manifestatività spirituale, non sono quelli tradizionalmente appartenenti al cristianesimo e, tuttavia, è soprattutto in essi che l’autrice coglie una “qualità ascetica”, poiché essi riprenderebbero «dalla codificazione religiosa dell’ascesi e del rapporto dell’ascesi con la mistica i due temi-problemi della contemplazione e della imitazione di Cristo» (p. 57). Proprio questi due temi «possono essere l’ispirazione spirituale e la forma di pensiero di una predisposizione pedagogica a istituire pratiche generative di legame, meditando e dischiudendo gli orizzonti immaginali-simbolici delle pratiche ascetiche e mistiche cristiane, liberate da una dimensione istituzionale, che, come sottolinea Weil nei suoi scritti, ha forma totalitaria, la forma della chiesa, e risituate “nell’aperto”: si tratta di risvegliare un’idea di “formatività” pedagogica che ha i tratti della ricettività spirituale, della sensibilità incarnata e della partecipazione cosmica, per poter accedere a forme di memoria, di legame e di comunità, spiritualmente vive e storicamente specifiche per la cultura occidentale contemporanea» (pp. 58-59).
L’attenzione di Simona Faucitano si concentra – dopo aver offerto, in un dialogo appassionato con l’opera di Marco Vannini, un excursus storico-filologico del termine “ascetica” – sulla decostruzione di quelle posizioni, piuttosto diffuse soprattutto tra alcuni esegeti cattolici, che, con una lettura deproblematizzante del pensiero di Simone Weil, la inseriscono nell’orizzonte della mistica cattolica, accanto a figure come Edith Stein, non ponderando adeguatamente la critica weiliana all’istituzione-Chiesa e travisando anche temi importanti, quali quello della critica alla forza e alla potenza. Un esempio per tutti può essere quello della lotta di Giacobbe con l’angelo, interpretato positivamente da alcuni lettori cattolici di Weil, a partire dal cambiamento di nome – da Giacobbe in Israele – dopo la vittoria contro Dio; episodio riorientato da Faucitano in modo quanto più possibile aderente al pensiero di Weil, teso a esaltare la rinuncia alla propria egoità e la debolezza come uniche pratiche possibili e virtuose di fronte a Dio, le uniche che permettano un’autentica ricettività spirituale: «La grande macchia non è forse la lotta di Giacobbe con l’angelo? […] Non è forse la massima sventura (malheur), quando si lotta contro Dio, quella di non essere vinto?» (S. Weil, L’Ombra e la grazia, Bompiani, Milano 2003, p. 299). Faucitano, attenta alla spendibilità pedagogica dell’episodio in quanto esempio di pratica ascetica e di legame, sottolinea come Giacobbe, di fronte a Dio, sia nudo in senso materiale – di beni, di figli – ma sia ancora ricco «della domanda intorno al nome e all’identità dell’uomo con cui combatte […] ancora attaccato alla dimensione agonale di le moi: dall’identità del nemico dipende l’entità della vittoria. Oggetti, l’identità del nemico e la vittoria, di un desiderio gravitazionalmente terrestre, che rimane chiuso all’irruzione di Dio e ai mutamenti catastrofici da essa pro-vocati; solo lo svuotamento operato dall’esterno e dall’interno, in modo sempre attivamente passivo, può rendere l’interiore recettivo» (p. 65). Non a caso, prendendo le distanze da un’etica della “consegna”, nella quale il Terzo istituzionale è, comunque, la Chiesa, Faucitano si accosta alle posizioni di Alessandro Dal Lago, il quale ripensa la nozione weiliana di impossibilità, che riporta Dio fuori dal campo delle possibilità umane, anche della loro impositiva domanda di salvezza; anzi, la nozione di impossibilità assume un ruolo decisivo di delegittimazione rispetto al “richiedere” – quasi un pro-vocare in senso heideggeriano – la salvezza «che presuppone, da una parte, un diritto d’accesso, dall’altra, un diritto di sovranità» (p. 77). Inoltre, l’assetto “giuridico” della morale cristiana «tende a restringere elettivamente, in modo intra e inter-specifico, il senso spirituale e la portata ontologica della domanda di salvezza» (ibidem). Occorrerebbe, invece, una pedagogia della “delicatezza” che dovrebbe condurre dai “forti contro Dio” ai “forti che declinano”, figure nuove – o “originariamente” cristiane, come suggerirebbe il forte richiamo alla debolezza di Paolo – di un’umanità a-venire.
La rinuncia alla richiesta provocante di salvezza, si accompagna alla rinuncia al giudizio tecnico-scientifico, e, di conseguenza, al tentativo di un’educazione, che può provenire anche dalla sapienza poetica custodita, ad esempio, da tragedie greche come Elettra o Antigone, o da miti quali quello di Prometeo; si tratta della rinuncia, quindi, a un comprendere che sia frutto delle facoltà umane di giudizio, e si riveli, piuttosto, «il movimento stesso della manifestazione universale, che, nella molteplicità delle sue articolazioni, si sop-pesa e si colloca. Quando l’etica oblia il proprio statuto cosmico di sapienza della calibrazione, diventa sapere positivamente centrato sulla nozione di “diritto”» (p. 95).
Il punto naturale di arrivo di queste riflessioni sul pensiero di Simone Weil – corroborate dall’attenta meditazione di testi weiliani, come il controverso Prologo – è la critica all’ordine sociale in quanto luogo del prestigio; critica che, pedagogicamente, assume «lo statuto ascetico-morale di purificazione» (p. 151), proprio perché educa a sondare la volontà di potenza celata, ad esempio, persino dietro pratiche di “umiliazione”, che spesso permangono, tuttavia, in un orizzonte di riconoscimento collettivo. In questo frangente, la volgarizzazione delle conoscenze, nodo cruciale della pedagogia weiliana, più che essere mero strumento di acculturazione delle masse escluse dalla cultura ufficiale, diventa mezzo per mettere in grado anche gli spiriti sempre a contatto con la materia, come i contadini o gli operai, di cogliere, mediante procedimenti analogici – energia che permette al seme di crescere/energia che permette all’anima di innalzarsi al surnaturel, per fare solo un esempio – la spiritualità universale, che parla attraverso la bellezza del mondo, quella della poesia e delle opere d’arte. La rivoluzione che Simone Weil pensa, non è, dunque, una rivoluzione messianica o apocalittica, ma un tentare, quotidianamente e con tutte le proprie forze, di alleggerire il peso che schiaccia quella parte di umanità avvilita dal lavoro e dal potere.
Nell’opera La prima radice, con l’analisi della quale si chiude il percorso di Simona Faucitano, si giunge anche a comprendere meglio lo statuto analogico-simbolico della pedagogia dell’ascesi, che emerge «con il suo tratto storico-destinale di poetica dell’enracinement, del radicamento» (p. 223). Se lo sradicamento, nell’assolutezza con la quale si manifesta nel moderno, in quanto rottura dei legami non solo di luogo ma anche di tempo – spiriti immemori e naufraghi abitano le città novecentesche, incapaci di comprendere la falsa mistica e l’idolatria nascoste dietro concetti come quelli di nazione, diritto, sovranità – appare come il male sociale per eccellenza, segno del “ritrarsi dello spirito di verità”, il rimedio al tratto totalitario dell’idolatria e della falsa mistica è un’azione educativa che, per Weil, è il radicamento in quanto amore per il passato e orientamento del pensiero verso un u-topos che sia, tuttavia, «il luogo storico-geografico-morale dei legami vitali e veri» (p. 228). Pensare un’educazione agli obblighi verso l’essere umano, che superi la cultura dei diritti – fondata necessariamente su una legalità accompagnata alla forza, che deve garantirne il rispetto – è un compito che Simone Weil affidava alla Francia post-bellica e che Simona Faucitano ritrova come possibile ri-fondazione di un pensiero pedagogico che riscopra la centralità del singolo come nutrimento e forza di qualsiasi vita comunitaria; singolo che deve, dunque, essere destinatario dell’obligation, innanzitutto in quanto rispetto del soggetto irripetibile e unico che è ogni altro. Questa obligation ha origine in un ordine diverso da quello della pesanteur, della gravità mondana, scaturendo, piuttosto, dal surnaturel, a partire da un ordine «oltre o proto morale dell’imitazione della sapienza misteriosa, che rende splendente l’ordine dell’universo nella quale è inscritta» (p. 229). Tuttavia, nonostante l’origine oltre-mondana, essa si manifesta con il rispondere proprio ai “bisogni terrestri” dell’anima e del corpo, i quali, purtroppo, con un’educazione uniformata e “al chiuso” – nei “non luoghi” che spesso sono divenute le scuole, ma anche le università – non riescono più a emergere e restano, spesso, l’impensato problematico di ogni rapporto pedagogico, contribuendo, di fatto, allo sradicamento dall’universo e dalla sua misteriosa sapienza: «la domanda pedagogica riguarda, quindi, la disponibilità, da parte della cultura e della società moderna e contemporanea, delle risorse immaginali e simboliche per pensare “all’aperto”» (p. 234). Proprio una formazione all’aperto, infatti, dischiuderebbe una via di guarigione dallo sradicamento, educando alla ricettività mediante un’immersione nello spirituale e una ripresa del contatto, attraverso l’uso dell’analogia, con l’intero universo.
Indice
Prefazione, di Paolo Mottana
Introduzione, di Stefania Ulivieri Stiozzi
Cap. 1 Pedagogia dell’ascesi e questioni storiografiche di storia dell’ascesi e della mistica cristiane
Cap. 2 Una lettura cattolica del problema spirituale della preghiera nell’opera weiliana. I temi mistici della lotta, della ferita e dell’abbandono
Cap. 3 Il Prologo dei Quaderni, il Padre Nostro dell’Evanelo di Matteo, Amore di G. Herbert. Il contatto con Dio e l’efficacia sacramentale della preghiera fra liturgia e recitazione poetica
Cap. 4 L’ispirazione spirituale della morale catartica nelle meditazioni weiliane fra letteratura e filosofia. L’educazione alla virtù virile e la figura ascetica di Antigone di “essere assolutamente puro”
Cap. 5 L’ispirazione spirituale della morale catartica nelle meditazioni weiliane fra letteratura e filosofia. Il tema mistico del riconoscimento di Elettra e Oreste.
Epilogo
Pedagogia dell’ascesi e “formazione all’aperto”. Una lettura della nozione weiliana di radicamento
Bibliografia degli scritti weiliani
Bibliografia generale
L'autrice
Simona Faucitano è dottore di ricerca in Teorie della formazione e modelli di ricerca in pedagogia e didattica, collabora con la cattedra di Psicopedagogia del linguaggio e della comunicazione del corso di laurea di Scienze dell’educazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca ed è docente per l’area pedagogica del corso di Scienze dell’educazione I della SILSIS dell’Università degli Studi di Milano; è, inoltre, educatrice presso la comunità psichiatrica “La Villetta S. Gregorio” del CeAS e svolge attività di consulenza pedagogica presso Servizi educativi che si occupano di disagio psicosociale e psichiatrico.
Nessun commento:
Posta un commento