Recensione di Alex Grossini - 21/02/2008
Filosofia politica
Il tema della redistribuzione ha dominato il discorso etico-politico liberale occidentale dagli anni '70. In seguito sono emersi i problemi delle differenze chiamate "culturali" come genere, razza e orientamento sessuale: per queste si chiede riconoscimento. Nancy Fraser predilige la categoria della redistribuzione a quella del riconoscimento, ma le comprende entrambe nella sua proposta di un dualismo di prospettiva; Axel Honnet ritiene invece che esista una sola categoria (monismo normativo), il riconoscimento, che comprende anche le istanze di redistribuzione di beni economici. Nancy Fraser spiega nelle prime pagine che nella tradizione angloamericana vige un'idea di giustizia impersonale (Moralität kantiana), mentre la base del riconoscimento sarebbe da ricercare nella filosofia hegeliana (Sittlichkeit). La priorità della redistribuzione non esclude il riconoscimento, ma servono entrambi: la tradizionale distinzione cristallizza le categorie e i rimedi alle ingiustizie che quelle categorie subiscono - per esempio, per i sostenitori della redistribuzione l'ingiustizia è di natura economica, il rimedio è la riorganizzazione economica, le collettività colpite sono le classi (terminologia marxista) e il fine è abolire le differenze perché sono ingiuste; per i sostenitori del riconoscimento l'ingiustizia è sociale, il rimedio è una riorganizzazione sociale, le collettività colpite sono i gruppi (terminologia weberiana) e il fine non è l'abolizione delle differenze, ma delle gerarchie arbitrarie tra le differenze. Questa schematizzazione non rispecchia la realtà: pensiamo alla classe operaia, che nella visione marxista subisce ingiustizie di stampo economico; ma è piuttosto evidente che nel mondo contemporaneo subiscono anche una ingiustizia sociale, perché gli operai non contano niente, decidono ben poco nelle democrazie occidentali - e al contrario, pensiamo a un gruppo che non ottiene riconoscimento sociale, i neri: questo gruppo subisce anche ingiustizie economiche, perché i neri nelle società occidentali sono in larga parte poveri (p. 38). Il non-riconoscimento non è un ostacolo sulla via dell'autorealizzazione, ma «una relazione istituzionalizzata di subordinazione e quindi una violazione della giustizia» (p. 43), cioè una discriminazione che la società non ha risolto e quindi ha permesso (istituzionalizzato). L'autrice suggerisce un'idea bidimensionale di giustizia: il nucleo è la nozione di parità partecipativa, che ha una condizione oggettiva (l'equa distribuzione economica) e una intersoggettiva (il riconoscimento). Possiamo capire meglio la posizione di Fraser quando usa i termini "classe" e "status" proprio per indicare le subordinazioni, facendo corrispondere alla prima la maldistribuzione e alla seconda il misconoscimento; la subordinazione di status (es.: genere, razza, orientamento sessuale) è radicata nei modelli di valore culturale istituzionalizzati, mentre la subordinazione di classe (es.: poveri, operai) è già nelle caratteristiche strutturali del sistema economico - il capitalismo produce poveri. Ma il fatto che non esistano società "pure" in un senso (economia -> società di solo mercato) o nell'altro (cultura -> gerarchie, famiglie, clan) ci porta a chiederci quale caratteristica abbia la priorità. Per Fraser nessuna delle due, c'è lo status che è un misto di entrambe. Vanno affrontate assieme nel dualismo di prospettiva: valutare se la redistribuzione non crei misconoscimenti e se il riconoscimento non crei maldistribuzione. Una politica può funzionare solo se assume queste due prospettive analitiche (p. 84) e le applica a uno stesso problema. La forma di governo che sembra più appropriata alla filosofa è una democrazia mista, dove un gruppo di esperti (di prospettive analitiche) valuta le situazioni e i problemi e offre alcune alternative ragionevoli, e poi il popolo sceglie tra quelle. Nella tradizione ci sono due strategie: affermative e trasformative; una strategia affermativa è il welfare state, che vuole eliminare gli effetti delle ingiustizie senza toccare le cause, mentre una strategia trasformativa è il socialismo realizzato che cambia le cause delle ingiustizie (il capitalismo è abolito) per eliminare gli effetti. Nessuna delle due è completamente valida, bisogna trovare una via di mezzo: una strategia affermativa radicale può avere effetti trasformativi - è quello che Fraser chiama «riforme non riformiste» (p. 103), intraprese in base a due principi di controllo: il "rimedio incrociato" (p. 109), vale a dire l'uso di metodi distributivi per risolvere problemi di misconoscimento e dei metodi di riconoscimento per problemi di maldistribuzione, e la "coscienza del confine", cioè la consapevolezza dei cambiamenti che i rimedi potranno avere a lungo termine sui confini dei gruppi. Honnet invece ritiene che l'ingiustizia sociale è in primo luogo il mancato riconoscimento, non la cattiva distribuzione (p. 139). Già ora la lotta politica si concentra più sui temi del riconoscimento, e la teoria critica dovrebbe aggiornarsi - invece si occupa solo di chi, tra i sofferenti, ha già un riconoscimento politico, per esempio la "classe" degli operai (p. 141). Bisogna muovere tre passi: contare quante ingiustizie non sono ancora percepite pubblicamente. Poi, passare da una concezione di «conflitti divisibili» a «conflitti indivisibili»: le identità collettive sono indivisibili, non possono essere trattate nell'ottica della redistribuzione. Terzo passo, è necessario ampliare la prospettiva storica: le richieste di riconoscimento ci sono da sempre, non sono recenti come crede Fraser: «Unendo queste tre esclusioni, è chiaro come l'analisi di Fraser sia un artefatto sociologico» (p. 151). Il malcontento sociale ha radici morali e non solo razionali/utilitaristiche - gli individui hanno aspettative morali nei confronti della società e non la preferiscono solo per calcolo. Dunque è il caso di pensare agli individui come attori morali, non attori razionali. Per Honnet la resistenza contro le ingiustizie è motivata più da un mancato riconoscimento di rivendicazioni identitarie che da un mancato rispetto di ideali procedurali nelle formazioni istituzionali: «I soggetti intendono le procedure istituzionali come un'ingiustizia sociale quando vedono non rispettati tratti della propria personalità per cui credono di possedere il diritto al riconoscimento» (p. 161). Ci sono tre sfere di riconoscimento (p. 168): la sfera di amore, affetto e cura, liberi ma protetti dalle istituzioni; la sfera della legge, che si fonda sul principio di eguaglianza giuridica - mentre le società tradizionali costruivano gerarchie rafforzate dal principio dell'onore -; la sfera della realizzazione, che è costruita sull'eguaglianza giuridica per impostare la meritocrazia. Certo questa meritocrazia dei Paesi capitalisti è pura ideologia, perché ricrea gerarchie e impone uno status: in cima resta il maschio borghese ed economicamente indipendente. Le discriminazioni non vengono cancellate dal progetto meritocratico, vengono solo sostituite: la donna resta, per esempio, concettualmente incapace di provvedere a se stessa e/o di provvedere ad altri che non siano bambini. Il riconoscimento assume forme diverse a seconda della sfera nella quale viene richiesto (p. 176). L'autore si concentra sul principio di realizzazione: è un principio individualistico che ha sostituito l'antico principio gerarchico di onorabilità, perché all'apparenza è più equo, ma serve solo a introdurre forme di discriminazione diverse. La sua eliminazione sarebbe possibile se davvero i meriti di tutti fossero riconosciuti (quindi, se venisse applicato), ma comporterebbe la perdita di alcuni vantaggi che legalmente può produrre, vale a dire il welfare state, la redistribuzione di un surplus di ricchezze a chi ne ha bisogno. La redistribuzione torna sotto i riflettori: Fraser sbaglia nel ritenere che i conflitti anteriori al nostro tempo siano lotte per la redistribuzione, perché sono in primo luogo lotte per il riconoscimento come il movimento femminista. Chiedere il rispetto di una uguaglianza di fronte alla legge significa chiedere che il principio di realizzazione, una delle tre sfere del riconoscimento, venga applicato senza pregiudizi: da qui nasce la possibilità che ognuno si costruisca la propria vita e magari la propria fortuna economica. Il progetto critico quindi non deve più pensare all'abbattimento del capitalismo ma in qualche modo a una sua riforma: mantenere il principio di realizzazione è essenziale in una società libera, ma bisogna calibrarlo dialetticamente e soprattutto tenendo davanti agli occhi la presenza di tre ambiti nei quali la persona si muove (amore, legge e autorealizzazione). In società, il sentimento di essere disprezzati porta alla lotta; anche nel caso di maldistribuzione, il motore della rivolta è l'aspettativa morale che l'individuo ha nei confronti della società, e questa aspettativa è appunto essere riconosciuti, rispettati. La richiesta di rispetto travalica il sistema capitalista basato su principio di eguaglianza e principio di realizzazione, e invita a considerare le pratiche culturali minoritarie o discriminate come beni sociali che hanno valore in se stessi, non per quello che possono dare in termini economici (p. 203). A livello politico, però, non si può obbligare nessuno a stimare qualcun altro: «Una società democratica deve possedere la virtù procedurale di saper trattare le sue minoranze come candidate alla stessa stima sociale mostrata nei confronti della propria cultura» (p. 205). Certo, non sempre: richieste folli (come possono essere quelle integraliste di ogni segno) non devono essere accolte; solo proposte che muovono in direzione di quella che riteniamo una società buona troveranno appoggio (p. 208). Honnet ritiene infatti che ci siano «"interessi quasi trascendentali" della razza umana» (p. 211), vale a dire aspettative morali abbastanza stabili storicamente e contenutisticamente riassumibili nel desiderio di integrazione e rispetto (mutuo riconoscimento, p. 212). Solo queste sono "buone". Le società democratiche seguono lo schema, integrando la realizzazione individuale in un tessuto sociale: l'individualizzazione avviene anche con l'inclusione dei soggetti nella società (p. 224).
Indice
Introduzione. Redistribuzione o riconoscimento? Nancy Fraser, Axel Honnet.
Giustizia sociale nell'era della politica dell'identità: redistribuzione, riconoscimento e partecipazione. Nancy Fraser.
Redistribuzione come riconoscimento: una replica a nancy Fraser. Axel Honnet.
La dilatazione distorta del riconoscimento: replica ad Axel Honnet. Nancy Fraser.
Il senso del riconoscimento: una replica alla replica. Axel Honnet.
Ringraziamenti.
Bibliografia di Nancy Fraser.
Bibliografia di Axel Honnet.
Gli autori
Nancy Fraser insegna Scienze Politiche e Sociali alla New School for Social Research a New York ed è una nota teorica femminista.
Axel Honnet insegna Filosofia all'Università di Francoforte sul Meno e dirige l'Institut für Sozialforschung.
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