Roma, Armando, 2007, pp. 128, € 12,00, ISBN 978-88-6081-160-8
[Science, Faith and Society, 1946, Phoenix Books, seconda ed. 1964, The University of Chicago Press, London and Chicago]
Nota di Francesca Di Donato, 7/3/2008
Filosofia politica
Scienza, fede e società è un'indagine sugli elementi fondamentali che caratterizzano la scoperta scientifica, il cui filo conduttore si dipana nelle tre lezioni tenute da Michael Polanyi, nel marzo del 1946, presso l'Università di Durham (e raccolte in volume nello stesso anno). Nato in Ungheria nel 1891 da famiglia ebrea, fratello di cinque anni più piccolo dell'economista Karl Polanyi, Michael emigra a Berlino a ventinove anni per poi, in seguito all'avvento del nazismo, lasciare anche la Germania e trasferirsi in Gran Bretagna nel 1933. Chimico-fisico di formazione, a partire dalla metà degli anni '30 lo scienziato ungherese orienta le sue ricerche verso le scienze umane e sociali, in particolare l'economia e la filosofia della scienza; passaggio che, nel 1948, l'università di Manchester istituzionalizza attivando per lui un'apposita cattedra in Scienze Sociali.
Le questioni da cui l'indagine dello scienziato ungherese prendono le mosse riguardano il modo in cui avviene la scoperta scientifica – quali ne siano cioè i moventi, i presupposti, le condizioni e le fasi.
Nella Prefazione, Carlo Vinti - curatore di questa prima edizione italiana e attento conoscitore della filosofia della scienza polanyiana - ricostruisce l'itinerario intellettuale dell'autore e presenta le tesi fondamentali della sua epistemologia personalista (pp. 10-22), per collocarne la riflessione all'interno del dibattito epistemologico della seconda metà del '900 e, in particolare, attraverso il confronto con le vedute di alcuni suoi contemporanei (Merleau-Ponty, Lorenz, Perelman, Beveridge, Holton, Toulmin, Hanson, Kuhn) (pp. 22-25). Ma le tre lezioni non si limitano a gettare le basi dell'epistemologia polanyiana; esse contribuiscono a delineare un modello filosofico di comunità scientifica, di considerevole spessore politico. È lo stesso Polanyi a collocare la propria filosofia della scienza nel contesto storico-politico del suo tempo, illustrato nell'Introduzione (Sfondo e prospettiva) aggiunta in una nuova edizione dall'autore, nel '64. Qui, Polanyi si schiera contro le politiche di pianificazione scientifica di matrice sovietica, e, in difesa dell'indipendenza della scienza dalla politica, riprende alcuni degli elementi che vanno a costituire il modello di comunità scientifica che si autogoverna tramite mutui aggiustamenti di iniziative di individui indipendenti, quella libera Republic of Science governata da una “mano invisibile” e definita, nell'assai noto saggio di due anni precedente, in contrapposizione, come poi nelle lezioni qui tradotte, alle proposte di una politica centralizzata in campo scientifico sostenute (almeno in parte) dal governo inglese in fase post-bellica, e alle quali lo scienziato ungherese si contrappone con decisione.
È la critica nei confronti della politica economica sovietica e delle sue derive totalitarie a spingere lo scienziato ungherese a spostare il fuoco della propria indagine scientifica su temi filosofici, per rispondere alla sfida marxista in merito al nesso tra scienza e società. Quale filosofia della scienza aveva l'Occidente da contrapporre a quella dell'Unione Sovietica stalinista? “Come doveva essere spiegato il generale consenso di cui essa godeva presso di noi? Questo consenso era giustificato? E se sì, su quale fondamento?” (p. 30) La risposta di Polanyi è sintetizzata in questo passaggio finale dell'introduzione: “il rispetto generale per la verità è tutto ciò che è necessario affinché la società possa essere libera. Il modo in cui libertà e verità si sono dimostrate identiche nella battaglia contro lo stalinismo avvalora le mie idee”. (p. 41) Ma che cosa intende con libertà? E che cosa con verità? Per rispondere a queste domande, è necessario analizzare la filosofia politica polanyiana più da vicino.
La libertà è postulata nella terza lezione, come vedremo, in quanto condizione indispensabile alla discussione pubblica sulla scienza. Il concetto di verità viene invece definito a partire dall'analisi del modo in cui si articola e si snoda il processo della scoperta scientifica – il cui momento primo e fondante è l'intuizione. Ogni interpretazione (sia essa scientifica, non scientifica o anti-scientifica) della natura è basata su qualche concezione intuitiva sulle cose, che Polanyi definisce “coefficiente tacito” della conoscenza scientifica; a fianco del quale si colloca un “processo tacito”, che conduce alla scoperta. Polanyi affronta la questione di come la scoperta sia possibile, rispondendo all'argomento eristico che Platone mette in bocca a Menone nell'omonimo dialogo - il paradosso secondo il quale è impossibile l'avanzamento della conoscenza perché non è possibile cercare né quello che si sa né quello che non si sa: quel che si sa perché, conoscendolo già, non si ha bisogno di cercarlo; quel che non si sa, perché non si sa neppure che cosa cercare (Menone 80 d-e). Socrate, è utile ricordarlo, confuta il paradosso di Menone con una strategia duplice: attraverso il racconto contenuto nel mito dell'anàmnesis, che gli serve a definire che cosa è l'apprendimento: esso non coincide non un contenuto, ma si fonda su un processo cumulativo, che può aver luogo solo presupponendo un continuum di conoscenza comune e interconnessa; attraverso l'esempio dell'applicazione del metodo dialettico nel dialogo con lo schiavo, di cui si serve per dimostrare che, a partire da poche conoscenze comuni (nel caso dello schiavo, la conoscenza della lingua e sapere che cos'è un quadrato), è possibile, con un ragionamento fondato su nessi causali, giungere a conclusioni prima ignorate, cioè scoprire qualcosa.
Polanyi accoglie il secondo argomento di Socrate, che riformula affermando che, nell'atto di affrontare un problema scientifico, possediamo una preconoscenza (foreknowledge) che ci permette di guidare le nostre ipotesi con ragionevole probabilità e di scegliere, di conseguenza, le intuizioni che mirino a risolverlo. Per chiarire il punto di vista che intende adottare nel definire le tappe del processo di apprendimento e di scoperta, egli apre la prima lezione (Scienza e realtà) servendosi della metafora dello scassinatore, che descrive con le seguenti parole: “Supponiamo di svegliarci nella notte al suono di un rumore simile al rovistare proveniente dalla vicina stanza libera. È il vento? Uno scassinatore? Un topo?... Proviamo a ipotizzare. Era un rumore di passi? Questo indica uno scassinatore! Convinti, ci facciamo coraggio, ci alziamo e procediamo a verificare la nostra assunzione.” (p. 45). Ciò che caratterizza tale metafora come una teoria in grado di rappresentare la modalità della scoperta scientifica, sono, a suo avviso, la solidità e la fondatezza delle sue premesse e, al contempo, l'apertura a nuove e diverse osservazioni future. La scienza, afferma, funziona esattamente così, vale a dire che “assume qualcosa di reale ogni volta che le sue proposizioni somigliano alla teoria dello scassinatore” (Ibidem). La teoria dello scassinatore presenta alcune caratteristiche importanti per comprendere i nessi del ragionamento proposto: in primo luogo, essa non implica una connessione definita dei dati osservativi dai quali si possano predire con precisione nuove e ulteriori possibilità; in secondo luogo, indica un processo che muove da intuizioni (si notano rumori strani), cui seguono speculazioni (lo sforzo di fare ipotesi corrette), e, infine, la fase della la raccolta di indizi che portano alla risoluzione del problema. Nella prima lezione, l'attenzione è rivolta principalmente al processo intuitivo, che viene paragonato da Polanyi a quello che, nella psicologia della Gestalt, è il riconoscimento delle forme - la prima regola secondo la quale si organizzano i dati percepiti. Polanyi muove da qui per affermare che nella vita quotidiana l'esperienza non è in grado di farci decidere in favore dell'interpretazione magica, scientifica o teologica della natura; perciò, la decisione può essere trovata solo per mezzo di un processo di arbitrato nel quale siano bilanciate e soppesate forme alternative di soddisfazione intellettuale. Le eventuali contraddizioni presenti nel sistema non ne implicano l'abbandono; tuttavia, a causa del modo in cui si perviene a esse, le proposizioni della scienza si rivelano della stessa natura delle ipotesi e il loro carattere congetturale è loro inerente. Presentando così la questione, l'autore riconosce che lo scienziato possa sembrare una specie di “macchina trova verità” guidata dalla sola sensibilità intuitiva.
Esistono tuttavia elementi altrettanto indispensabili per la ricerca: la fedeltà agli ideali di responsabilità e di autocritica; elementi che si rivelano essenziali anche per l'esecuzione delle attività scientifiche più banali, e che vanno a costituire la coscienza scientifica dello scienziato, la parte che trascende tanto il suo impulso creativo, quanto la sua cautela critica. Nella fondazione della scienza, è presente dunque un elemento morale.
La seconda lezione (Autorità e coscienza) ha al centro questo elemento morale, e introduce ai fondamenti sui quali le premesse della scienza sono sostenute tra gli scienziati al fine di dimostrare che le loro coscienze si trovano radicate sullo stesso terreno – sono cioè sottoposte allo stesso principio di autorità. Ma in che modo si crea l'autorità della scienza? La risposta è duplice:
a. Su un piano individuale e interno, egli ricostruisce lo sviluppo delle capacità cognitive e umane descrivendo il modo in cui l'individuo – dall'infanzia all'età adulta – impara i metodi della conoscenza scientifica e ne accetta gli standard. Nella fase iniziale della formazione, il processo dell'apprendimento dipende principalmente dall'accettazione dell'autorità, un'accettazione che viene rafforzata attraverso la disciplina; in una fase successiva, l'allievo rifiuta di accettare le visioni personali dell'insegnante, se non come esemplificazione delle premesse generali della scienza. La relazione tra allievo e insegnante, a partire da questa fase, favorisce la nascita di conflitti ma, anche, rafforza la fiducia reciproca e la mutua disciplina tra gli scienziati.
b. Sul piano collettivo ed esterno, “il campo della scienza è costituito da periodici e libri, da assegni di ricerca e stipendi, dagli edifici utilizzati per l'insegnamento e la ricerca. Questo campo è amministrato dagli scienziati ai quali sono messi a disposizione i fondi richiesti provenienti da fonti esterne al mondo della scienza” (p. 70). Polanyi considera, in particolare, il meccanismo di accreditamento del sapere scientifico esaminando il modo in cui funziona il sistema delle pubblicazioni. Nel modello da lui descritto, i risultati scientifici (nella forma di articoli) vengono sottoposti a una triplice valutazione: in prima istanza, sono valutati da referee, attraverso il sistema di peer review: la revisione da parte di “pari” (membri della comunità scientifico-accademica) che devono escludere ciò che non è considerato scientifico – cioè valido e rilevante – e salvaguardare così lo standard degli studi pubblicati. Successivamente, una volta pubblicati sono sottoposti al giudizio del pubblico (che è composto in larga misura dagli altri scienziati). Infine, i risultati scientifici sono incorporati in testi di consultazione generale, ed è attraverso quest'ultimo passaggio che si accorda il sigillo finale dell'autorità scientifica. Un processo indispensabile, in quanto denso di efficacia regolativa, che porta a un'armonia di visioni sostenute indipendentemente da singoli individui.
Tale analisi porta Polanyi a sostenere che un simile meccanismo coesivo funziona in quanto le premesse della scienza guidano non solo l'intuizione, ma anche la coscienza. Vale a dire che non hanno soltanto una valenza indicativa, ma anche e soprattutto normativa. La coscienza scientifica, in quanto principio che arbitra tra impulsi intuitivi e procedura critica, è il giudice ultimo nelle controversie. Si forma così una comunità di coscienze unitamente radicate negli stessi ideali riconosciuti da tutti; di più: la scienza è tale in quanto le sue premesse sono inglobate in una tradizione che può essere sostenuta unanimemente da una comunità, da una autorità generale.
Emergono dunque due concezioni dell'autorità molto diverse: una richiede libertà, l'altra obbedienza. Un'aporia che Polanyi riformula come segue: “Se il modo in cui la verità è trovata nella scienza ci guida a ritrovare la verità sulla scienza, la società in cui questo processo può essere condotto correttamente dev'essere basata sulla libertà: la discussione sulla scienza deve essere libera. ”Ma come viene mantenuta la libertà entro la scienza stessa? “La libertà, scrive ancora nella terza lezione, comporta una vecchia questione. Per prevenire un conflitto sregolato è necessario un potere superiore: come si può impedire che tale problema sopprima la libertà? E come può non soffocare la libertà se la sua funzione è quella di eliminare la conflittualità sregolata?” (p. 87).
La soluzione, adombrata nelle due lezioni precedenti, viene qui resa esplicita, e con essa, si delinea la filosofia politica polanyiana che fa da sfondo alla sua epistemologia. Una comunità scientifica libera può esistere solo all'interno di una comunità politica liberale, che fondi la libera discussione su due princìpi: l'imparzialità, che consiste nello “sforzo di esporre un argomento in modo oggettivo”, e la tolleranza, cioè “la capacità di ascoltare un'affermazione parziale e ostile di un opponente al fine di scoprire tanto i meriti delle sue ragioni, quanto le ragioni dei suoi errori”. Il pubblico svolge un'importante ruolo per il mantenimento di entrambe, ma solo a condizione che esistano istituzioni democratiche – guidate da una opinione pubblica libera, che effettua aggiustamenti su questioni di pubblico interesse tramite la consuetudine e la legislazione. Comunità scientifica e comunità politica condividono un comune orizzonte morale dato da una comune convinzione, che esprime anche la credenza (fede) nella verità scientifica – e che consiste nel fatto di riconoscere la validità del processo attraverso cui giungiamo a tale verità. Una “fede in una libera società in quanto organizzazione di coscienze finalizzata all'adempimento dell'intrinseco dovere verso la realtà” (p. 98), che, scrive in conclusione, una volta che si sia radicata in essa “attraverso la conoscenza della realtà e l'accettazione dei doveri che guidano le nostre coscienze, [...] ci riveleranno Dio nella società e nell'uomo” (p. 108).
Quella del rapporto tra il potere (sia esso politico o religioso) e la comunità scientifica è una questione antica, nell'affrontare la quale Polanyi abbraccia molte idee del pensiero liberale moderno. I sottintesi politici del problema dell'indipendenza della scienza, considerato nell'introduzione in riferimento alla minaccia di dirigismi statali di tipo sovietico, richiamano la polemica tra Hobbes e la Royal Society sul monopolio della verità scientifica, così come l'accento posto sull'effetto moralizzante della dimensione comunitaria, ottenuto tramite una politica della tolleranza che consista nel lasciare la ricerca della verità al singolo all'interno delle comunità cui aderisce volontariamente, non può non richiamare alla mente il pensiero di Locke. E anche oggi che la libertà della scienza si trova a affrontare questioni e a fronteggiare ostacoli di natura etico- religiosa, la riflessione di Polanyi resta grande interesse per l'attualità.
Tuttavia, se quello polanyiano resta un modello di grande efficacia descrittiva, esso presenta al contempo alcuni limiti.
In primo luogo, la spiegazione del modo in cui funziona il meccanismo di creazione dell'autorità pecca di una certa astrattezza: non è chiaro ad esempio come la somma dei singoli segmenti di conoscenza di cui sono depositari i singoli individui giunga a formare il tutto – la scienza comunemente condivisa; il sistema di accreditamento del sapere sembra sottoposto a un alto grado di meccanicismo, che implica che la possibilità della scienza sia subordinata all'esistenza di un potere politico che ne tolleri l'esercizio – una scienza che può esistere solo grazie alla politica di governi illuminati. La filosofia della scienza polanyiana si fonda su un individualismo metodologico basato essenzialmente sull'esperienza e sulle intuizioni, alle quali seguono, in un processo lineare compiuto dal singolo scienziato, speculazioni e scoperte. La comunità ha certamente una funzione morale, ma solo in quanto sfondo comune al processo di accreditamento della scienza, e agisce come una specie di freno, per tramite del principio di autorità che si radica grazie alla tradizione nella coscienza scientifica individuale. Un esempio ne è il modo i cui viene presentato il meccanismo “materiale” del sistema di accreditamento del sapere scientifico – in cui, i risultati passano attraverso tre fasi di valutazione: il peer review, il giudizio del pubblico, il giudizio dei posteri. Al centro di tale processo così rappresentato, si trova il singolo individuo, che interagisce con gli altri solo in quanto le sue tesi sono da questi giudicate: accettate o rigettate. Ma in pratica, viceversa, un tale meccanismo è continuamente inceppato o modificato da elementi che ne alterano l'andamento- e che fanno da controsempio.
In secondo luogo, il paradigma delineato da Polanyi si fonda, come in The Republic of Science, su un'analogia tra cose materiali e beni immateriali; lì come qui, il filosofo rigetta un'ipotesi di pianificazione in campo scientifico, pur restando in seno a una prospettiva economicista: “le attività intellettuali dipendono, per le loro risorse e la loro tutela, dall'ordine economico e legale di essa. Conseguentemente, l'attività di profitto e potere interagirà con il progresso del pensiero nella società” (p. 39). Una prospettiva che, tuttavia, risulterebbe arricchita e rafforzata abbandonando l'ipotesi che la scienza possa essere considerata al pari di un oggetto materiale, di un prodotto. È possibile farlo tornando a Platone da cui lo stesso Polanyi prende le mosse, e accogliendo il primo corno della confutazione socratica al paradosso di Menone enunciato nel mito dell'anàmnesis. Il mito, che afferma la possibilità di un sapere comune e intersoggettivo, contiene un'importante implicazione: il fatto che nello scoprire qualcosa di nuovo, l'individuo impari qualcosa che è nuovo per lui – vale a dire che per lui, in quanto soggetto storico, c'è evoluzione e futuro - ma tuttavia non è necessariamente nuovo per tutti. Tale scoperta infatti è stata possibile solo grazie a una conoscenza comune precedente; di più: questa conoscenza è tale in quanto può rientrare, intersoggettivamente, in un complesso comune. La conoscenza non può essere ricondotta a un processo individuale e privato senza cadere in paradossi, perché si fonda su presupposti necessariamente e inevitabilmente comuni. Chi fa ricerca, partecipa così non solo e non tanto a una comunità di coscienze, quanto a una comunità di conoscenza - che è molto più ampia ed estesa, nello spazio e nel tempo, di quella particolare in cui vive. Ed è la semplice possibilità di una tale comunità, una cosmopolis della scienza, a mettere in discussione le comunità esistenti.
Indice
Prefazione di Carlo Vinti. Golfisti e scassinatori
Introduzione. Sfondo e prospettiva
Capitolo primo. Scienza e realtà
Capitolo secondo. Autorità e coscienza
Capitolo terzo. Dedizione o asservimento
L'autore
Michael Polanyi (Budapest 1891 - Oxford 1976), prima ricercatore nel campo chimico-fisico, poi sociologo della scienza e filosofo politico, infine epistemologo, ha scritto volumi che hanno una forte incidenza nel dibattito odierno, tra cui: La logica della libertà (1951 tr. it. 2002), La conoscenza personale (1958, tr. it. 1990), Conoscere ed essere (1974 tr. it. 1988), La conoscenza inespressa (1966, tr. it. 1979).
Links
<http://en.wikipedia.org/wiki/Michael_Polanyi> Voce "Michael Polanyi" su Wikipedia (in inglese).
The Polanyi Society <http://www.missouriwestern.edu/orgs/polanyi/> - The Polanyi Society is a scholarly organization whose members are interested in the thought of Michael Polanyi, a scientist and philosopher who lived from 1891 to 1976.
M. Polanyi, The Republic of Science: Its Political and Economic Theory, Minerva 1:54-74, 1962, online all'url:
1 commento:
Recensore descriveva evidenza particolare di tema filosofico che invece autore recensito non considerava per sola evidenza: mancano in recensione riflessioni dettagliate su duplicità tragica di condizione civile sociale sovietica, ove statalismo di fatto e ufficialità di Stato erano in rapporti inversi a quanto vere léggi prescrivevano e Stalin e stalinismo ne evitavano applicazione eppure non riuscivano a sostituire. Dietro alacrità sovietica agiva un Sistema in certe fasi ostile ad intero mondo politico e sempre più rischioso a causa di coincidenze trascurate da stessa dittatura di regime e non più un futuro certo era ed anzi certa stava diventando fine tragica.
Dunque i rapporti generici tra fede, filosofia, scienza, erano trasformati da dittatura in relazioni sociali - filosofiche - fideiste; e passato diverso ne evitava disastro ma non a lungo termine. Intento di Autore, mostrato da indice, era quello di applicar verità di filosofia perenne che invece recensore abbassa al rango di ovvietà di tipo sociale: a simboleggiare di gioco capitalistico e la beffa comunista provvede introduzione ma il resto poi indica dinamiche di entrambi schieramenti di Guerra Fredda e specialmente contraddizioni di Blocco Est tramite logica di parallelità intellettuali che è per un verso espressione di idea perenne per altro rilevazione di situazioni contingenti; di entrambi i versi recensore ignorando i contenuti precisi.
Tal medietà recensoria conduce a valutazione su attuale conflittualità capitaslistica/associazionista ma senza poterne intuire premesse od insensatezze; e queste considerazioni in meno non adducono contraddizioni evidenti ma sospensioni di senso che parendo risolversi in menzione di mito citato in recensione e da recensito, invece sono anche per assenza distruttiva.
Mito di Anamnesi fu da Socrate e Platone trattato ugualmente a mito di Necessità da Illuminismo francesi. Si tratta di miti cui favola interna ad evento reale; ma se restandone cioè se entro realtà razionale espressiva se ne ottiene generica banalità, non filosofica; e proprio questo ultimo evenire è di recensore.
MAURO PASTORE
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