giovedì 20 marzo 2008

Sciacca, Fabrizio (a cura di), Struttura e senso dei diritti.

Milano, Bruno Mondadori, 2008, pp. 309, € 18,00, ISBN 978861591820.

Recensione di Enrico Biale – 20/03/2008

Filosofia politica, Filosofia del diritto

Il volume curato da Sciacca cerca, da un lato, di fornire una giustificazione filosofica dei diritti umani e, dall’altro, di valutare se questi possano essere alla base di un’identità europea in grado di rispondere alle grandi sfide che una società complessa e globalizzata come la nostra pone ad un’istituzione nuova e dai confini ancora incerti qual è l’Unione Europea.
Nonostante l’eterogeneità degli interventi, inevitabile all’interno di un’opera che raccoglie così tante voci, il curatore è riuscito a determinare una certa continuità tematica identificando tre nuclei principali: la giustificazione dei diritti umani; il loro valore; i problemi a cui essi devono fornire una risposta.
Il denominatore comune di quasi tutti gli artici saggi della prima parte del testo è la loro matrice liberale, interpretata spesso in chiave rawlsiana. Tale impostazione porta a giustificare la necessità dei diritti umani sulla base della capacità di definire i confini di una società decente, in grado di difendere gli uomini dalla sofferenza da loro stessi causata (Veca), senza fare appello ad una qualche concezione del bene, ma facendo riferimento a valori pubblicamente condivisibili da parte di tutti gli individui ragionevoli. Tale giustificazione liberale dei diritti umani, come giustamente messo in luce da Carter, risulta essere equidistante dagli eccessi dell’utopismo cosmopolita - per cui gli stessi diritti dovrebbero essere garantiti a tutti gli esseri umani- e del realismo, secondo il quale è impossibile determinare alcuna garanzia giuridica al di là dei confini nazionali. Una simile prospettiva, come messo in luce da Maffettone, sembrerebbe inoltre in grado di rispondere alla sfida del multiculturalismo, riconoscendo come anche i diritti umani siano culturalmente determinati, ma sottolineando allo stesso tempo la loro capacità di superare il vincolo della giustificazione pubblica in modo da delineare dei limiti oltre i quali non è tollerabile spingersi, anche in nome della diversità culturale.
Carter e Del Bò mostrano inoltre, pur muovendo da prospettive differenti, come la concezione rawlsiana della giustizia internazionale, facendo appello all’ideale della tolleranza (Carter) e della neutralità della giustificazione (Del Bò), si riveli capace di identificare nei diritti umani un nucleo di garanzie condivisibili applicabili non solo nel contesto degli stati liberali e in grado di influenzare le procedure deliberative a livello della teoria non ideale.
Molto interessante è il saggio di Tincani che chiude questa prima parte e che analizza “l’idea del liberalismo classico per cui una persona è titolare di diritti la cui esistenza non dipende dal loro riconoscimento politico o giuridico” (p. 65). Attraverso un confronto critico della posizione di Locke e Nozick, spesso accomunati proprio a causa dell’importanza da loro attribuita ai diritti pre-sociali, Tincani cerca di mostrare, in modo molto puntuale e convincente, come quest’idea dell’individuo sia una convenzione sociale o un’affermazione su come le persone dovrebbero essere, risultando quindi legata al consenso e al riconoscimento pubblico e non da questi indipendente.
Nella seconda parte del testo gli interventi si focalizzano sul valore dei diritti umani sottolineandone non tanto la dimensione giuridica quanto quella morale. I diritti umani sembrano infatti essere, come sostenuto da Cruft, costitutivi di quelle relazioni che legano gli esseri umani in quanto tali, proprio come “i doveri verso gli amici sono parzialmente costitutivi del mio rapporto di amicizia” ( p. 99). Come inoltre mostra Alfieri nella sua complessa e articolata analisi, i diritti umani non sembrano appartenere al livello giuridico, quanto piuttosto a quello morale; fondamento infatti delle tutele giuridiche, almeno secondo la prospettiva di Alfieri, è la comunità, la dimensione del “noi” che vuole tutelarsi da ciò che tenta di disgregarla, ovvero dalla morte. Nel caso però dei diritti umani non sembrerebbe esistere un “noi” così esteso, un Impero che possa davvero includere ogni individuo; il problema va quindi affrontato entro la dimensione morale, dal momento che si lega alla definizione di ciò che è necessario considerare come propriamente umano. Un compito complesso, che Alfieri mostra essere legato alla dimensione del valore da cui l’uomo si giudica condannandosi; è proprio questa continua tensione, questa dinamicità che caratterizza l’umanità e giustifica la valenza morale dei diritti umani; uno spazio in cui, come conclude Alfieri, bisognerebbe utilizzare il linguaggio della tragedia e non quello dei tribunali.
Secondo tale prospettiva, quindi, ciò che questi diritti determinano è la nostra stessa “natura umana” e non delle semplici tutele legali, tanto che essi si impongono, come messo in luce da Corradini, ad ogni sistema giuridico nel momento stesso in cui vengono violati perché ciò produce in ogni soggetto dotato di un minimo di umanità un senso di forte indignazione. Ciò permette a diritti così concepiti di avere un valore ed un’efficacia indipendentemente dai sistemi giuridici, dal momento che essi si fondano sull’esperienza dell’ingiustizia e sulla reazione che ciò produce negli individui.
È chiaro però, come risulta negli ultimi saggi di questa seconda parte (Ossipow, Costanzo e Calloni), che i diritti umani dovrebbero anche essere alla base di un sistema politico in grado di metterli in atto realizzando obiettivi concreti. Ecco quindi Ossipow affermare che per fare in modo che soggetti appartenenti a stati diversi si riconoscano come eguali e sentano di avere doveri reciproci è necessario introdurre istituzioni simili all’Unione Europea, che, senza stravolgere il sistema degli stati-nazione, siano in grado di creare un forte senso di solidarietà tra loro. Calloni, invece, presentando una prospettiva pragmatica sui diritti umani, mette al centro non tanto una loro giustificazione normativa, quanto la loro capacità di difendere i soggetti più deboli e di realizzare effettivamente i valori di eguaglianza e rispetto reciproco a cui essi si ispirano.
Questi ultimi saggi definiscono le tappe del passaggio dal livello più propriamente morale a quello politico-giuridico, che viene analizzato a fondo nell’ultima parte del volume e che sembra essere il vero banco di prova per valutare l’efficacia dei diritti umani e la loro capacità di rispondere alle questioni poste dalla complessa realtà sociale.
Nel primo saggio di quest’ultima sezione Attinà cerca di mettere in luce come la difesa dei diritti umani sia ormai un caposaldo della sicurezza multilaterale tanto da giustificare interventi armati (peace building, peace keeping e peace enforcing) di fronte ad un loro chiara e sistematica violazione. Come giustamente messo in luce da Attinà, il notevole aumento di questo tipo di missioni umanitarie negli ultimi vent’anni non è solo dovuto alla fine della Guerra Fredda, ma anche e soprattutto all’importanza che la difesa di tali diritti ha iniziato a ricoprire all’interno del dibattito pubblico degli stati democratici. Attinà affronta anche, a mio parere in maniera abbastanza ottimistica, la più classica delle obiezioni rivolte a questo tipo di operazioni militari: l’idea cioè che il richiamo ai diritti umani sia un semplice pretesto per nascondere i veri interessi degli stati che vi partecipano. Attinà risponde mettendo in luce come nella maggior parte dei casi l’elemento che ha portato ad intervenire sia stato il numero delle vittime, e sostiene inoltre che, se l’effetto collaterale di un intervento strategico e auto-interessato è la difesa dei diritti umani, allora non si dovrebbe necessariamente biasimare tale azione.
Anche se i diritti umani sembrano essere una solida base per giustificare gli interventi umanitari, il quadro si complica nel momento in cui si prendono in considerazione i problemi a cui deve tentare di dare risposta l’Unione Europea, ossia uno di quegli entità sovranazionali che, come abbiamo visto in precedenza, dovrebbero favorire l’implementazione politica di tali diritti. A questo problema vengono dedicati i saggi di Bittner, Brunkhorst e Andronico. Il primo sottolinea come gli stati dell’Unione Europea si siano trovati in questi ultimi anni di fronte ad una sfida che ha messo in dubbio proprio la centralità dei diritti umani, si pensi ad esempio alla varietà di strategie di risposta da dare alla minaccia terroristica di matrice islamica, e che ha inibito ogni concreta possibilità di fornire soluzioni univoche o coordinate.
Tutto ciò non dovrebbe meravigliare alla luce di quanto sostenuto nel saggio di Brunkhorst, il quale tenta di mettere in luce come l’Unione Europea non sia, a differenza di quello che sembrava indicare Ossipow, uno Stato sovranazionale dai confini e dall’identità particolarmente delineata, come hanno rivelato i recenti referendum sulla Carta Costituzionale. Quest’ultima inoltre, ricorda Brunkhorst, si configura più come un documento per burocrati e giuristi che come una Costituzione nella quale ogni cittadino europeo dovrebbe riconoscersi vedendo tutelati i propri diritti fondamentali. Quello che viene d’altra parte messo in dubbio in questo saggio è proprio la possibilità stessa dell’affermazione dell’esistenza politica dell’Unione e l’idea che i cittadini siano messi nella effettiva condizione di partecipare attivamente alla sua formazione, dal momento che essi sono chiamati a partecipare ad elezioni, nelle quali non vengono discusse tematiche europee, e con le quali viene eletto un Parlamento che non legifera.
Nel saggio di Andronico viene analizzata una delle sfide più importanti che ultimamente l’Unione Europea, e non solo, si è trovata ad affrontare: il rapporto tra la sua non ben definita identità culturale originaria e la laicità, elemento altrettanto problematico. L’autore prende spunto dalla discussione sulla necessità o meno di inserire nella Carta Costituzionale il riferimento alle radici cristiane e fa anche riferimento al dibattito tutto italiano sul “crocifisso”, per evidenziare come spesso il concetto di identità sia stato interpretato come un concetto monolitico che esclude l’altro. Si tende infatti, afferma Andronico, a concepire l’integrazione come un dialogo a partire da una posizione considerata a priori giusta e dominante e questo sia in ambito laico che “confessionale”. Tutto ciò sembra ovviamente minare la possibilità stessa del confronto, gettando dubbi sulla possibilità dell’Europa di risolvere tali tensioni. Andronico non pensa che ciò sia vero, dal momento che sottolinea, richiamando un’immagine di George Steiner, che l’identità europea possa essere raffigurata nei diversi caffè sparsi per l’intero continente; diversi tra loro ma con la medesima aria di famiglia.
Nel suo saggio conclusivo, che ripercorre i temi principali di tali interventi, Sciacca mette in evidenza la tensione tra la necessità di sviluppare un’identità europea comune senza per questo violare le specificità degli stati nazionali. Giustamente viene sottolineato come non vi sia nessun elemento oggettivo (unità territoriale, linguistica o genetica) che possa determinare questo senso di comune identità e si chiarisce quindi che la vera sfida è di carattere filosofico-politico. Sciacca afferma infatti che, pur rappresentando un buon punto di partenza, la comune garanzia attribuita alle libertà fondamentali da tutti gli stati europei non può certo bastare, e dunque bisogna accostare alle tutele giuridiche, forme di redistribuzioni di risorse e una comune politica economica.
Come spesso accade, il confronto con la realtà ha messo in luce contraddizioni e problematiche non visibili dalla semplice prospettiva concettuale, sottolineando la complessità e la ricchezza di una tematica che il volume curato da Sciacca rispecchia pienamente, a partire dalla molteplicità e varietà di prospettive degli interventi in esso raccolti.

Indice

Introduzione ( F. Sciacca)
1. STRUTTURA DEI DIRITTI. PROBLEMI DI DEFINIZIONE, FONDAZIONE, GIUSTIFICAZIONE
I diritti umani e l’illusione di Saint-Just
di Salvatore Veca
Filosofia politica e diritti umani
di Sebastiano Maffettone
I diritti umani e la superiorità morale del liberalismo
di Ian Carter
I diritti umani tra giusto e bene
di Corrado Del Bò
Il fallito esperimento dei diritti presociali. John Locke e Robert Nozick
di Persio Tincani
2. SENSO DEI DIRITTI. ARGOMENTI SUI VALORI
Diritti umani e comunità umana. Sul valore non strumentale dei diritti umani
di Rowan Cruft
La simbolica dei diritti umani
di Luigi Alfieri
“Nessun signore, nessun servo”. L’esperienza dell’ingiustizia come fondamento dei diritti dell’uomo
di Domenico Corradini H. Broussard
Diritti umani come statuto di un ordine cosmopolitico
di William Ossipow
Declinazioni normative della solidarietà
di Angelo Costanzo
Rispetto, riconoscimento e rappresentanza. Per un approccio “pragmatico” ai diritti umani e di cittadinanza
di Marina Calloni
3. TRA IDENTITÀ E GIUSTIZIA. QUESTIONI CRITICHE SULL’EUROPA.
Sicurezza multilaterale e crisi umanitarie
di Fulvio Attinà
Costituzionalismo e crisi. Problemi di legittimazione democratica del diritto europeo dopo il fallimento del trattato costituzionale
di Hauke Brunkhorst
Identità e laicità. La crisi delle differenze e il ritorno del sacro
di Alberto Andronico
La lotta contro il terrorismo islamista. Una difficile prova per l’identità liberale europea
di Jochen Bittner
Identità e culture in Europa. La radice dei diritti
di Fabrizio Sciacca


Il curatore

Fabrizio Sciacca è professore ordinario di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Catania, dove insegna anche Diritti umani e giustizia internazionale. È responsabile scientifico del Jean Monnet European Module “Human Rights and European Identity. A Philosophical Approach to Human Rights”. Tra i suoi ultimi lavori: Ingiustizia politica, Giuffré, Milano 2003; Enigmi (falsi e veri) sui diritti sociali in “Filosofia e questioni pubbliche”, X, 2005, N. 3, pp. 93 - 102. È inoltre autore di volumi su Kelsen, Hegel, Kant e Rawls.

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