domenica 20 aprile 2008

Formigari, Lia, Introduzione alla filosofia delle lingue.

Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 132, € 16,00, ISBN 9788842082149.

Recensione di Claudio Faschilli – 20/04/2008

Filosofia del linguaggio

Il titolo scelto da Lia Formigari per questo suo ultimo libro non è un titolo ingenuo. Non è ingenua la decisione di evitare l’ormai classica denominazione “filosofia del linguaggio”, per sostituirla invece con la più inusuale “filosofia delle lingue”. Così facendo, infatti, l’Autrice caratterizza da subito il percorso che svilupperà all’interno del testo, rendendo ben chiara la sua intenzione di concentrarsi non tanto sulla presentazione di sistemi formali, o di questioni ontologiche inerenti alla sfera del linguaggio umano, quanto invece sui «dispositivi che si realizzano in quelle formazioni storico-empiriche che sono le lingue naturali.»

La sua idea quindi è quella di indagare non gli elementi astratti che riguardano il “linguaggio” (inteso come facoltà umana assunta indipendentemente dal suo portatore), bensì tutti gli aspetti concreti, che contribuiscono alla nascita, allo sviluppo e all’impiego delle “lingue” (concetto, questo, che vuole invece sottolineare la centralità del carattere storico ed empirico che lo contraddistingue).

Una tale attenzione al livello della concretezza – in opposizione al sempre più frequente bisogno di astrazione – diventa perciò la “cartina di tornasole” alla quale l’Autrice si rifà costantemente nel corso del testo, allo scopo di vagliare la validità o meno delle numerose teorie sul linguaggio, che vengono presentate e poste a confronto. Il principale pregio di questo libro è, infatti, quello di riuscire a far convivere, in un unico luogo, temi complessi e opposti gli uni agli altri, senza però mai rinunciare ad uno sguardo comprensivo, in grado di fornire una prospettiva ricca ed ampia sull’attuale panorama di ricerca della filosofia delle lingue.

Detto ciò, cerchiamo di fornire una sommaria presentazione degli argomenti trattati nel libro.

Il primo capitolo è dedicato alla delineazione dei confini del lavoro, in quanto propone alcune precisazioni e definizioni basilari, utili per la comprensione di quanto seguirà. Definizione centrale è, ad esempio, quella del concetto di “parola” – oggetto della ricerca sul linguaggio – che viene presentato come strumento d’interazione tra gli esseri umani, sviluppatosi nel corso della filogenesi, ossia come «insieme di procedure e strategie con le quali il soggetto impara a interagire col mondo e con gli altri soggetti nel mondo» (p. 4). In questo senso, la parola – e, per esteso, la lingua – è un dispositivo utile a vari scopi: dal “semplice” favorire i processi di conoscenza e memorizzazione, al più complesso compito di risolvere problemi, o di pianificare le nostre azioni, fino anche alla possibilità di fare nostri i pensieri altrui e di “distribuire” spazialmente il pensiero, servendoci dei sempre più cangianti metodi di riproduzione e fissazione dei testi scritti.

Una nozione del linguaggio, questa, essenzialmente strumentale, che però non disconosce l’idea prettamente contemporanea di un condizionamento biologico per tale facoltà – ossia, l’idea che vi sia una componente del linguaggio biologicamente determinata, comune a noi tutti, in quanto specifica della natura umana – senza che questo, tuttavia, ci conduca all’estremo opposto di un razionalismo puro. Come, infatti, abbiamo già avuto modo di notare, l’Autrice propende per una visione non astratta del linguaggio umano, bensì per una “più situata”, ossia inserita nel contesto concreto dei comportamenti non verbali, all’interno del quale la lingua effettivamente prende corpo: «Le lingue sono artefatti storici, e come tali sono determinate certo dal modo in cui è fatto il cervello umano, ma anche dalle condizioni empiriche della loro formazione, e dalla varietà delle tecniche materiali cui si ricorre per realizzare al meglio quelle condizioni» (p. 19).

Il secondo capitolo invece sposta l’attenzione su un interessante ed ancora attuale dibattito, relativo all’origine del linguaggio umano. Il capitolo si divide in due sottoargomenti principali: nella prima parte si discute della genesi del linguaggio, assunta da un punto di vista filogenetico – ossia considerandola all’interno dello sviluppo della specie umana – mentre nella seconda parte ci si occupa del punto di vista ontogenetico – quello concernente lo sviluppo del singolo individuo. Per quanto riguarda il primo ambito, l’Autrice presenta e sviluppa le idee di due modelli alternativi di spiegazione: da un lato, il modello della continuità – secondo il quale il linguaggio umano si sarebbe sviluppato gradualmente, a partire da semplici suoni, emessi dai nostri primitivi avi per indicare oggetti, o per segnalare pericoli, passando poi ad una ritualizzazione di questi suoni, che li avrebbe emancipati a strumenti sociali, sino a giungere infine a vere e proprie voci articolate, dotate di significati condivisi dall’intera comunità – dall’altro lato invece il modello della cesura – che nega una tale continuità e afferma invece che la facoltà del linguaggio è un sistema computazionale innato, non descrivibile come un aggregato di parti sviluppatesi durante l’evoluzione, ma emerso tutto d’un pezzo, a causa di una certa mutazione nell’organizzazione cerebrale della specie.

A questo dibattito, l’Autrice aggiunge, come detto, anche quello sull’ontogenesi del linguaggio, opponendo anche in questo caso la visione innatista, chomskyana, a quella più comprensiva, neo-costruttivista, che cerca invece di tenere conto delle numerose influenze dei sistemi cognitivi non linguistici, nel processo di formazione della lingua nell’individuo.

Al terzo capitolo invece è riservato il compito di affrontare l’aspetto semantico della lingua. In questo capitolo si toccano temi molto ampi e complessi, cercando sempre però di seguire il filo che li tiene connessi l’uno all’altro. Innanzitutto l’Autrice scarta l’ipotesi che la lingua possa essere considerata una semplice forma di nomenclatura e passa piuttosto ad esporre la tesi secondo cui all’uso delle parole sarebbero connessi dei processi di categorizzazione, ossia di «identificazione e reidentificazione di oggetti ed eventi in classi consapute dai parlanti d’una stessa lingua.» (p. 68) Come poi effettivamente il nostro sistema cognitivo crei queste classi concettuali di oggetti è materia di discussione. Due sembrano essere le risposte possibili – anche se una conciliazione tra entrambe pare essere la soluzione migliore –: da un lato la teoria classica, secondo la quale una classe di oggetti è costituita per astrazione ed è definita in base a proprietà comuni agli oggetti della classe; dall’altro lato invece si ha la teoria dei prototipi, che nega l’esistenza di classi concettuali dai confini ben definiti e propende per categorie sfumate, costruite per somiglianza, attorno ad un oggetto che funge da prototipo.

Altro tema trattato in questo capitolo, dopo la tesi dei processi di categorizzazione come fondamento della semantica delle lingue naturali, è quello della schematizzazione – concetto inteso nel senso kantiano del termine – ossia del livello intermedio che dovrebbe sussistere fra il momento della percezione e quello della concettualizzazione. Infine, l’Autrice passa a considerare il legame possibile tra categorie del pensiero e categorie grammaticali, discutendo la possibilità di ricavarne delle funzioni linguistiche universali.

Nel quarto capitolo, infine, il linguaggio viene affrontato dal punto di vista della pragmatica, ossia della sua funzione comunicativa, portando a compimento l’intenzione iniziale di considerare gli aspetti più concreti del funzionamento delle lingue. L’Autrice mostra quindi come la lingua possa assumere un valore performativo, o come si possa trasformare in atto di comunicazione tra parlanti e come, a questo processo, non contribuiscano soltanto le parole nella loro funzione semantica, ma anche gli aspetti contestuali e le intenzioni di chi parla.

Questa è la dimensione nella quale le varie teorie – sintattiche, semantiche, etc. – sul linguaggio possono trovare il definitivo campo sul quale scontrarsi e determinare la propria validità.

Per concludere possiamo dire che, nonostante la contenuta mole, questo libro riesce ad offrire una panoramica delle varie teorie sulle lingue naturali molto ricca e di facile comprensione, assumendo il duplice valore sia d’introduzione per l’inesperto di filosofia del linguaggio, sia di presentazione di numerosi spunti di riflessione per chi già padroneggia la disciplina.

Indice

Avvertenza 
I. L’intelligenza linguistica del mondo 
II. L’origine della parola 
III. Modelli di categorizzazione 
IV. Comunicare e comprendere 
V. A mo’ di conclusione 
Per saperne di più 
Riferimenti bibliografici 
Indice dei nomi 
Indice degli argomenti


L'autrice

Lia Formigari ha insegnato Filosofia del linguaggio all’Università di Roma La Sapienza. È autrice di numerose opere, tradotte anche all’estero, tra cui L’esperienza e il segno (Roma, 1990) e Il linguaggio. Storia delle teorie (Roma-Bari, 2005).

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