Recensione di Micaela Latini – 17/04/2008
Estetica, Etica
Se in ambito germanico su Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco sono stati versati fiumi d’inchiostro, all’interno della comunità scientifica italiana - ad eccezione di alcuni notevoli interventi inseriti in monografie di più ampio respiro - il testo non aveva finora ricevuto la considerazione che gli spetta. A Leonardo Amoroso va il merito di aver tradotto, introdotto e curato con il rigore filologico e con l’acume teoretico che caratterizza i suoi studi l’importante e controverso Feuilleton. Al fine di contestualizzare il foglio che ha fatto epoca, è necessario ripercorrerne il problematico e affascinante iter gestazionale. La ricostruzione delle vicende del frammento scandisce le pagine della “Introduzione” di Amoroso relative al testo della Frühromantik. Il manoscritto, assegnato dalla quasi unanimità degli studiosi al 1796, venne acquistato all’asta dalla Biblioteca di Berlino, per poi essere ritrovato e pubblicato da Franz Rosenzweig nel 1917, a causa della guerra con un ritardo di tre anni rispetto alle iniziali previsioni di uscita. Come è noto, la storia del frammento, battezzato da Rosenzweig con il titolo Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, costituisce un vero e proprio “giallo” filosofico, e questo già a partire dalla natura del testo, del quale non si conosce il Wozu? Le opinioni sono diverse: potrebbe trattarsi di un progetto di ricerca, o anche di un’introduzione, ma la proposta più fondata è che sia una lettera circolare o un abbozzo per una relazione da leggere in un circolo di intellettuali. Anche sull’inquadramento disciplinare del testo ci si è a lungo interrogati. Se in prima battuta, e sulla scorta delle parole dell’incipit (eine Ethik), il frammento è stato catalogato troppo frettolosamente come trattato di etica, si è poi affermata la tesi di Manfred Frank, che ha riconosciuto in queste righe l’atto di nascita dell’idealismo tedesco nella sua versione estetico-romantica.
Il vero mistero riguarda la paternità del testo. Il corrispettivo dell’esame del DNA dovrebbe corrispondere in questo caso alla perizia calligrafica. E tale analisi non lascia dubbi circa la mano che ha redatto il programma; il testo esce dalla penna di Hegel. Ma quest’innegabile certezza non ha messo a tacere la querelle circa l’autenticità del vero autore. E infatti, nonostante i tratti hegeliani sbiaditi (come ebbe a dire lo stesso Rosenzweig), questo “foglio ingiallito” rivela a uno sguardo attento anche tracce evidenti del pensiero di Schelling. È sulla base di questa convinzione che Rosenzweig definisce il frammento lo schellingianum, riconoscendo a Hegel la mera trascrizione. Di tutt’altra opinione è Böhm, che, facendo leva sullo stile poetico del frammento, saluta in Hölderlin il vero autore de Il più antico programma di sistema. Ancora tra le file dei sostenitori di Hegel, spicca il nome di Pöggeler, che, al fine di conciliare la presupposta e per lui innegabile origine hegeliana con l’evidente tonalità hölderliniana, sposta la datazione dell’opera all’anno 1797. In risposta alle sue argomentazioni, Tilliette rivendica la paternità di Schelling, documentando l’assonanza del testo con le altre opere che ne portano la firma.
In questo ginepraio di interpretazioni, si apre un’altra via: l’ipotesi più conciliatrice, che considera il testo come un’opera scritta a più mani, dai tre giovani filosofi colleghi allo Stift di Tübingen, o secondo una ulteriore variante, dai tre amici uniti in collaborazione con un “quarto uomo”.
Il “giallo” de Il più antico programma di sistema s’infittisce ulteriormente nel corso degli anni Settanta, quando il manoscritto, in seguito agli eventi drammatici che hanno segnato il Novecento, sparisce dalla circolazione; ne resta una fotografia di proprietà di Martin Buber. Solo alla fine degli anni Settanta l’enigmatico frammento, che seguendo varie vicissitudini era finito in mano alle autorità della Polonia comunista, torna al vaglio degli studiosi. Da allora ad oggi ben poca luce è stata fatta sulla sua provenienza. E a tutt’oggi il mistero è ancora fitto, come testimoniano i punti interrogativi collocati al seguito di nomi dei presunti autori, nell’edizione ETS curata da Amoroso: “Hegel (?); Hölderlin (?), Schelling (?)”. Chiunque sia il padre di questo importantissimo e densissimo programma, le riflessioni ivi contenute presuppongono e testimoniano – come Leonardo Amoroso giustamente rileva nell’importante commento che segue al e il testo - l’intenso colloquio tra i tre giovani filosofi. Oltre a ricostruire i termini del dialogo dei tempi di Tubinga, lo studio analitico di Amoroso ripercorre passo dopo passo e da diverse angolazioni prospettiche i punti nevralgici del frammento, evidenziandone i fili sotterranei che lo collegano alle fonti taciute. Il testo viene così analizzato in tutta la sua portata teoretica, e considerato come strumento di accesso alla estetica e alla filosofia tedesca di fine Settecento. Il fulcro teoretico del Feuilleton è – come noto – il legame tra etica-estetica e religione, ma non mancano riferimenti polemici alla fisica di Newton, così come, sul versante politico, alla dimensione statuale. Sulla scia di Schiller, anche l’autore/gli autori del Più antico programma proclamano la necessaria estinzione dello Stato, in quanto elemento estrinseco ed ostile all’ideale di uomo libero: “Assoluta libertà di tutti gli spiriti che portano in sé il mondo intellettuale e non devono cercare né Dio né l’immortalità fuori di sé” (p. 23). Che poi l’estetica sia al centro di questo manifesto, lo testimoniano i passi successivi, volti a elevare la bellezza a idea unificatrice di tutte le altre. In questa cornice estetologica si colloca il motivo della “mitologia della ragione”, che muove in direzione della fantasia dell’uomo e che fornisce mette in connessione individuo e comunità. Come noto, il tema della mitologia della ragione è l’ordine del giorno nei dibattiti filosofici e poetici di fine settecento, inizio ottocento, ed è frequentato da autori molto vicini a Hegel-Hölderlin-Schelling, come ad esempio Herder, Schlegel. Indubbia è la loro presenza in questo studio.
Le diverse voci che circolano all’interno di questo scritto sono così intrecciate, da risultare difficilmente distinguibili l’una dall’altra. E tuttavia, tra gli spettri che si aggirano all’interno del sistema, si riconosce spiccatamente la sagoma di Kant, e soprattutto del Kant dei postulati pratici presenti sia nella Critica della ragion pura, sia nella Critica della ragion pratica. Ancora sollecitazioni kantiane, questa volta mutuate dalla terza Critica, emergono dal riferimento al possibile fine ultimo della teleologia della natura. Seguendo il percorso estetologico, s’incontra la filosofia di Platone, mentre le istanze più schellingiane del frammento – quali ad esempio l’idea della natura come polarità di opposti - chiamano in causa il pensiero di Spinoza e di Goethe.
Un altro importante percorso da evidenziare nel programma è quello politico, un sentiero che incrocia la via dell’estetico. Il manoscritto deve essere interpretato come Feuilleton di un’utopia anarchica, come istanza di una comunità ideale che comprenda tutti gli uomini. Per la connessione tra estetico e politico, l’indirizzo filosofico più prossimo alle coordinate offerte dal frammento, è quello di Schiller. Come sottolinea Amoroso, le riflessioni contenute nel frammento sono infatti debitrici non alle teorie kantiane, ma anche alle tesi filogreche contenute nelle Lettere estetiche sulla educazione della umanità. Probabilmente è stato Hölderlin a veicolare il pensiero estetologico schilleriano all’interno del programma sistematico. Su questo stesso versante estetico-politico il percorso seguito dal frammento incontra tanto il cammino di Friedrich Schlegel, quanto quello di Herder. Alla loro attenzione nei confronti della mitologia rimanda infatti uno dei fulcri del frammento: l’idea di una Neue Mythologie, ovvero l’idea di quella “mitologia della ragione” che ha segnato un’epoca fondamentale della cultura tedesca. Uno dei capisaldi della novecentesca Mythos-Debatte trae ispirazione proprio da un passo significativo del frammento: “Monoteismo della ragione e del cuore, politeismo dell’immaginazione e dell’arte: ecco ciò di cui abbiamo bisogno” (p. 25).
Che Der älteste Systemprogramm abbia aperto scenari teoretici nuovi e interessanti, lo dimostra poi la riflessione portata avanti in ambito tedesco da alcuni tra i più importanti pensatori e germanisti del Novecento: da T. W. Adorno ed Ernst Bloch, fino a Hans Blumenberg, Odo Marquard, Manfred Frank, Hans Freier, Reinhart Koselleck, Jürgen Habermas. Questi, ed altri, hanno ereditato la lezione “hegeliana (?)-schellingiana (‘)-hölderliniana(?)”, da un lato rivelando la ricchezza e la cogente attualità della riflessione protoromantica sul mito, dall’altro aprendola a ulteriori e fecondi sviluppi.
Indice
Introduzione
Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco,
Commento
L'autore
Leonardo Amoroso, nato a Livorno nel 1952, si è formato all'Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore, dove è poi stato ricercatore. Nel 1995 ha vinto un concorso di professore ordinario di Estetica ed è stato chiamato all'Università di Padova. Nel 2001 si è trasferito all'Università di Pisa. Tra le sue opere, ricordiamo: Senso e consenso. Uno studio kantiano, 1984; Traduzione e curatela di I. Kant, Logica, 1984; L'estetica come problema, 1988; Traduzione e curatela di M. Heidegger, La poesia di Hölderlin, 1988; Maschere kierkegaardiane (ed.), 1990; Lichtung. Leggere Heidegger, 1993; Traduzione e curatela di I. Kant, Critica della capacità di giudizio, 1996 (II ed.: 1998); Nastri vichiani, 1997; Lettura della “Scienza nuova” di Vico, 1998; Ratio & aesthetica. La nascita dell'estetica e la filosofia moderna, 2000; Traduzione e curatela di E. Benamozegh, Israele e Umanità / Il mio Credo, 2002; Scintille ebraiche. Spinoza, Vico e Benamozegh, 2004; Erläuternde Einführung in Vicos “Neue Wissenschaft”, 2006; Curatela di A. Russi, Estetica della memoria, 2007.
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