Recensione di Laura Menatti - 28/04/2008
Geofilosofia
La geofilosofia, come pensiero della Terra, interroga il senso del nostro abitare. Questione filosofica rivolta a problematiche epocali e destinali, solleva interrogativi a cui l’individuo contemporaneo e il filosofo non possono sottrarsi.A questo compito non si esime il saggio di Francesca Saffioti Geofilosofia del mare, esauriente analisi geosimbolica, filosofica e storica dell’elemento mare.
Il nucleo teorico del testo si svolge entro il binomio mare/oceano. Mare come portato articolatorio e differenziale, limite entro cui si staglia il pensiero e la costituzione dell’individuo, Oceano, dall’altra, come infinitezza e prodromo della globalizzazione contemporanea.
Nel dettaglio il testo è organizzato in undici densi capitoli. Densi per lo spessore dell’interrogare, per la ricchezza bibliografica, per gli invii alla riflessione che dimostrano una partecipazione al pensare geofilosofico e ad importanti tematiche quali la concettualizzazione dell’alterità, della differenza, dello spazio globale. Punti nodali di un pensare la Terra in chiave altra, non realisticamente riduttiva o ancor più scientista.
Il percorso dell’autrice (quasi come un Weg heideggeriano, de-tour, che presenta, ritorna, decostruisce e riflette) inizia con gli aspetti geosimbolici a partire dall’Antichità:i greci concepiscono il mare come infinito negativo. Il loro Oceano dà origine (come in molti altri miti cosmogonici) alla Terra e la circoscrive. Il mare è, invece, articolazione, diversità, vita, ciò che produce differenza qualitativa. L’Oceano moderno è, invece, quello che, secondo una filosofia degli elementi, ravvisabile nella trattazione di Carl Schmitt, non ha tratti qualitativi, ma solo uniformità quantitativa. Su questo Oceano gli europei costruiscono il loro anelito alla conquista, e riducono la terra a globo, sfera navigabile, ulteriormente distinta in meridiani e paralleli, disegno commerciale e scientifico per i propri interessi. Il mare diventa, con l’Oceano moderno, spazio di conquista, dimora a-topica della soggettività ipertrofica che tutto abbraccia con la potenza del pensiero e della rappresentazione.
L’apertura degli Oceani, che inizia con la modernità, significa una diversa modalità del viaggiare (“dal viaggio dell’antichità legato a un centro e ad una de-limitazione, attraverso confini che definiscono luoghi”, p. 27) e una diversa modalità dell’abitare. Stravolgimento della relazione al luogo, fondazione di una nuova ontologia: la dimensione oceanica spalanca le porte all’anima faustiana dell’Occidente. “I caratteri dell’anima faustiana, propri della modernità, sono infatti precisamente quelli di una navigazione oceanica: il desiderio di libertà, il corrispettivo sentimento dell’infinità, il pathos della distanza, la condizione di solitudine” (p. 27).
Lo spazio che si annuncia è quello dell’ou-topia (isola progettata dalla ragione moderna, p. 33) e la dis-topia della modernità. L’autrice riprende in questo la distinzione geofilosofica tra spazio e luogo: il primo è portato geometrico di infinità e quantità, rappresentazione tutta soggettiva con la presunzione normativa; il secondo è relazione qualitativa, culturale e storica, sedimentazione simbolica e geosimbolica di una relazione di senso tra luogo e individuo.
L’epoca moderna articola un’essenziale distanza tra il mare e l’oceano e tra il mare e la terra. Questo binomio, che investe l’essere nel senso di un cambiamento radicale di un’epoca, è analizzato nei due capitoli che seguono il percorso delineato da Carl Schmitt: La scelta del mare tra geopolitica e geofilosofia e L’impero acquatico.
È in queste pagine che l'autrice sviluppa tematiche schmittiane di fondamentale importanza per l'analisi della contemporaneità: sostanziale la decisione dell'individuo moderno (e nello specifico dell'Impero inglese) per l'elemento Oceano. Tale decisione implica una radicale rivoluzione dell'ontologia e un allontanamento dall'elemento fondativo terraneo e locale.Essa si realizza nell'affermazione del movimento destinale della tecnica moderna, che autori come Heidegger e Jünger hanno preconizzato e analizzato nel '900.
Il passaggio dal mare all'oceano faustiano implica unepocale cambiamento nella concettualizzazione dello spazio, dell'individuo, della guerra e della relazione al luogo. Il legame con l'Oceano procede per un graduale dis-tacco dalla terra, ridotta a sfera, in cui le ontologie locali sono punti su un reticolo spaziale, prive di quel “senso del luogo “ che si instaura nella relazione storica, geo-simbolica e memoriale. Tale e-radicamento delle peculiarità e delle differenze dei luoghi sulla Terra si esplica e trova ilsuo massimo compimento nichilistico nell'odierna globalizzazione.
Il mondo, con il pensiero moderno, subisce una radicale trasformazione. Questo sottolinea la Saffioti sulle orme del pensiero heideggeriano. La Terra è ridotta a immagine e solo in un mondo reso omogeneo dalla superficie del mare è possibile l'esperimento e lo sfruttamento della natura ad opera dell'uomo occidentale. “Lo spazio si trasforma da ciò che definisce l'esserci dell'uomo – la finitezza – a ciò che, invece, è oggetto di un'attività umana infinita” (p. 42). Oceano è simbolo del modus operandi dell'individuo moderno: la sperimentazionee il dominio su di una Terra considerata come eternamente disponibile e sfruttabile. L'Io moderno, come si sottolinea nel capitolo quinto, Ulisse tra i due mari, è caratterizzato dalla presunzione del dominio: riuscire a manipolare l'ente che gli si pone dinanzi (p. 112).
Lo sguardo dell'autrice si rivolge infine al pensiero meridiano: rispetto alla forza sradicante dell'Oceano si propone un pensiero articolatorio e attento alle differenze peculiare di chi abita le sponde del Mediterraneo e instaura con esse un legame identitario elettivo.
Attraverso autori quali Nietzsche, Heidegger, Camus, Derrida il modello mediterraneo del pensiero valorizza il finito nell’altro (p. 130), la relazione con la diversità e l’alterità si esplica in un con-venireche, nella distanza, ne rispetta l’assolutezza.
Il paesaggio mediterraneo è un arcipelago (per usare un’espressione di Massimo Cacciari) di isole, mai distinte e separate, ma relate nella consapevolezza della loro differenza. Nell’arcipelago l’insularitàautosufficiente, corpo unico e totalizzante, passa ad essere luogo di reciprocità asimmetrica, molteplicità e scarto. Il mare non evita quindi la mediazione e la relazione, come opera invece l’Oceano, ed è cultura delle differenze e delle specificità del paesaggio. Il Mediterraneo diviene nella riflessione della Saffioti luogo dell’essere plurale: “Il percorso che la via meridiana indica è appunto doppio: esso vorrebbe raccogliere insieme i due momenti dell’andata e del ritorno, del dentro e del fuori, del legame e della reciproca esteriorità, del dialogo e della divisione, della difesa delle differenze all’interno di un topos/logos di matrice geofilosofica che sappia abitare nella distanza e nella misura fra terra e mare” (p. 137).
Il Sud del pensiero meridiano diviene, di contro alla tabula rasa della globalizzazione, luogo emergente della cura delle differenze e delle singolarità, apertura ove si può dare l’ospitalità a un’alterità sempre a-venire e costruire un nuovo modello di democrazia e di comunità.
Indice
Aspetti geo-simbolici
L’apertura degli oceani
La scelta del mare tra geopolitica e geofilosofia
L’impero acquatico
Ulisse fra i due mari
Sul confine meridiano
Rivoltarsi/Rivolgersi verso Sud
L’Europa rapita
La misura dell’Arcipelago. Asimmetria e connessione
Il proprio e l’estraneo
Democrazia meridiana
Bibliografia
L'autrice
Francesca Saffioti (Reggio Calabria, 1978) è dottore di ricerca in Metodologie della filosofia e collabora con la cattedra di filosofia teoretica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina. Ha pubblicato Isole mediterranee: spaziosi accoglienza – spazio di esclusione, «Mesogea», 2, 2005 e Decostruire il terrore. L’evento senza sovranità, «B@belonline/print. Rivista di filosofia», 2, 2006.
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