venerdì 23 maggio 2008

Gilson, Étienne, Il realismo. Metodo della filosofia.

Trad. it. di Antonio Livi, Roma, Leonardo da Vinci, 2008, pp. 180, € 20,00, ISBN 9788888926612.
[Ed. or.: Le Réalisme methodique, Pierre Téqui, Paris, 1935]

Recensione di Michele Paolini Paoletti – 23/5/2008

Filosofia teoretica (realismo, metafisica), Storia della filosofia (medievale)

I saggi di Étienne Gilson raccolti in questo volume vengono finalmente tradotti e pubblicati integralmente in Italia dopo circa 70 anni dalla pubblicazione originale in francese. Questa prima edizione italiana di Le Réalisme methodique, curata dal prof. Antonio Livi, decano della Facoltà di Filosofia dell'Università Lateranense, scolaro di Gilson e studioso della filosofia del “senso comune”, fornisce un prezioso contributo non solo agli studi sulla neoscolastica e sul tomismo, ma anche e soprattutto alla filosofia della conoscenza contemporanea. Gilson, infatti, in quest'opera, conduce la propria riflessione attraverso un lento e progressivo allargamento di orizzonti: a partire dalla confutazione del realismo critico, l'autore giunge ad una più radicale messa in discussione del paradigma filosofico cartesiano ed idealista, per poi approdare alla definizione dei tratti salienti di un rinnovato realismo.

Nell'introduzione storica, scritta da Maria Antonietta Mendosa, le tesi gilsoniane sono contestualizzate nell'ambito del dibattito sulle possibilità ed i limiti del realismo critico proposto dalla scuola lovaniense di Désiré Mercier, Léon Noël e Joseph Maréchal, nonché accettato e sviluppato da Gabriel Picard e Marie-Dominique Roland-Gosselin.

Nei primi due saggi (Il realismo come metodo e Realismo e metodo) Gilson si propone in effetti di affrontare Mercier e Noël allo scopo di mostrare l'impossibilità di un realismo critico, sia che esso intenda presentarsi come “mediato” (Mercier) che come “immediato” (Noël). Se il principio fondamentale dell'idealismo è che “a nosse ad esse valet consequentia”, il realismo non può che esprimersi in maniera opposta: “ab esse ad nosse valet consequentia”, poiché l'esistenza reale ed indipendente del soggetto e dell'oggetto è la condizione preliminare di ogni conoscenza e poiché il pensiero soggettivo non potrà mai dedurre da sé alcuna realtà extrasoggettiva esistente. “Il problema di costruire un realismo critico”, scrive pertanto Gilson, “è in sé contraddittorio come la nozione di cerchio quadrato”, giacché “nessun cogito giustificherà mai il realismo di Tommaso d'Aquino” (p. 54) e giacché il realismo critico dovrà scegliere pertanto tra l'intento realistico e l'intento critico. Mercier, muovendo dalla passività delle sensazioni e applicando ad esse il principio di causalità per dedurre poi l'esistenza di un mondo extrasoggettivo, compie un'inferenza dal pensiero alla realtà molto simile a quella cartesiana. Spiega Gilson: “è un'opinione abbastanza diffusa, infatti, che Descartes provi l'esistenza del mondo esteriore attraverso la veracità divina, ma non è affatto così”, dato che “Descartes stabilisce l'esistenza dei corpi provando che essi sono la sola causa possibile delle nostre sensazioni passive” (p. 74) e la veracità divina interviene solo per eliminare l'ipotesi che Dio ne sia la causa. Non si comprende, tuttavia, come si possa giungere dal mentale all'extramentale, facendo leva esclusivamente sulle forze del pensiero. Noël, dal canto suo, nel tentativo di rileggere le posizioni di Mercier, elimina la questione dell'inferenza e parla di un sentimento intimo dell'esperienza che offre la certezza di una realtà extramentale. Se questo sentimento intimo, tuttavia, implica già l'esistenza del non-io, il cogito cartesiano “viene caricato fin dall'inizio di tutto il non-io che è oggetto dell'io conoscente” (p. 85), cosa che Cartesio vuole appunto escludere. Se si parte, inoltre, dall'esser-conosciuto dell'oggetto, e non dal suo essere-reale, ci si discosta dalla via tracciata da Aristotele e Tommaso. L'alternativa che si pone, dunque, è di certo netta: o Aristotele e Tommaso ed il loro realismo, o Cartesio e le conseguenze idealistiche della sua dottrina.

La seconda parte del libro (cioè i tre saggi rimanenti) delinea meglio, dunque, l'opzione idealismo-realismo e propone alcune buone ragioni per scegliere la strada aristotelico- tomista. L'idealismo non è confutabile dal proprio interno, anche se pare possibile enucleare alcuni punti nei quali il primato del pensiero sull'essere si mostra inutile, dannoso ed infecondo per la filosofia. Lo sforzo di Cartesio, in effetti, è quello di imporre un particolare metodo scientifico (il metodo matematico) all'intera conoscenza del reale. Il risultato di un simile percorso contrasta con lo scopo principale di ogni sapere umano, cioè conoscere le cose come sono in sé, e consiste viceversa nel “sostituire la complessità concreta delle cose con un certo numero di idee chiare e distinte, concepite come la vera realtà” (p. 96). La realtà, pertanto, “non cessa di frazionarsi in entità immaginarie che non ne sono che la falsa moneta” (p. 58), mentre la filosofia viene svuotata del contenuto suo proprio e si condanna ad uno sterile scientismo. Il “vero sapere” dell'idealista non parte né dalle sensazioni (che sono considerate ingannevoli o quantomeno sospette) né dalla conoscenza, ma dal pensiero e dalla riflessione attorno ad esso. L'idealismo, tuttavia, pretendendo di fondare e certificare la conoscenza, perviene semmai alla sua eliminazione, affrettando e deviando impazientemente la lenta e complessa frequentazione tra il soggetto e la realtà.

Il realista, piuttosto, considera come unica ipotesi plausibile di ogni conoscenza il fatto che “il pensiero assimili progressivamente, con la ricerca scientifica, le dimensioni intelligibili di un mondo che gli è davanti” (p. 117). Egli, dunque, può legittimamente affermare che, sebbene ogni cosa gli sia data mediante il pensiero, la sua conoscenza non è la causa dell'esistenza del reale. La filosofia della conoscenza, in effetti, ha come proprio oggetto di studio, appunto, la conoscenza, cioè il possesso intenzionale di un oggetto reale. Se gli oggetti reali non esistessero o venissero messi tra parentesi, dunque, cosa potrebbe mai essere conosciuto dall'uomo? In secondo luogo, dopo aver riconosciuto che “res sunt”, il realista riconosce anche che ciascun oggetto di conoscenza detta il proprio metodo e che non è possibile conoscere i vari livelli della realtà con un solo metodo. Questa osservazione consente al filosofo di non ignorare il progresso delle scienze e, parimenti, di preservare l'ambito proprio di una metafisica che intenda porsi come scienza dell'essere. Se “l'errore di Aristotele fu di non restare fedele al suo principio”, cioè “una scienza del reale per ciascun ordine del reale” (p. 108), una filosofia moderna che voglia riproporre in maniera feconda le tesi tomiste non può commettere lo stesso sbaglio, ritenendo di poter scivolare nuovamente ed acriticamente nelle atmosfere filosofiche del Medioevo. Ad ogni modo, il realista, valorizzando tutta la realtà e tutte le facoltà umane, non si distacca da un senso comune ben informato e pare approfondire, con il proprio lavoro, il cammino conoscitivo quotidiano di ogni essere umano.

Nella postfazione, pertanto, Antonio Livi esamina, ancora, la tematica del senso comune e le sue connessioni con la disputa tra realisti e idealisti, nonché tra realisti “metodici” (che usano il realismo come metodo) e realisti critici. In questo contesto, Gilson ha certamente dato un prezioso sostegno alla causa del realismo metafisico e ha permesso di intravedere la natura opzionale (e non necessitante) della via cartesiano-idealista.

Indice

Nota editoriale

Introduzione storica. Étienne Gilson tra idealismo e realismo critico, di Maria Antonietta Mendosa

Capitolo primo. Il realismo come metodo

Capitolo secondo. Realismo e metodo

Capitolo terzo. Specificità dell'ordine filosofico

Capitolo quarto. Il metodo del realismo

Capitolo quinto. Qualche consiglio per chi vuole essere realista.

Postfazione. Gilson, il senso comune e il metodo della filosofia, di Antonio Livi

Nota bibliografica. Le opere di Gilson tradotte in italiano, a cura di Antonio Livi


L'autore

Étienne Gilson (Parigi 1884 – Cravant 1978) è conosciuto in tutto il mondo come studioso della filosofia medievale e come metafisico. Tra le sue opere più note, ricordiamo: La philosophie au Moyen Age (1a ed. 1922, 4a ed. 1962); L'esprit de la philosophie médiévale (1932); L'être et l'essence (1a ed. 1948, 2a ed. 1962); Le Réalisme methodique (1935); Réalisme thomiste et critique de la connaissance (1939); Introduction á la philosophie chrétienne (1960).

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