Nota di Piero Venturelli – 09/06/2008
Etica, Filosofia della religione
Il libro prende in esame il pensiero teologico, ecclesiologico ed etico di uno dei più controversi eretici della storia della cristianità, Jan Hus. Oltre a ripercorrere le tumultuose vicende biografiche di questo importante e influente riformatore della Chiesa – nato verso il 1370 a Husinec, nella Boemia meridionale, e morto sul rogo a Costanza il 6 luglio 1415 –, Armando Comi ha cura di contestualizzare la sua formazione intellettuale, l’attività di docente universitario e di predicatore nella Praga del principio del Quattrocento, città a quel tempo ricca di considerevoli fermenti culturali e religiosi. Accanto a ciò, Comi dimostra una grande familiarità coi testi hussiani e una sicura padronanza della letteratura critica sull’ambiente intellettuale, politico, sociale e religioso boemo del tardo Medioevo, e palesa anche una buona conoscenza del dibattito accademico inerente alle continuità e alle discontinuità dottrinali tra le concezioni del doctor evangelicus, cioè il teologo oxoniano John Wyclif (1320/30?-1384), alcune delle cui tesi vengono giudicate eretiche già all’indomani della loro formulazione, e il pensiero di Hus. Quest’ultimo, dopo aver manifestato – almeno in pubblico – un’iniziale neutralità nei riguardi dei punti di vista dell’autore inglese, vi si avvicina progressivamente, fino a diventare de facto una sorta di alter Wyclif in terra boema, ma differenziandosi dal “maestro” intorno a varie questioni di non secondario rilievo (il doctor evangelicus – per esempio – nega la transustanziazione, mentre la prospettiva di Hus su questo punto è ortodossa), come lo studioso italiano pone opportunamente in luce, richiamando un gran numero di emblematici luoghi dei testi hussiani.
Hus considera la Chiesa come la comunità dei predestinati alla salvezza, unita nella fede, nella preghiera e nella osservanza della legge di Dio. A quest’autentica comunità egli contrappone l’istituzione ecclesiastica del suo tempo, corrotta dalla simonia, dalle ambizioni politiche e dalla cupidigia. Hus ammonisce ricorrentemente i prelati e il papa, da una parte, a rinunciare alle proprietà terriere, alla vendita delle indulgenze, all’imposizione dei tributi sui servi della gleba e alle pratiche simoniache; dall’altra, a dedicarsi unicamente alla predicazione del Vangelo. Le invettive contro il clero, accusato di oscurare l’immagine di Cristo agli occhi dei fedeli, si intrecciano nel teologo boemo con le esortazioni a seguire il Cristo umile, povero, sofferente e misericordioso, quale ci appare nel Nuovo Testamento, che è da considerarsi l’unica autorità in materia di fede. Negli scritti e prediche hussiani, inoltre, Cristo viene riconosciuto come l’unico capo della Chiesa, la pietra sulla quale essa è stata edificata.
Allo scopo di ripristinare l’Alleanza tra Dio e il Suo popolo, Patto tradito da quest’ultimo per responsabilità primaria dei sacerdoti e degli ultimi papi, Hus addita ai fedeli l’irto cammino verso il cristianesimo genuino e disadorno delle origini, sancisce la libertà di predicazione e di giudizio critico razionale nei confronti delle istituzioni e promuove la lotta contro l’Anticristo dell’Apocalisse, che egli riferisce di scorgere all’opera già ai suoi tempi, spronando i credenti a testimoniare con coerenza e impegno la loro fede. Come si mette bene in evidenza nel libro, il predicatore boemo, nel campo ecclesiastico, rigetta ogni potestà di giurisdizione della Chiesa, non riconoscendole altra autorità se non quella basata esclusivamente sulla dignità morale; nel campo nazionale, è innegabile il suo odio per i tedeschi e il suo fervente amore per il popolo ceco. In merito a quest’ultimo aspetto, alla fine del primo decennio del Quattrocento, oltre a sussistere ancora le annose dispute fra cechi e tedeschi legate alle tradizionali divergenze filosofiche presenti all’interno dell’Università di Praga (i primi sono realisti e i secondi, invece, nominalisti), si acuiscono i contrasti a motivo delle opposte fedeltà ai due pontefici allora in carica (si è in pieno Scisma d’Occidente), il “papa romano” Gregorio XII, sostenuto dai Tedeschi, e il “papa avignonese” Benedetto XIII, appoggiato dai cechi. Tali conflitti finiscono con l’indurre all’incirca mille tedeschi (tra professori e studenti) ad abbandonare la Boemia per dar vita a Lipsia a una nuova università. Nel 1409 Hus viene nominato rettore dell’Università di Praga; a quella data, il suo programma riformatore – incentrato sull’ideale di una Chiesa privata dei beni e del potere temporale e governata dal Vangelo – conta già migliaia di sostenitori in seno al movimento sociale e politico boemo, che da alcuni anni si sta estendendo soprattutto nelle città e tra le file della piccola nobiltà.
Uno degli aspetti più ragguardevoli del libro consiste, senza dubbio, nell’attenta analisi delle concezioni degli innumerevoli riformatori boemi del Trecento che influenzano le posizioni di diversi autori dei decenni e dei secoli successivi, non escluse quelle del celebre teologo e pedagogista secentesco Jan Amos Comenio (1592-1670). Comi individua, in particolare, un ruolo decisivo nella formazione di Hus e nello sviluppo dei movimenti di riforma ecclesiastica (e non di rado anche sociale) che a lui si ispirano, nell’illustre teologo Mattia da Janov (m. 1393), acceso fustigatore degli abusi del clero e nemico del culto delle immagini e delle reliquie, e in Jan Milíč da Kroměříž (m. 1374), predicatore suggestionato dalle concezioni di Cola di Rienzo (1313-1354) e alfiere di una renovatio Ecclesiae all’insegna della condanna di ogni simonia e rilassatezza morale, e incentrata sulla libertà dal giogo romano e sul riscatto spirituale e sociale accordato ad ogni creatura. Non per questo, tuttavia, lo studioso italiano tralascia di ricostruire il pensiero teologico ed ecclesiologico di Wyclif. Comi, anzi, pone in risalto l’uniformità fra molte vedute del doctor evangelicus e quelle hussiane in ambito teologico ed ecclesiologico, anche se egli mostra di condividere parecchi dei tratti caratteristici dell’interpretazione del pensiero dell’eretico quattrocentesco proposta nella seconda metà del secolo scorso da Amedeo Molnár (1923-1990), il quale – specie nella monografia del 1973, Jan Hus. Testimone della verità – è andato correttamente a mitigarne l’effettiva dipendenza dalle concezioni dell’autore d’Oltremanica, non da ultimo – appunto – per la presenza di notevoli fermenti eterodossi nella Praga tardo-trecentesca, preesistenti alla conoscenza dei testi teologici wycliffiani in terra boema: nel 1401, infatti, è Girolamo da Praga (1370?-1416), destinato anch’egli ad essere arso sul rogo a Costanza per eresia, a portarli con sé dall’Inghilterra e a farli conoscere nella sua città. Peraltro, come si accennava poco fa, non sono da sottovalutare nemmeno le nette divergenze tra la dottrina eucaristica, sostanzialmente ortodossa, di Hus e la negazione della transustanziazione da parte di Wyclif; quest’ultimo, inoltre, avversa il costume delle indulgenze, da lui considerate sempre e comunque pratiche illegittime, laddove il teologo boemo si limita a denunciare gli abusi perpetrati dalle autorità miranti ad allestire un vero e proprio commercio delle indulgenze per finalità estranee alla vita spirituale dei fedeli; se l’eretico di Oxford, infine, non sembra collocarsi al di fuori del rigido predestinazionismo delineato da sant’Agostino, nella prospettiva hussiana la responsabilità individuale è anche ragione della sua condanna o della sua salvezza.
Il secondo capitolo del volume è interamente dedicato allo scritto più importante e celebre di Hus, il De Ecclesia. Iniziato a Praga dal teologo pochi mesi prima di subire la scomunica (atto risalente al luglio 1412, anche se reso pubblico solo in ottobre), questo trattato è concluso all’incirca un anno dopo, nel periodo in cui egli sta predicando nelle campagne della Boemia meridionale per sottrarsi alle persecuzioni. Nella capitale si ricavano subito diverse copie dell’opera, che vengono diffuse tra i gruppi di seguaci. Nel De Ecclesia, l’autore dà veste sistematica alle sue concezioni teologiche ed ecclesiologiche: le Sacre Scritture hanno la doppia funzione di legge spirituale e di norma di vita sociale, tanto che chi non ha una condotta conforme a quella degli apostoli, non può essere legittimo detentore di alcuna carica, né di tipo ecclesiastico né di tipo civile, e anzi – trovandosi in peccato mortale – è lecito disobbedirgli e dev’essere deposto; Cristo rappresenta l’unico e vero capo della Chiesa (e, per questo, Egli merita e deve prendere il nome, secondo Hus, di «sommo pontefice»); la Chiesa universale coincide con l’assemblea dei predestinati (universitas praedestinatorum), i quali sono riconoscibili soltanto dal loro modo di vivere e dalle loro azioni.
Il teologo boemo, nel De Ecclesia, attira l’attenzione su una serie di segni che, a suo dire, mostrano incontrovertibilmente se un ecclesiastico è indegno di ricoprire la carica che in quel momento riveste: il considerare centrali nella vita propria e in quella dei fedeli le «umane tradizioni», anziché la legge di Dio; il trascurare la «conversazione di Cristo» a beneficio dell’«immersione negli affari mondani»; il tartassare le Chiese povere per le esigenze esclusivamente mondane del papa e dei prelati corrotti; il disinteressarsi delle anime del proprio gregge. Non ci possono essere mezze misure, secondo Hus: l’ecclesiastico che viene meno ai suoi doveri, è ministro dell’Anticristo e di Satana. E, se chi ordina è peccatore, non ribellarsi significa peccare: come Adamo obbedì all’ordine sbagliato, vale a dire cedette ad Eva, che a sua volta era stata sedotta dal male, così il fedele che, oggigiorno, si piega al volere del sacerdote nemico del Vangelo si allontana dal bene e mette a repentaglio la salute della propria anima. Rileva Comi che Hus è persuaso che l’uomo, «dispone[ndo] di una ragione che lo rende cosciente e dunque capace di discernere il bene dal male, sa di dovere obbedire agli ordini che concernono unicamente il bene e nient’altro che quello; se l’ordine è incomprensibile ma comunque impartito da Dio, l’obbedienza è dovuta; ma è Dio solo che dà ordini ai quali occorre obbedire senza indugio. Gli ordini dell’uomo devono invece essere valutati ed eventualmente fatti oggetto di obbedienza o disobbedienza» (p. 96). Il cristiano, dunque, ha diritto di valutare se un ordine della Chiesa proviene da uomini piuttosto che da Dio. Per questo, Hus esorta i fedeli boemi ad affidarsi alla propria autorità decisionale fondata sulla capacità di giudizio, ricorrendo alla propria ragione per stabilire se le istituzioni e i rappresentanti del potere sociale agiscono davvero con giustizia. A suo avviso, il significato autentico delle Sacre Scritture è consegnato dallo Spirito Santo: «se non ci fosse una simile certezza, l’invito alla disobbedienza – scrive Comi – assumerebbe il significato di aperta rivolta contro il potere costituito, mentre le parole di Hus non istigano alla sovversione, bensì alla reazione contro un’autorità che non sia fondata su Cristo. Merita obbedienza solo quel papa o principe che sia sottomesso alla legge di Cristo e non perché investito di un potere secolare» (p. 101). Nonostante ciò, il Concilio di Costanza non manca di includere gli articoli sulla disobbedienza fra i trenta estrapolati dalle opere hussiane, per condurre a fondo l’accusa e pronunciare la condanna.
A Costanza, vengono imputati a Hus anche altri «errori», riguardanti in larga parte l’ambito ecclesiologico. I teologi riuniti al Concilio censurano, tra gli altri, i seguenti punti di vista espressi dall’autore boemo: alla Chiesa come società dei predestinati non appartengono i «preconosciuti» o praesciti (invero, gli esaminatori/accusatori forzano il senso di questa sua posizione); la dignità papale è una cosa terrena emanata da quella di Cesare (lo stesso san Pietro non fu il reale capo della Chiesa); le censure ecclesiastiche (scomunica, sospensione, interdetto) sono un mezzo usato dal clero per mantenere soggiogati i laici e preparano la via all’Anticristo; chiunque acceda al sacerdozio riceve, in conformità a questo preciso mandato, l’ufficio di predicatore, donde si può e si deve adempierlo nonostante l’espresso divieto del papa o di altri prelati, né la scomunica può impedirlo; gli apostoli e i sacerdoti del Signore hanno organizzato la Chiesa nelle cose necessarie alla salvezza ben prima che venisse istituito l’ufficio di papa, e così farebbero se non vi fosse più un pontefice sino al giorno del Giudizio; l’autorità dipende dallo stato morale personale.
Discutendo intorno all’eventuale appartenenza delle concezioni hussiane all’orizzonte millenaristico, Comi si sofferma sui luoghi del De Ecclesia (collocati nell’ultimo capitolo) nei quali il teologo boemo «sostiene che il millennio sia già concluso, che sia in procinto di combattersi la battaglia finale tra Cristo e Anticristo. Ritiene che sia da attendersi non un’età nuova, come era per i gioachimiti, ma la fine dei tempi [...]. Il millennio è già trascorso, Satana è già stato liberato dalle catene, si attende il Giudizio. Alla luce del rovesciamento di prospettiva, non l’attesa di un rinnovatore pastor angelicus ma l’attesa della guerra con il pastor dyabolicus, si ricava che Hus vede già il tempio corrotto dai falsi profeti e dai falsi cristi, processo di corruzione iniziato almeno intorno all’anno 1000. L’idolo dell’abominio, ovvero il pastore che uccide il proprio gregge, può essere un papa» (pp. 102-103, 104).
Nel De Ecclesia traspare molto bene la nozione che Hus ha della verità, una nozione che costituisce l’elemento centrale del suo pensiero. Al pari di Wyclif, il teologo boemo è un “realista” nel senso della filosofia scolastica: la verità non è un’opinione, un concetto esistente unicamente nell’intelletto umano, ma ha una realtà indipendente dall’uomo, è la realtà delle cose; come cristiano, Hus vede l’assoluta coincidenza tra la verità e la testimonianza di Cristo, il quale – in quanto Dio incarnato – risulta conoscibile dall’uomo. Pertanto, la verità è la testimonianza di Cristo, registrata nelle Sacre Scritture. Egli osserva che il cristiano deve rimanere costante nella fede e nella conoscenza di questa triplice verità: innanzitutto, quella contenuta nella Bibbia; poi, quella che viene toccata dalla ragione infallibile; infine, quella che il credente fa sua partendo dalla propria esperienza personale. Fuori di tale verità, ritiene Hus, nulla dev’essere affermato o riconosciuto come vero. A suo giudizio, le tre fonti di verità non sono in contraddizione: la fede in Cristo trova conferma nella ragione e questa nell’esperienza di ciascuno. La verità resta unica e risulta comprensibile ai credenti; non ci sono uomini che ne siano depositari e non può essere in contrasto con la condotta di ciascuno. La vita di Cristo è esemplare proprio perché è espressione della verità da Lui testimoniata; come Egli morì per aver manifestato la verità, così per difenderla ognuno dev’essere pronto a sacrificare la propria vita.
Comi coglie molto bene che, secondo Hus, la mancanza di verità non è semplice errore, ma menzogna. Nel De Ecclesia, in particolare, si comprende come la lotta contro la menzogna sia affermazione tanto del vero quanto del giusto, dal momento che la verità non può che essere giustizia. È qui la radice rivoluzionaria che sarà colta dai seguaci di Hus: si deve dare la vita per difendere la verità e affermare così la giustizia. Tale elemento va unito alla concezione della Chiesa – ripresa da Wyclif – come insieme di tutti gli eletti, i predestinati, i quali, fatto salvo da Hus il libero arbitrio, sono tali in quanto guadagnano da Cristo, e non dagli uomini che pretendono di rappresentarlo, la propria salvezza.
Nel terzo, dettagliatissimo capitolo del suo libro, Comi concentra l’attenzione sulle correnti riformatrici quattrocentesche che si rifanno o sostengono di rifarsi, a vario titolo, al pensiero di Hus. A proposito dell’hussitismo, lo studioso italiano rileva che «dallo stesso insegnamento [del maestro], [si] tra[ggono] lezioni tra loro divergenti: i moderati sce[ndono] a compromessi con la nobiltà locale e torna[no] a Praga appagati della libertà religiosa e dei benefici ottenuti; gli hussiti estremisti, i taboriti, comincia[no] una vera e propria guerra e con un esercito di volontari, pre[ndono] a terrorizzare nobiltà e clero con spietate repressioni, per arrivare infine a edificare Tabor [...], la città nata al solo scopo di poter accogliere una comunità di fedeli convinti di essere predestinati e determinati a sottrarsi al giogo di Praga-Babilonia» (pp. 93-94). Alla luce di ciò, Comi puntualizza che sarebbe del tutto sbagliato considerare Hus – come pure è stato talvolta fatto dalla critica – il fondatore o il massimo rappresentante di quella corrente giacobina del movimento hussita il cui fine consiste nell’eliminazione di qualsiasi governo e nell’instaurazione di uno stato di libertà e uguaglianza.
Come si vede, questo documentato libro di Comi offre non solo un contributo di grande interesse all’opera di approfondimento degli scritti e del pensiero di un eretico che molti interpreti – fino a tempi recenti – hanno assai discutibilmente considerato un semplice precursore o anticipatore della Riforma luterana, ma anche un’analisi delle istanze riformatrici della Chiesa e della società portate avanti dall’hussitismo dopo la morte del celebre teologo e predicatore boemo – tematiche significative, queste, ma ancora relativamente poco conosciute in Italia.
Indice
I. Contesto praghese
II. De Ecclesia
III. Dopo il rogo
Bibliografia scelta
Indice dei nomi
L'autore
Armando Comi si è addottorato in Filosofia presso l’Università di Bologna con una tesi dedicata alla storia del millenarismo in ambito hussita e ai rapporti di questo con il millenarismo gioachimita di ambito francescano. Tra i suoi ultimi scritti, si segnalano: Il corpo di Maria tra XV e XVI secolo, in A. Angelini, P. Caye (a cura di), Il pensiero simbolico nella prima età moderna, Firenze, Olschki 2007; voci Concilio di Costanza e Hus, Jan, in A. Prosperi, J. Tedeschi (a cura di), Dizionario storico dell’Inquisizione, 3 voll., Pisa, Edizioni della Normale Superiore (in corso di pubblicazione).
Links
Pagina sulla vita e sulle principali concezioni di Hus:
< http://www2.kenyon.edu/projects/margin/hus2.htm > (in inglese).
Ragguagli sull’hussitismo:
< http://www.czech.cz/en/czech-republic/history/all-about-czech-history/hussitism-and-the-heritage-of-jan-hus > (in inglese).
Informazioni biografiche su Hus:
< http://dejepis.info/?t=103 > (in ceco).
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