giovedì 17 luglio 2008

Whitehead, North Alfred, Il principio della relatività, a cura di M.V. Bramè.

Milano, Melquiades, 2007, pp. 270, € 13,00, ISBN 9788890266713.

Recensione di Francesco Crapanzano – 17/07/2008

Filosofia della scienza (filosofia della fisica), Filosofia teoretica (metafisica)

Il volume raccoglie gli scritti di Whitehead sulla “propria” teoria della relatività, presentati per la prima volta in traduzione italiana e cura di Mario Valentino Bramè. Al suo interno si troveranno non solo una nuova formulazione fisico-matematica della relatività generale a partire da principi diversi, ma considerazioni e problemi d’indubbio valore epistemologico che, mi pare di poter dire, rappresentano la parte più vitale del pensiero del grande matematico-filosofo inglese.

Sono innegabili le difficoltà insite nella struttura stessa delle analisi whiteheadiane in questione: si passa da una parte solo apparentemente introduttiva, volta a fondare i principi fisici attraverso attente valutazioni e riferimenti filosofici riguardo alla dinamica scientifica, all’esposizione del necessario formalismo matematico, tanto elegante quanto di difficile comprensione per il lettore non specialista. Lo stesso Autore non nasconde queste difficoltà quando ricorda come nel preparare la pubblicazione, si era avvalso dei consigli amichevoli di un filosofo e di un matematico: «Il filosofo - ricorda - mi suggerì di omettere le formule matematiche, mentre il matematico mi suggerì di tagliare la parte filosofica» (p. 90). Ma è meglio procedere con ordine.

A guidare la lettura, vi è un articolato saggio introduttivo del curatore che individua efficacemente gli snodi principali della nuova interpretazione whiteheadiana della relatività e, più in generale, della fisica. In primo luogo l’approccio «fenomenologico» alla durata, intesa non soltanto in senso temporale, ma come vera e propria «fetta di realtà» (cfr. p. 10); poi la particella vista come «evento» e non più come punto-massa; e ancora, la revisione della relatività generale in cui la curvatura variabile dello spaziotempo comporta «il venir meno della rispondenza della fisica con quell’uniformità di struttura dell’esperienza» che ci permette di conoscere la realtà e allo stesso tempo ne è parte (cfr. p. 14).

«Uno degli obiettivi di Whitehead - osserva Bramè - è quello di evitare l’idea, così diffusa nella fisica classica, di simple location», cioè il considerare la natura popolata d’oggetti (fatti di sostanza materiale) che possiedono una precisa posizione spazio-temporale. Ora, proprio la fisica quantistica ha sconfessato un’ontologia di questo tipo: l’indeterminazione, la complementarità ecc. hanno fatto respingere «questa impronta fortemente aristotelica, basata sul concetto di sostanza» (p. 16). Ma proprio quando si apre una nuova stagione per la fisica, la relatività generale sembra reintrodurre, o conservare come scoria, una supremazia della materia attraverso la «massa», capace di curvare lo spazio e il tempo. Il matematico e filosofo inglese, allora, s’impegna a ridisegnare una teoria della relatività che tenga conto di nuovi concetti fisici, in particolare dell’«evento»; non più inteso in maniera esclusivamente temporale o spaziale o materiale, esso «deve contenere [insieme] caratterizzazioni temporali, spaziali e materiali; ma deve anche possedere una caratteristica ulteriore: deve contenere il proprio passato» (p. 21; cfr. pure p. 32).

Quindi, «la sfida di Whitehead è la seguente: come rendere conto della gravitazione partendo dalla relatività ristretta ma senza ricorrere alla curvatura variabile dello spaziotempo?». La risposta a tale quesito non è altro che la Teoria della Relatività whiteheadiana (cfr. p. 22), debitrice in primo luogo degli studi di Minkowski sulla struttura spaziotemporale, la quale, suggerisce Bramè, non nega che «due palline, per urtarsi, debbano venire in contatto. Semplicemente [prevede] che il concetto di simultaneità, per esempio, [subisca] una trasformazione radicale» (p. 24).

Dopo alcune pagine dedicate al chiarimento degli aspetti matematici della teoria (cfr. pp. 31-42), il curatore torna brevemente sul più importante tema metafisico che sta a fondamento della relatività whiteheadiana: il rapporto soggetto-oggetto nel “fluire” dell’evento, nella «prensione», caratterizza la realtà in senso “storico” perché «in linea di massima non è possibile […] isolare un evento dal suo sviluppo e dalla rete di relazioni passate che hanno portato ad esso» (p. 44).

A seguire si da conto delle “fortune” della teoria di Whitehead: dallo stupore iniziale (1920) e dalla sostanziale «bocciatura» di Einstein, si passa all’interesse di Eddington (1924) e alle prime problematiche interpretazioni di Temple (1924) e Band (1929). Poi cala il silenzio, probabilmente causato dalla «inutilità» di una teoria che si poneva in competizione con un'altra senza “falsificarla” in modo deciso e, soprattutto, non andava «a colmare alcuna lacuna sperimentale»; requisito necessario nelle descrizioni della dinamica scientifica fatte da Kuhn o Lakatos (cfr. pp. 45-51). All’inizio degli anni 50’ ritorna un timido interesse (Synge, 1951) che si prolunga fino a tempi recentissimi. Con rare eccezioni, si è cercato di corroborare la relatività einsteiniana attraverso la falsificazione delle ipotesi alternative, in primo luogo quelle di Whitehead (cfr. pp. 55 e ss.). Nonostante la “corroborazione” popperiana non prevedesse quest’articolazione, si è di volta in volta segnalata una “falla” nella teoria whiteheadiana, un suo disaccordo rispetto a misurazioni sempre più precise di qualche fenomeno fisico o cosmologico; si sono pure espresse fondate repliche rispetto a queste osservazioni ecc. ecc. Ma, al di là delle dispute, ben esposte da un breve saggio introduttivo di Thomas M. Müller (vd. pp. 59-69), non solo “non cala il sipario” sulle indagini scientifiche intorno all’argomento, ma l’aspetto forse più interessante di quanto esposto dall’inglese, quello metafisico-filosofico, resta ben vivo e fecondo.

L’opera di Whitehead, segnalavo, si compone di tre parti ben distinte (cfr. pp. 83-85): la prima tratta dei Principi generali, la seconda delle Applicazioni fisiche e la terza, infine, presenta una Teoria elementare dei tensori. L’attenzione del lettore sprovvisto di una più che solida preparazione fisico-matematica, finirà per ricadere quasi esclusivamente sulla prima, quella filosoficamente più densa. Non per questo ne risulterà una comprensione insufficiente, anzi, per quanto osservato in precedenza, potrà intendere i fondamenti epistemologici che hanno dato origine a soluzioni matematiche e modelli fisici diversi rispetto alla relatività einsteniana.

Innanzitutto, Whitehead si preoccupa di definire come la riflessione filosofica può essere utile alla scienza: è grazie al fatto che «la filosofia della scienza differisce da qualsiasi altra scienza naturale specifica [perché] essa è scienza naturale a un livello precedente la suddivisione in varie branche. […] Sarà critica, correttiva e – è il nostro caso – fonte ulteriore di corroborazioni nei periodo in cui si vanno a ridefinire le fondamenta concettuali» (p. 91). E ancora, «trascurare la filosofia quando si è impegnati nella riformulazione delle idee equivale ad assumere come assoluta la correttezza di alcuni pregiudizi filosofici […]. La verità è che i concetti di cui disponiamo dipendono pur sempre dalla nostra filosofia di appartenenza» (ibidem) e si deve essere pronti a risalire alla genesi pure dei concetti fisici quando questi non soddisfano pienamente; ciò è possibile solo attraverso uno “sguardo” filosofico. Proprio quello che, ad esempio, l’inglese adotta riguardo all’idea di spaziotempo, intendendo l’«evento» come qualcosa d’intimamente connesso alle condizioni di contorno, al contesto «storico»; inserito in un fluire che è storia e non isolato al modo dell’«istantaneità» (cfr. p. 92). Attraverso questa via recupera pure il concetto di impetus, precisato in modo totalmente nuovo, non come forza misteriosa, ma come l’insieme delle condizioni fisiche (ad es. massa, velocità e posizione di un corpo) e storiche (ad es. la zona di provenienza del corpo, le interazioni ecc.) che determinano un certo comportamento dell’oggetto in questione. L’elemento di novità è rappresentato, in questo caso, dal «principio secondo il quale il flusso temporale è essenziale alla concreta realtà della natura» (p. 94).

La natura ha come peculiare caratteristica la «relazionalità». Essa è un insieme di «fatti» formati a loro volta da «fattori» intessuti tra loro: «il fatto entra nella coscienza in un modo tutto suo. Non è la somma dei fattori; è piuttosto la concretezza (o l’essere incorporati) dei fattori, è la concretezza di una inesauribile relazionalità tra inesauribili relata» (p. 98). Mostrando una non comune inclinazione teoretica, l’inglese spiega come la mente prende coscienza dei fatti. Nel considerare una cosa è imprescindibile la relazionalità tra i fattori che la caratterizzano: «Ogni fattore, in virtù del suo stato di limitazione all’interno della totalità, si relaziona necessariamente ai fattori di totalità che sono altro rispetto a se stesso» (p. 100). Col che, anche se Whitehead non ne fa menzione, si approda su posizioni filosofiche hegeliane; le stesse che, ad esempio, echeggiano quando considera come «non esiste un evento isolato. Ogni evento essenzialmente significa l’intera struttura» (p. 106). È nuovamente “hegeliano” nel giudicare la natura «un divenire di eventi reciprocamente significanti in modo da formare una struttura sistematica» (p. 103). Come Hegel, si guarda bene da alcune “derive” idealiste, non pensando di poter fare a meno del mondo esterno; così come non si abbandona ad un ingenuo oggettivismo, ritenendo essenziale il ruolo del soggetto in ambito conoscitivo: «Se noi propendiamo per adottare l’universo fisico, noi non possiamo trovare nemmeno un briciolo di evidenza riferito ad esso, dal momento che tutto ciò che appare alla coscienza viene spiegato come esistente nella mente dell’osservatore; mentre, se ci rivolgiamo al modello concettuale, dobbiamo tenere presente che questo è anche il modello per la coscienza stessa. In questo modo, qualsiasi scelta facciamo, non ci sarà un briciolo di evidenza per nient’altro che non sia il ruolo dell’immediata coscienza. Così, come altra alternativa, rimane solo il solipsismo, e molto poco di esso» (p. 107). Sembra emergere con forza la necessità dell’attività mediatrice della coscienza per la comprensione del processo; un’attività che in ambito scientifico si traduce nell’«esaminare la sfera della contingenza scoprendo gli aggettivi degli eventi in modo che il mondo apparente del futuro sia il risultato del mondo apparente del passato» (p. 108).

Ma qual è la struttura degli eventi? Quale il loro “tessuto”? La risposta viene schematizzata da Whitehead in forma grafica (vd. p. 110) e tiene in considerazione il «percorso storico», passato e futuro, dell’evento che si manifesta. Non è facile descriverla in dettaglio, ma i fondamenti e gli esiti filosofici della posizione del matematico e filosofo inglese sono da lui riassunti in questo modo: «Questa linea di pensiero, che soppianta le “cose” con gli “eventi”, e concepisce gli eventi come implicanti il processo e l’estensione, e le qualità contingenti come preminenti relata della relazione d’ingresso, è una sorta di ritorno delle posizioni di Cartesio - con una differenza. Cartesio […] dissociava completamente lo spazio dal tempo. Egli assegnava l’estensione allo spazio e il processo al tempo. […] Secondo Cartesio, l’“estensione” è un estratto del più concreto concetto di “cosa” […], considera la cosa come separabile dal concetto di “processo”, di modo che la cosa realizza pienamente se stessa ad un istante, senza durata […]. Ora riscriviamo questa spiegazione cartesiana dello spazio, sostituendo gli “eventi” (che comprendono il “processo”) alle “cose” (che hanno perso il “processo”)» (pp. 115-116).

Dal terzo capitolo (pp. 117-133) in poi, Whitehead comincia ad esporre specificamente la sua teoria della relatività. Definisce la misurazione a partire dal concetto d’uguaglianza; insiste sul fatto che non sono i corpi materiali a determinare lo spazio e il tempo; infatti, l’istante o il punto non rappresentano i dati ultimi della nostra percezione, bensì «la misurazione presuppone il percepire l’atto del coincidere rispetto a una qualità». Quando le qualità coincidono in ambito spaziale e temporale si può parlare di «evento»; «in altre parole […] sono gli eventi ad essere congruenti e […] la congruenza spaziale e temporale è semplicemente un caso speciale di questa congruenza fondamentale» (p. 131).

Il quarto capitolo (pp. 134-156) sintetizza alcune tematiche affrontate in precedenza (ad es. il nostro modo “relazionale” e “qualitativo” di conoscere) e ne suggerisce altre: l’assenza della possibilità di osservazione diretta nella fisica quantistica; la differenza fra percorso «spaziale» e percorso «storico», il primo riguardante tempo e spazio pensati in modo classico, “assoluto”, il secondo tale che «due suoi eventi-particella non sono mai simultanei rispetto a un qualsiasi sistema temporale» (p. 139); la definizione di “oggetto” come «qualcosa in più del suo colore, qualcosa in più delle esperienze tattili che dà». Si tratta di un fattore intrinsecamente storico che condiziona l’apparenza ed è - in quanto “oggettivato” - «in gran parte indipendente dalla sua relazionalità verso gli altri fatti contingenti» (p. 143). Isolandolo così, otteniamo proprio l’oggetto materiale della scienza moderna, la cui sempre maggiore precisazione ha portato, secondo Whitehead, all’atomismo.

Passando attraverso le formule metriche dello spazio euclideo, uguali a quelle della relatività speciale fatta eccezione per il modo di intendere la costante c (velocità della luce secondo Einstein, «il fatto che un lasso di tempo e un segmento percorso spaziale possono essere congruenti l’uno con l’altro» per l’inglese. Cfr. p. 145), l’Autore coglie l’occasione per operare un fugace confronto con la teoria einsteiniana: le equazioni differenziali della relatività hanno lo svantaggio di essere difficilmente risolvibili, di essere non-lineari e di descrivere qualcosa in meno delle sue. Nel trattare la gravitazione, poi, Einstein avrebbe «reso la rotazione un vero mistero. La terra si gonfia all’altezza dell’equatore per effetto delle stelle lontane?» (p. 156). Nonostante le critiche, ammette di considerarlo con ammirazione, perché il suo «colpo di genio» sull’assimilazione di tempo e spazio sta a presupposto della propria visione; «tuttavia, - aggiunge - l’omaggio peggiore che possiamo offrire al genio è accettarne acriticamente le formulazioni di verità» (ibidem).

La seconda parte del volume offre una serie di «applicazioni fisiche» della teoria. Allo scopo di articolare e avvalorare il più possibile la sua relatività, Whitehead elabora in modo elegante ed essenziale la trattazione matematica di alcuni noti fenomeni e teorie fisiche: Le equazioni del moto (pp. 159-161), la formula per DJ2 (pp. 162-170), i campi gravitazionali permanenti (pp. 171-172), la massa apparente e lo spostamento spettrale (pp. 173-176), le equazioni elettromagnetiche (pp. 177-178), la gravitazione e le onde luminose (pp. 179-182), gli effetti della temperatura sulle forze gravitazionali (pp. 183-185), il potenziale elettrostatico e lo spostamento spettrale (pp. 186-188), l’effetto di bordo (pp. 189-192), le direzioni permanenti della vibrazione e l’effetto di doppietto (pp. 193-198), i campi elettromagnetici stabili (pp. 199-203), il moto della luna (pp. 204-209).

La terza parte (Teoria elementare dei tensori, pp. 213-270), infine, presenta una rielaborazione della teoria dei tensori, strumenti matematici di largo impiego in fisica (un tensore, in fisica, è un oggetto molto generale, definito intrinsecamente a partire da uno spazio vettoriale V, che può essere ad esempio lo spazio euclideo tridimensionale, oppure lo spaziotempo quadri-dimensionale, e non dipende da un particolare sistema di riferimento), essenziali nella teoria della relatività.

Ora, se è indispensabile per una qualunque teoria fisica che avanzi pretese di legittimità, una più o meno complessa formulazione matematica, quella di Whitehead non fa certo eccezione, ma non è in questa sede che si può tentarne la puntuale disamina.

Ad ogni buon conto, lo stesso Whitehead riconosce nella “dinamica” della sua teoria (ma il discorso sembra potersi estendere ad ogni “contesto della scoperta”) una “priorità genetica” al “concettuale” più che alla matematica, caratterizzando di fatto quest’ultima in modo strumentale: «Non ci può essere una vera scienza fisica - scrive - che guardi per prima cosa alla matematica per ottenere un modello concettuale. Una tale procedura coinciderebbe col ripetere gli errori dei logici del medioevo» (p. 116).


Indice

Prefazione del curatore 
“Una spina nel fianco di Einstein”: la relatività dimenticata di M. V. Bramè 
La relatività di Whitehead oggi: il sipario che non cala di T. M. Müller 
Nota bio-bibliografica 
Il principio della relatività 
Prefazione 
PRIMA PARTE: PRINCIPI GENERALI 
Spiegazioni preliminari 
La relazionalità della natura 
Uguaglianza 
Alcuni principi di scienza fisica 
SECONDA PARTE: APPLICAZIONI FISICHE 
Le equazioni del moto 
La formula per DJ2 
Campi gravitazionali permanenti 
La massa apparente e lo spostamento spettrale 
Il moto planetario 
Le equazioni elettromagnetiche 
La gravitazione e le onde luminose 
Effetti della temperatura sulle forze gravitazionali 
Il potenziale elettrostatico e lo spostamento spettrale 
L’effetto di bordo 
Le direzioni permanenti della vibrazione e l’effetto di doppietto 
Campi elettromagnetici stabili 
Il moto della luna 
TERZA PARTE: TEORIA ELEMENTARE DEI TENSORI 
Nozioni fondamentali 
Proprietà fondamentali 
Il processo di riduzione 
Tensori del secondo ordine 
I tensori galileiani 
La differenziazione dei componenti di un tensore 
Alcuni tensori importanti


L'autore

Alfred North Whitehead nacque a Rumsgate, in Inghilterra, nel 1861. Fu maestro di Bertrand Russell col quale pubblicò i Principia Matematica. Tale opera gli diede ampia notorietà in campo matematico, al quale si dedicò per sessant’anni della sua vita. In seguito, s’inserì nel dibattito filosofico-epistemologico che fece seguito alla teoria della relatività di Einstein, arrivando ad elaborare un’originalissima “metafisica processuale” che gli valse, tra l’altro, la cattedra di filosofia presso l’università di Harvard. Morì nel 1947.

Il curatore

Mario Valentino Bramè è nato a Vigevano nel 1973. Ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia della scienza presso l’università di Genova. Attualmente collabora con le università di Milano e Genova. Ha pubblicato Di che cosa è fatto il mondo? Viaggio nella metafisica da Talete alle stringhe (Milano 2007).

Links


http://www-groups.dcs.st-and.ac.uk/~history/Mathematicians/Whitehead.html Biografia e altre risorse su Whitehead in lingua inglese dell’Università di St. Andrews (UK)

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