lunedì 8 settembre 2008

Invitto, Giovanni (a cura di), Bergson, L’évolution créatrice e il problema religioso.

Milano, Mimesis, 2007, pp. 130, € 13,00, ISBN 9788884836076.

Recensione di Mario Tanga - 8/09/2008

Filosofia della religione, Storia della filosofia (contemporanea)

Con i suoi otto contributi, di cui due in francese, il libro si presenta come uno studio articolato e approfondito della filosofia bergsoniana, raggiungendone molti temi cardine: Dio, il tempo, la libertà, l’esperienza mistica, l’élan vital, l’amore... Tali relazioni, presentate al Convegno Internazionale su “L’Évolution créatrice e il problema religioso” (Lecce, Maggio 2007, in occasione del centenario dell’edizione dell’opera fondamentale di Bergson), sono eterogenee per contenuti e stile, ma sinergiche nel definire le tematiche.
Si coglie una dimensione trasversale ad altre opere bergsoniane. Gli autori vanno ad attingere ad altri studi (più o meno contemporanei a Bergson), alcuni dei quali inediti, che costituiscono un filtro illuminante e significativo, a riprova di una strategia di indagine efficace e feconda.
Nel pur ricco panorama editoriale di studi dedicati al grande filosofo, questo libro può considerarsi un contributo non ridondante né scontato per chi, già conoscendo Bergson, volesse approfondirlo.
Più utile è adesso rivolgersi ai singoli contributi.
1. Arcoleo attinge ai “Quaderni” di E. Cotton: le lezioni tenute da Bergson al Liceo di Clermont Ferrand nel 1887/88, che si richiamano a L’évolution créatrice e a Les deux sources, per far emergere con chiarezza il carattere originale della posizione di Bergson, in opposizione tanto al finalismo classico che al meccanicismo, di cui era tacciato l’evoluzionismo. La “terza via” indicata da Bergson, che finisce per scontentare tutti, è l’élan vital, derivante da una coscienza che è fonte e autrice dell’atto creativo. L’accesso a tale coscienza (così come all’amore, con cui Dio si identifica) può essere elettivamente intrapreso con l’intuizione piuttosto che con l’intelligenza, facoltà che non si escludono a vicenda, ma mai in continuità: “Intuition et intelligence représentent deux directions opposées du travail conscient…” (L’évolution créatrice, Edition du centenarie, PUF, Paris, 2001, pp. 720-721). La ricerca di Bergson si muove su due fronti tra i quali tesse correlazioni originali e inedite, quello della scienza e quello di una spiritualità religiosa e soprattutto mistica. Il terreno su cui si gioca questa intersezione è tutt’oggi turbolento, e all’epoca lo era ancor di più: a meno di cinquant’anni dall’uscita di The Origin of Species di Darwin, il problema della vita, della sua origine, della sua storia infiammava gli animi di tutti, indipendentemente dalla posizione assunta. Il titolo stesso, Évolution créatrice, suona come un ossimoro, più provocatorio che conciliatore. Tutto si dispiega, tutto accade e tutto si rivela, per Bergson, nella durata, nell’estensione temporale che dà senso alla vita e alla vita dell’uomo, che contiene il movimento, la trasformazione, gli eventi. E l’estensione temporale non è la semplice dimensione cronometrica, oggettiva, ma la continuità del tempo, sostanziata, più che dagli avvenimenti connessi causalmente, dalla coscienza, in cui convivono e si confrontano il passato come ricordo e il futuro come attesa. La stessa creazione non è istantanea, ma si dispiega nel tempo, nel continuo accadere delle vicende evolutive, nelle quali è presente la provvidenza. Bergson tuttavia rifiuta ogni semplice sincretismo, ogni sbrigativo riduzionismo: la dimensione psichica rimane irriducibile a quella fisiologica e Dio, pur inserito nel flusso del tempo e del divenire, non coincide panteisticamente con il mondo.
2. Forcina, oltre ad offrire una estesa bibliografia, si sofferma sui rapporti tra Bergson e Péguy e sui loro riferimenti alla politica. Il concetto di “società aperta”, del primo Bergson, viene posto in luce non solo per la risonanza che avrà in Popper, Kylimka, Balibar e Bobbio, ma anche per la portata delle sue implicazioni, ancora di straordinaria attualità, di rifiuto dei totalitarismi, degli individualismi e degli “-ismi” in genere, ivi compresa ogni forma di ipostatizzazione e rigidità strutturale e istituzionale. Idee che risuonano nella “città armoniosa” di Péguy, luogo ideale in cui tutti, indipendentemente non solo dall’appartenenza etnica ma anche da quella di specie (il discorso si allarga agli animali), avrebbero dovuto trovare cittadinanza.
3. Armogathe ricostruisce la messa all’indice (grazie all’apertura dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, avvenuta solo nel 1998), nello stesso anno (1914), di ben tre opere di Bergson: Essai sur les données immédiate, Matière et mémoire, L’évolution créatrice, e il ruolo che in ciò hanno svolto Farges e Maritain, contrapponendo al pensiero di Bergson la filosofia scolastica tradizionale. Armogathe si addentra nei motivi del provvedimento: l’attacco che le teorie di Bergson avrebbero portato a tre dogmi, la personalità di Dio, l’unione sostanziale di anima e corpo e la libertà umana. La singolare posizione di Bergson, anche se pare sedurre i cattolici, alla fine si fa tutti nemici, le parti radical, l’action française, le parti dévot. Dal canto suo Bergson avversava tanto il materialismo quanto l’idealismo. Chi lo criticava gli rimproverava di proporre un evoluzionismo che annienta la verità, un panteismo ateo e il bestemmiare l’intelligenza in nome di facoltà alternative a questa. Ma chi ha studiato Bergson senza l’acredine di partigianerie ha riconosciuto la difficoltà di collocarlo in “schieramenti” ideologici e culturali consolidati, nonché la complessità del suo pensiero che trova fondamento nel monismo evoluzionista, nei concetti di intuizione e durata e nell’irriducibile opposizione tra soggetto e oggetto.
4. Worms sottolinea il carattere diveniente della creazione e di Dio che è anche, al tempo stesso, amore e oggetto d’amore, visione che sostanzia il misticismo bergsoniano. Worms puntualizza che la sua ricerca non è votata al Dio di Bergson, ma al significato di Dio nella filosofia di Bergson. Per fare questo Worms si rifà all’Évolution e a Les deux sources, in cui emerge lo studio della vita, la verifica della creazione reale, colta nel suo farsi, e il suo principio, ovvero Dio, il quale viene negato come principio logico e atemporale, come essere (mentre è piuttosto qualcosa che “viene all’essere”), come esterno al contesto umano. Dio non solo è in relazione e contatto con l’uomo, ma a quest’ultimo è legato a doppio filo, cioè da un bisogno reciproco. Altra questione fondamentale messa a fuoco è quella del rapporto tra amore e vita: è il primo che implica e spiega la seconda, e non viceversa.
5. Belgioioso ci presenta il Bergson visto da Gouthier e ci illustra come quest'ultimo voglia scrivere, attraverso Bergson, un capitolo della storia del sentimento religioso in Francia. Nel fare questo Gouthier individua i tratti fondamentali del pensiero bergsoniano nel credito che Bergson concede alla scienza (almeno a un certo modo di fare scienza), nella filosofia della natura e nell’atto creatore. Ma il tratto forse più significativo dell’interpretazione goutheriana di Bergson è il rilevarvi la compresenza di due culture, quella greco-latina e quella giudaico-cristiana. L’atto di creazione è tipico piuttosto della seconda, ma Bergson lo “trapianterebbe” nella prima, facendo coincidere la creazione stessa con la catena causale fisica e psichica.
6. Meschini analizza lo stretto rapporto tra Bergson e Theilard de Chardin. Di Bergson, Theilard lancia pubblicamente termini come noosphere e hominization. Il confronto tra i due autori verte però soprattutto su tre termini: l’intuizione come fondamentale organo di conoscenza, l’evoluzione come categoria dell’essere e la personalizzazione come direzione dell’evoluzione. Theilard per coglierne le profonde implicazioni risale fino a Descartes, che ha inaugurato una stagione filosofica e una linea francese di filosofia dando preminenza all’intuizione e alla meditazione (soggettive e individuali), rompendo con la tradizione (aristotelica e scolastica) che invece privilegiava il sillogismo, formale ed oggettivo, la cui sede elettiva di pratica era la “scuola”. Tale contrapposizione sfocia inevitabilmente nel problema dello scollamento tra l’intuizione e la sua formalizzazione oggettiva. Si pone perciò la questione di andare oltre il libro, verso l’autore (per risalire alla fonte intuitiva del concetto formalizzato nella scrittura), ma così facendo si corre il rischio di un biografismo fuorviante…
7. Invitto, per quanto riguarda il rapporto soggetto-oggetto, prende in considerazione i rapporti tra Bergson e molti considerevoli protagonisti della cultura del Novecento (Maritain, Sartre, Deleuze, Mounier…), ma in primo luogo quello con Merleau-Ponty. Nonostante la posizione di quest’ultimo, imperniata sulla reciprocità dialettica e interscambiabilità tra soggetto e oggetto, si collochi all’opposto di quella di Bergson, è tuttavia possibile ravvisare legami tra la percezione di Merleau-Ponty e l’intuizione di Bergson, così come tra l’ontologia del primo e la cosmo-teologia del secondo.
Il “chiasma”, per Bergson, è casomai tra l’uomo e Dio: l’uno ha bisogno dell’altro e viceversa. L’uomo ha una coscienza che fa parte della dimensione cosmica (la coscienza è “comme une substance éparse dans l’univers”, Merleau-Ponty, Éloge de la philisophie et autres essais, Gallimard, Paris, 1989, p. 19) ed inoltre il nostro rapporto con il vero passa attraverso gli altri. Seppure nell’organismo individuale la coscienza si enuclei come entità individuale, questo anelito a una dimensione esterna, umana e divina (l’uomo non deriva da Dio ma tende a Dio), resta. Il Dio di Bergson, secondo Merleau-Ponty, è elemento di gioia e elemento di amore nel senso in cui acqua e fuoco sono elementi della natura.
Troviamo poi i temi del male (che in Bergson è e rimane un problema) e della dimensione mistica, di cui coglie il senso profondo e il prescindere da qualsiasi religione specifica, compresa quella cristiana: “L’espérience mystique est ce qu’il reste de l’unité primordiale, qui s’est brisée quand la chose créée est apparue par ‘simple arrêt’ de l’effort créateur” (Merleau-Ponty, Bergson se faisant, in Éloge de la philisophie et autres essais, cit., p. 304).
8. Lestingi, più degli altri, affronta il tema del misticismo bergsoniano. Dopo aver individuato altri temi (tempo, origine della religione, rapporto tra istinto e intelligenza, società, funzione dell’educazione…) e rifacendosi soprattutto a Les deux sources, entra nel significato profondo che l’esperienza mistica aveva per Bergson. Risalendo ai legami con il mistero per eccellenza, la creazione, azione continua di Dio in cui si dispiega l’élan vital, trascendendo il significato greco originario (soprattutto legato a pratiche iniziatiche) e la dimensione puramente contemplativa di Plotino, Bergson propone un misticismo che riunisce contemplazione e azione, che non rifugge la vita e il mondo (come nell’induismo e nel buddismo), ma li affronta, se necessario anche contro l’istituzione, incarnando senza compromessi i principi morali che da dentro, come un fuoco, un daimon ispiratore, guidano il mistico. Socrate è un perfetto esempio di tale virtù mistica. L’aretè ha un primato sul nomos. Inutile dirlo, tale visione bergsoniana scontenta tutti, laici e credenti.
Il ritratto di Bergson che esce da questi studi sull’Évolution ben rende conto della originalità di quest’opera e della particolare posizione che occupa nel panorama ad essa contemporaneo.
Se infatti da un lato si colloca nel generale movimento antipositivista che attraversa l’Europa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dall’altro mostra tratti che lo rendono unico e decisamente atipico. La rivendicazione soggettivistica della dimensione temporale lo correla alla letteratura di Proust e Joice e il ruolo preminente accordato all’intuizione lo avvicina alla “comprensione” diltheyiana (sebbene in una prospettiva teorica più ampia, in un contesto di metafisica vitalistica assente in Dilthey), la concezione della morale e della religione (almeno di una “certa” religione…) lo avvicina invece a Freud (dal quale peraltro si differenzia nettamente proponendo una sua visione della morale assoluta e dell’esperienza mistica), mentre la continuità (del tempo, ovvero il concetto di durata) e l’energia che attraversano il mondo della vita (non solo i riferimenti alla noosfera) fanno risentire in Bergson persino echi del cosmismo russo.

Indice

Le lezioni di Bergson al liceo di Clermont-Ferrand (1887-1888) nei “quaderni” di E. Cotton, di Santo Arcoleo
Echi politici del rapporto tra Péguy e Bergson, di Marisa Forcina
La mise à l’index de l’Évolution créatrice (1914), di Jean-Robert Armogathe
Dieu dans la philosophie de Bergson, di Frédéric Worms
Un momento della Historie philosophique du sentiment religieux, il Bergson di Gouhier, di Giulia Belgioioso
Bergson e Teilard de Chardin, per una storia della vita filosofica, paginette stravaganti, di Franco Meschini
Merleau-Ponty interprete di Bergson, il problema di Dio. materiali per una rilettura, di Giovanni Invitto
Bergson e il misticismo. riflessioni su Les deux sources, di Leo Lestingi
Gli autori


Il curatore

Giovanni Invitto è ordinario di Filosofia Teoretica presso la Facoltà di Scienze delle Formazione dell’Università di Lecce, di cui è preside e dove insegna anche Estetica. I suoi interessi scientifici riguardano soprattutto il pensiero del ‘900 europeo (in particolare, l’esistenzialismo francese con Sartre e Merleau-Ponty). Suoi scritti sono stati tradotti o pubblicati in Francia, Belgio, Brasile, Spagna, U.S.A. Nel 1987 ha fondato il quadrimestrale di filosofia “Segni e comprensione”, che ancora dirige. Dal 1983 al 1987 ha presieduto l’Opera Universitaria di Lecce.

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