Recensione di Rolando Ruggeri – 30/10/2008
Antropologia – Religione - Filosofia
Il testo è una raccolta di saggi pubblicati dell’autore in varie riviste e volumi miscellanei. La trattazione produce un discorso spirituale, antropologico ma anche logico, sull’uomo, l’essere che trova senso nella sua contraddittorietà e dà senso a ciò che lo circonda. Il sorriso dell’uomo è il disvelamento di una identità profonda che i saggi tentano, con successo, di tracciare.
Nel primo saggio, “La dignità del sorriso secondo Helmuth Plessner”, l’autore mostra la cifra antropologica del pensiero di Plessner. L’uomo, con il peccato, è caduto sulla terra, ha abbandonato uno stato di protezione per lanciarsi nella vita. La simbologia dell’albero richiama qualcosa da cui si precipita, “cadere dall’albero vuol dire perdere la propria casa, rinunciare all’Eden per ricostruirselo” (p. 19). Plessner trova nella limitatezza propria dell’uomo quella spinta che serve a uno slancio più alto, più spirituale. La libertà umana sta nell’emanciparsi da una condizione di carenza, nel riuscire a superare il proprio stato di “emigrante” costretto a crearsi una patria per far fronte alla propria instabilità.
La scintilla spirituale dell’uomo sta proprio nel suo essere duplice, nella sua tensione tra ciò che è e ciò che vorrebbe-potrebbe-dovrebbe diventare. Non è la dicotomia shakespeariana essere o non essere, ma una fusione di essere e non essere, consapevolezza della propria contraddittorietà. Contraddizione e polisemicità non solo come sostanza, ma anche come forma, laddove lo slancio per il salto spirituale viene proprio dall’imitazione. Da quel “mettersi nei panni altrui […] per fuoriuscire in direzione dell’altro” (p. 28). Centrale in questo processo è il riconoscimento della figura di Cristo, quale termine medio tra uomo e Dio.
Ancora la tensione è al centro del secondo saggio, “La natura polare dell’uomo in Romano Guardini”. L’autore, sulla scorta del filosofo e teologo italo-tedesco, sottolinea la natura oppositiva dell’essere umano; l’“opposizione polare” è una continua tensione tra un punto interno e un punto esterno all’uomo stesso, un irrisolto e irrisolvibile contrasto tra forza centrifuga e forza centripeta. L’uomo ondeggia tra la rassicurante protezione dell’“interno” e la voglia di perdersi nell’altro, nel diverso, nel vuoto. Tensione impressa, oltre che nella carne (e nella mente) dell’uomo singolo, anche nei popoli. Guardini delinea un atteggiamento tipico di tutti i popoli: antichi e moderni, nordici e mediterranei, tutto si legge alla luce di questa irrisolta tensione che rischia di segregare o annichilire, di perdersi in se stessi o perdersi negli altri. Ma è questa tensione che permette anche l’incontro con Dio. L’uomo filtra la chiamata di Dio dentro sé, per comprendersi e trascendersi allo stesso tempo. Tolone insiste, accompagnato dagli autori citati, sulla peculiarità tutta umana di questa duplicità; il filo conduttore dell’opera, meditato nei diversi saggi e dai diversi pensatori presi in esame, è lo slancio tutto umano verso i poli dello spirito, uno interno a sé e l’altro al di fuori di sé.
Anche il terzo saggio, “Eccentricità e naufragio”, individua nella capacità di “decentrarsi” la differenza dell’animale uomo dall’essere vivente in senso generale. Il bisogno di “trascendere continuamente la propria posizione” (p. 60) è ciò che fa dell’uomo un essere utopico, un essere che però deve saper tornare in sé. “Bisogna perdere il mondo, ma per riconquistarlo, badando bene, in questo processo, a non smarrire del tutto le coordinate di partenza, altrimenti si rischia di andare incontro a una totale perdita d’identità” (p. 64). Occorre allora cercare di non smarrirsi: la potenzialità all’apertura è anche il rischio della totale perdita dell’identità, del naufragio, pericolo quanto mai attuale.
“Mito e morte nell’antropologia di Plessner”, il quarto saggio presentato nel testo, esamina il tema della morte e del mito che ruota attorno a esso. Vera mortalità non è soltanto cessazione della vita, ma rilettura del proprio orizzonte esistenziale alla luce della consapevolezza della morte. Il sapere di morire solleva l’umanità da un’esistenza ciclica, in cui sono racchiuse le culture mitiche, per proiettarla in una tensione che va da un momento iniziale a un momento finale. La storia lineare, possibile grazie alla storicità della rivelazione cristiana, permette di creare un futuro che non coincide più con un “già vissuto” ma è qualcosa di nuovo, più libero, anche se più precario. Ma qual è la fede nel futuro? “La posthistoire. Gehlen e la fine della storia”, il quinto saggio del libro, riconosce la “fede nel progresso” quale il corrispondente secolarizzato della speranza di salvazione; l’uomo ripone della tecnologia il bisogno di redenzione (e di tensione a qualcosa fuori di lui) che non può fare a meno di sentire. La società si fa tecnologizzata ma non sfugge al rischio di perdita di senso che i saggi precedenti ci hanno mostrato. Il concetto di posthistoire abbraccia proprio lo svuotamento di senso della fede nel progresso, un secondo grado di secolarizzazione, che degrada a routine ciò che si credeva avesse di salvifico il mondo tecnologizzato. Si assiste a un livellamento culturale che spinge la storia in un vicolo cieco ed è preludio per la sua fine. L’ottimismo di Plessner non si ritrova nel pensiero di Gehlen, la standardizzazione mina alle fondamenta le istituzioni della società, di ogni società che, non riuscendo più a proteggere se stessa, si perde all’interno del magma globalizzato e indifferenziato proposto dalla nuova cultura. Che resta quindi delle istituzioni? Che resta, ad esempio, della nostra Europa? Tolone non lascia cadere nel vuoto la domanda. Il saggio successivo si intitola “L’Europa tra Husserl e Plessner”. All’Europa viene riconosciuta un’identità che non è stata mai coesa, un’unità che in realtà non si ritrovava, se non a parole. Prima attraverso il pensiero di Plessner e poi quello di Husserl, l’Europa viene letta con occhio acuto e critico, mostrando quello che rappresenta per la cultura mondiale e quello che perde nel contatto con il mondo.
Gli ultimi due saggi riguardano il pensiero di Bernhard Welte, “Libertà e ontologia in Bernhard Welte” mostra la capacità unicamente umana di assentire alle proprie azioni, l’impossibilità dell’uomo di ridursi a semplice meccanismo. Nella libertà umana, che è fondata sulla facoltà di aprirsi all’altro da sé, troviamo la piega entro la quale si realizza la scelta dell’allontanamento. La capacità di trascendere è, come già si è visto, capacità di perdere se stessi, di dire no agli altri e a Dio. Legato al tema della libertà e della trascendenza è l’ultimo saggio, “Welte e l’epocalità della fede”, in cui l’autore ci mostra il legame indissolubile tra rivelazione e storicità. La storia, resa possibile dalla presenza dell’uomo, è la culla entro la quale la rivelazione può manifestarsi. Il messaggio di Dio si fa storia e viene inserito nel sentire di un’epoca, letto attraverso i canoni culturali; è nella “comprensione dell’essere” che tutto acquista senso ed è proprio tenendo fermo il concetto di lettura epocale che la rivelazione può essere letta, in ogni epoca, come un fatto nuovo, sempre presente. Così la Rivelazione stessa, comunemente intesa quale unico e immutabile lascito, viene a essere interpretata in modo diverso a seconda delle varie epoche, entrando a far parte anch’essa, come l’uomo, della tensione tra finito e infinito.
Saggi brevi ma pregni di contenuto e di interesse, non forzatamente accostati ma intimamente collegati a un interesse comune e a una idea condivisa di uomo.
Indice
Prefazione di Adriano Fabris
Introduzione
I. La dignità del sorriso secondo Helmuth Plessner
II. La natura polare dell’uomo in Romano Guardini
III. Eccentricità e naufragio
IV. Mito e morte nell’antropologia di Plessner
V. La posthistoire. Gehlen e la fine della storia
VI. L’Europa tra Husserl e Plessner
VII. Libertà e ontologia in Bernhard Welte
VIII. Welte e l’epocalità della fede
L'autore
Oreste Tolone, formatosi all’Università di Friburgo, insegna Antropologia filosofica all’Università di Chieti. Di Berhard Welte ha tradotto: Storicità e rivelazione (Lecce, 1996). Sua è la monografia su Helmuth Plessner, Homo absconditus (Napoli, 2000) e il suo volume: Bernhard Welte. Filosofia della religione per non credenti (Brescia, 2006).
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