martedì 3 febbraio 2009

Pollo, Simone, La morale della natura.

Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 192, e.Bari 2008. Un volume di uro 12,00, Isbn 78-88-420-8731-1.

Recensione di Rosangela Barcaro – 03-02-2009

Esiste un ordine naturale al quale fare riferimento per sapere ciò che è moralmente buono? Ciò che è naturale è anche buono? Questi interrogativi non sono nuovi, ma si ripropongono oggi sotto una nuova luce nel dibattito sulle questioni bioetiche poste, ad esempio, dall’ingegneria genetica, dalla procreazione medicalmente assistita, dalle decisioni di fine vita.
L’osservazione dalla quale l’autore di questo volume prende le mosse è la seguente: l’idea di natura che compare nelle discussioni etiche e filosofiche, così come nei ragionamenti di senso comune, “esercita una profonda attrazione e funziona egregiamente come strumento per convincere, in virtù dell’autorevolezza morale che sembra caratterizzarla” (p. 5). Appellarsi alla natura rende morali azioni, pratiche e istituzioni, soltanto in ragione di una loro presunta corrispondenza con un ordine o una legge della natura. Ma che cosa si intende con “natura”? Questa domanda impegna l’autore nella presentazione di una mappa concettuale dei modi in cui la nozione di natura viene presentata in ambito etico, e nell’analisi delle difficoltà e contraddizioni generate dal ricorso all’idea di natura.
Il volume di Pollo si articola in otto capitoli ed un epilogo, ed è corredato di un’utile sezione bibliografica dedicata agli approfondimenti.
In modo estremamente succinto diamo conto dei capitoli nei quali vengono articolate l’analisi e la critica all’idea di natura, per poi concederci alcune considerazioni generali. La riflessione di Pollo inizia con l’esposizione del mito del buon selvaggio (capitolo 2), un modello concettuale che ritorna nelle discussioni sui mali della civilizzazione e dello sviluppo tecnologico. Agli occhi di Pollo quello del buon selvaggio si rivela presto per quello che è: un costrutto intellettuale, elaborato per contrasto rispetto al concetto di civilizzazione, che non scaturisce da nessuna individuazione di una condizione storicamente o autenticamente reale ed originaria (p. 26) e pertanto privo di una qualsivoglia autorevolezza morale. Nel capitolo 3 Pollo riflette sulle ragioni che spingono ad appellarsi alla natura per l’elaborazione di argomenti morali nei quali la natura stessa è presentata come giustificazione per le convinzioni e le scelte morali, in quanto la natura si presenta come “orizzonte stabile”. Scrive infatti Pollo “[n]el suo essere ‘identica per tutti’, nello spazio e nel tempo, la natura sembra donare ai contenuti della morale di chi vi si affida un’oggettività molto ben fondata” (p. 40). Questa sua caratteristica soddisfa il requisito della universalità dei giudizi morali, la loro validità per tutti in tutte le circostanze e condizioni. Associata a questa posizione è la visione della natura come normalità (capitolo 4): associata alla regolarità di risposte e comportamenti degli esseri viventi, la normalità sembra essere fusa in un tutt’uno con la naturalità. Ma per Pollo ci troviamo – ancora una volta – di fronte ad una finzione; la “normalità” non è altro che una derivazione di tipo statistico ed egli sceglie per confutarla l’esempio offerto dal modello di famiglia (p. 51). Pollo ritiene irrilevante sotto il profilo morale l’osservazione che si desume dalle statistiche in base alle quali la maggioranza degli individui è nata e allevata da coppie eterosessuali, mentre soltanto una minoranza è nata e allevata da nuclei familiari differenti: i fatti ritenuti normali su questa base sono per Pollo finzioni che cercano di conservare un certo status quo.
Nel capitolo 5 l’autore presenta invece le teorie che vedono nella natura un ordine saggio che deve essere rispettato per sottrarsi alle nefaste conseguenze che gli uomini provocherebbero con la violazione di quell’ordine. Questa argomentazione compare nel dibattito contro l’impiego delle biotecnologie e delle procedure connesse alla replicazione della vita. Per impedire certi tipi di interventi manipolatori si evocano i pericoli ed i rischi sottesi alla violazione di un ordine naturale prestabilito, dotato di una finalità e saggezza intrinseche. Per Pollo è invece evidente una totale assenza di fini intrinseci alla natura, e a sostegno di questa posizione egli ricorda la teoria di Darwin relativa all’evoluzione delle specie: soltanto l’individuo più adatto di un altro sopravvive perché possiede caratteristiche vantaggiose per sé e la sua prole. “Le caratteristiche vantaggiose – sottolinea Pollo – non emergono negli individui per uno scopo. […] Le mutazioni e variazioni genetiche che alimentano il processo di selezione ed evoluzione sono casuali nel senso che sono senza scopo” (p. 67). Egli considera dunque una falsa credenza l’idea di una natura saggia sulla quale fondare argomenti e credenze morali.
Il capitolo 6 è dedicato da Pollo all’analisi ed alla critica della idea di legge naturale incorporata nel Magistero della Chiesa cattolica. Questa visione è così rapidamente riassumibile: le norme morali sono determinate dalla natura ed il modo in cui gli esseri umani sono fatti (la natura umana) determina ciò che è moralmente buono e ciò che non lo è. L’origine ultima della legge naturale è Dio, il Creatore. Esiste un progetto divino che ha stabilito un ordine che la ragione umana riconosce e da tale riconoscimento scaturisce l’obbligo morale che costituisce il cuore della legge naturale (p. 80).
La critica di Pollo prende le mosse da una constatazione: l’idea di legge naturale proposta dal Magistero poggia le proprie fondamenta su una teoria che impiega dati non empirici; ma le teorie elaborate in tale modo per l’autore sono “cattive teorie” (p. 85).
È nel capitolo 7 che Pollo stabilisce le premesse per tracciare un profilo di ciò che egli pensa caratterizzi la natura umana. Contrariamente alla teoria tomista cattolica della legge naturale, la quale ritiene che la natura umana sia immutabile dall’inizio dei tempi, Pollo si confronta con quanto emerge dai dati di fatto e sostiene che “la natura umana è un dato mutevole nel corso del tempo”; ciò è rilevante dal punto di vista etico in quanto comporta “la possibilità che le norme morali possano cambiare al mutare della natura umana stessa” (id.). La vita morale è un’esperienza umana che dipende da come gli esseri umani sono costituiti. Se per descrivere la natura umana si può fare unicamente affidamento su resoconti empirici, la vita morale potrà essere spiegata soltanto mediante questi tipi di ricostruzioni. Per Pollo questa è la cosiddetta “naturalizzazione dell’etica” (p. 93). Si possono ottenere conoscenze circa la natura umana attingendo informazioni di carattere empirico dalla biologia, dall’antropologia e dalla scienze sociali, dalla letteratura e dalle arti (p. 94).
La vita morale degli individui per Pollo si spiega alla luce di fattori evoluzionistici, e un ruolo importante è svolto dalla costituzione biologica dell’essere umano, ma ciò non determina un appiattimento della morale sulla biologia, dal momento che l’autore vede nelle motivazioni, sentimenti e ragioni individuali fattori personali che orientano l’agire morale (p. 105).
Nel capitolo 8 Pollo intende stabilire che capacità di giudizio e condotta morale vengono collegate “allo sviluppo da parte della specie Homo sapiens di determinate capacità biologiche e al loro utilizzo in determinate circostanze ambientali” (p. 108). Il fatto di essere organismi biologici con un cervello capace di pensare e sentire moralmente ancora non fornisce elementi sufficienti per stabilire se durante la propria vita il soggetto appartenente alla specie Homo sapiens svilupperà la capacità di essere un agente morale. Quali condizioni e circostanze consentono ad un soggetto di diventare agente morale? Pollo riconosce che questo è un problema ancora oggi aperto: certamente non si può prescindere dall’esistenza del cervello perché lo sviluppo di certe capacità è connesso al corpo e alla materia del soggetto stesso: “per quanta importanza si possa dare all’ambiente, senza un certo tipo di dotazione biologica non si può essere agenti morali” (p. 109). La vita morale è connessa alla vita mentale ed esiste una relazione causale tra stati cerebrali e stati mentali. Pollo cita le più recenti ricerche condotte dalle neuroscienze, le quali hanno condotto all’elaborazione di teorie sulla psicologia morale umana e il modo in cui essa è “prodotta” dal cervello. Ma pur notando che queste spiegazioni non possono bastare, perché non danno conto del libero arbitrio e della libertà del volere (p. 114), e pregiudicherebbero all’etica normativa la possibilità di mettere in discussione le convinzioni morali delle persone (p. 118), Pollo non affronta in modo approfondito il tema. Il suo interesse riguarda piuttosto i nuovi spazi che apre la naturalizzazione dell’etica ed in particolare il “valore riformatore” della naturalizzazione dell’etica che “destituisce di fondamento qualsiasi spiegazione dell’etica di natura soprannaturale e attribuisce all’evoluzione biologica degli esseri umani il ‘merito’ di avere prodotto la capacità per gli esseri umani di trovare soluzione pacifica e incruenta dei conflitti” (p. 119). D’altra parte l’autore non dimentica di ricordare che l’avere svincolato la vita morale dal timore della punizione divina “è un enorme contributo alla crescita delle capacità di autodeterminazione e di responsabilità dei singoli individui” (id.) e sottrae la risposta alla domanda su ciò che è bene e giusto “ai fantasmi di improbabili divinità e la affida ad ogni singolo essere umano e alla storia evolutiva della sua specie” (p. 120).
Nell’Epilogo Pollo prende in esame l’uso pubblico degli appelli alla natura, invocata “per individuare un criterio per decidere l’ammissibilità di nuove tecnologie o di nuovi diritti” (p. 122). Secondo l’autore è palese la problematicità dell’uso di un’idea di natura invocata per affermare o negare i diritti degli individui facenti parte di una certa società; tale uso travalica i confini personali del singolo individuo che intende adottare una certa condotta e deve essere valutato alla luce di due principi che sono “tratti costitutivi e minimali della società liberale e democratica […] la protezione della libertà individuale e l’accessibilità da parte dei cittadini agli argomenti che giustificano le politiche e le norme pubbliche di una società liberale e democratica” (p. 124). Cercare di imporre una certa norma ispirata ad una peculiare idea di natura (ad esempio quella cattolica della legge naturale), comporta la violazione di questi due principi perché non rispetta le convinzioni di quanti esprimono idee differenti ed è fondata “su un’immagine della natura umana del tutto priva di fondamento e non universalmente accessibile” (p. 128). Poiché la partecipazione democratica non si limita all’elezione dei propri rappresentanti in parlamento ma implica “la partecipazione alla comprensione del processo deliberativo e di giustificazione delle norme”, le argomentazioni a giustificazione di politiche e norme pubbliche “non possono essere di tipo esoterico e riservate a iniziati” (p. 130). Sebbene il principale obiettivo di critica sia l’idea di legge naturale proposta dalla Chiesa cattolica, Pollo ricorda brevemente altri tentativi di ricorso all’idea di natura nel dibattito pubblico e menziona la procreazione medicalmente assistita, le scelte di fine vita, il bando degli organismi geneticamente modificati.
Pollo in chiusura del proprio lavoro si chiede se sia davvero necessario fare appello alla natura e si chiede se il riconoscimento di diritti debba proprio essere sostenuto da un’idea di natura per quanto naturalizzata e plausibile sotto il profilo empirico. La sua risposta si concentra sulla non rilevanza del richiamo alla natura: “[s]e si tratta di dare riconoscimento ai diritti delle persone, ciò che conta non è la rispondenza o meno di quel riconoscimento a parametri naturali (per quanto naturalizzati). Nel contesto liberale, ciò che è meritevole di protezione e tutela sono gli interessi e le scelte degli individui. il fatto che questi siano in accordo o in contrasto con la natura non è rilevante per una società liberale e bene ordinata” (p. 132).
Può essere interessante concentrarsi su alcuni aspetti significativi dell'opera in esame. Nel fornire un approccio naturalizzato alla visione della natura umana, Pollo ha affermato che si possono ottenere conoscenze circa tale natura attingendo ad informazioni di carattere empirico dalla biologia, dall’antropologia e dalle scienze sociali, dalla letteratura e dalle arti (p. 94). Seguendo fino alle sue conseguenze estreme questo approccio, dobbiamo riconoscere che la natura umana di cui si vuole dare un resoconto è quella dell’uomo post-moderno occidentale, che vive in una società liberale e democratica alla quale si è giunti attraverso vicissitudini storiche lunghe e travagliate. Tale visione è il punto di arrivo (temporaneo) del cambiamento della concezione che l’uomo ha di se stesso, un cambiamento che si è dipanato nel trascorrere dei secoli, e che ha influito anche sul contesto nel quale oggi tutti noi viviamo. Ma questa visione non è l’unica attualmente esistente. Non solo, ma altre prima di essa hanno avuto un ruolo e, probabilmente, ciò che siamo oggi è dovuto anche al contributo di precedenti concezioni dell’idea di natura umana. Inevitabilmente, sul palcoscenico della storia l’approccio proposto da Pollo è un nuovo “interprete” che recita il suo ruolo, e porta il proprio importante contributo in un dato contesto storico.
Un altro elemento di riflessione riguarda le scelte personali dell’individuo che decide liberamente di condividere una certa visione di natura umana ed accetta le premesse sulle quali essa si fonda. Se il soggetto è autenticamente libero di compiere una scelta, può ovviamente accogliere l’idea di legge naturale proposta dal Magistero, anche se, secondo Pollo, quest’ultima poggia le proprie fondamenta su una teoria che impiega dati non empirici a sostegno della sua validità. Ma, come tutti sappiamo, le premesse di tale teoria, di natura metafisica, si sottraggono alla verifica empirica. Il vero problema, secondo il mio punto di vista, non è però questo, bensì il pensare al modo in cui orientare la vita di una società, utilizzando una teoria (non importa se quella del Magistero o un'altra) non da tutti condivisa e condivisibile in quanto basata su una propria peculiare idea di natura umana.
Se sotto il profilo personale ogni individuo è libero di “credere ciò che vuole” e di orientare la propria vita morale alla luce delle sue credenze, sotto il profilo pubblico e sociale il discorso cambia. È a questo ordine di problemi che si applicano le riflessioni di Pollo, il quale stabilisce infine che non è rilevante il ricorso a un'idea qualsivoglia di natura umana per riconoscere certi diritti agli individui. Quindi, in conclusione, se – come Pollo afferma – “ciò che è meritevole di protezione e tutela sono gli interessi e le scelte degli individui”, diventa cruciale adottare non un’idea “naturalizzata” di natura, bensì ammettere che anche coloro che accolgono un’idea “diversa” di natura possano farlo, a patto che non pretendano di imporla agli altri. Come elaborare politiche pubbliche che affrontino determinati dilemmi bioetici e regolare la convivenza di approcci e individui diversi, resta una questione aperta.

Indice

1. La tentazione della natura
2. Bontà selvaggia
3. Le ragioni della natura
4. Naturale normalità
5. Naturale saggezza, umana stoltezza
6. L’idea di legge naturale
7. Etica e biologia
8. Cervelli morali
Epilogo. La natura in una società liberale
Cos’altro leggere
Bibliografia
Ringraziamenti
L’autore
Indice degli argomenti


L'autore

Simone Pollo è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Studi filosofici ed epistemologici dell’Università «La Sapienza» di Roma.

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