Sankt Augustin, Academia Verlag, 2009, pp. 165, € 19,50, ISBN 978-3-89665-465-6.
Filosofia politica, Storia della filosofia (antica)
Il testo ha il sicuro merito di affrontare una questione di notevole interesse per la riflessione politica e morale: tocca infatti il tema della concretizzazione politica di norme e valori, degli orizzonti del dover-essere e della loro incarnazione nel mondo storico. L’intento specifico dell’autore è quello di scandagliare, tramite il vantaggioso esame dell'opera di Platone, le condizioni del collegamento possibile tra la proiezione normativa dell’ordine giusto della città, ipotizzato quale forma regolativa ottimale della città stessa, e l’ambito storico e reale della concreta esperienza umana. In tal modo, concomitanti alle analisi testuali e alla discussione di diversi dialoghi platonici, si trovano nel testo utili indicazioni intorno alla più generale questione del rapporto tra norme e fatti.
L’indagine condotta da Zuolo non si profila tanto come esame di una forma di realismo politico, quanto delle condizioni, del fondamento di realizzabilità politica di un quadro teorico normativo. L’autore sembra aver ben presente la necessità di circoscrivere con precisione il problematico ambito della propria analisi, secondo quanto egli osserva già nel primo capitolo, al fine di scansare gli equivoci e la confusione con le idee di efficienza ed effettività che il termine stesso di “efficacia” può ingenerare. Non si tratta di sondare una generica capacità di fare ascrivibile al soggetto “politico”, valutandola storicamente sulla base della maggiore o minore penetrazione di un modello ideale nel corso degli eventi e nelle forme particolari delle istituzioni. Ci si pone piuttosto dal punto di vista della stessa teoria politica, cercando di rilevare le condizioni che, al suo stesso interno, e cioè entro il piano delle strutture concettuali di una teoria normativa, ne giustificano l’eventuale capacità di attuazione, di realizzazione. La precisazione di tale assunto è in effetti necessaria per cogliere la validità dell’approccio metodologico assunto nel testo, che intende rilevare le indicazioni che Platone dà circa le risorse di autoefficacia del suo modello teorico di politica.
La disamina si articola dunque nella forma di un attraversamento critico di importanti dialoghi politici, per lo più maturi e tardi. Dopo quello introduttivo, i tre successivi capitoli del testo posano lo sguardo rispettivamente sulla Repubblica, sul Politico, sulle Leggi (effettuando passaggi anche attraverso il Timeo, l’Eutidemo, il Carmide) e, senza temere di rilevare cesure e discontinuità nel pensiero platonico, evidenziano le forme entro le quali si avvista il tema dell’efficacia della teoria politica e dell'azione dell'attore politico. Inevitabilmente, pertanto, Zuolo si porta in corrispondenza dell’incrocio tra teoria politica e teoria etica. Apprezzabile è il suo tentativo di mantenere l’equilibrio interpretativo tra questi due aspetti del pensiero platonico, senza cedere a unilaterali esclusive sottolineature di uno dei due corni implicati dal problema dell’efficacia.
E infatti è effettuata nel secondo capitolo una critica delle linee interpretative le quali tendono a sottrarre dalla lettura della Repubblica l’aspetto politico, il suo legame a quello etico, o che, come nel caso di Leo Strauss, ne sottolineano il carattere addirittura impolitico, negatorio nei confronti della possibilità stessa di una teoria politica. Conseguentemente trova spazio uno studio delle implicazioni dell’analogia tra anima e città, il diverso senso della tripartizione nel caso della kallipolis, la città giusta, il necessario esame dei modi d’intendere le valenze della giustizia alla luce del ricorso argomentativo all’idea di possibilità. La rilevazione dei livelli concettuali di possibilità, realizzabilità, esistenza, coinvolti nella teoria della città giusta, consente di identificare lo spazio proprio dell’efficacia sulla base dello spostamento teorico del pensiero platonico dalla contrapposizione tra i piani prescrittivo e descrittivo, alla loro mediazione possibile, cioè al collegamento tra norme e storia. Posta su questo piano, la riflessione infatti chiede conto delle condizioni attraverso cui si può realizzare il cambiamento dalla forma storica della città a quella teorizzata, conferendo in tal modo alla teoria stessa una necessaria valenza cautelativa nei confronti dell’astrattezza dei “pii desideri” e della possibile deriva utopistica del modello. Interessante è l’esame intorno al carattere contrastante della figura del “buon tiranno” e la discussione sui limiti dell’analogia tra archetipo ideale e kallipolis, secondo il modello della realizzazione di un artefatto materiale. Il rapporto con la concezione tecnica, peraltro, costituisce un filo conduttore rilevante dell'intera trattazione di Zuolo, capace di prestarsi a ulteriori preziosi confronti in sede di teoria politica e dell’azione.
Sostanziale è il riconoscimento della relativa autonomia di valore del modello teorico della giustizia: esso non perde dignità né validità neanche accertata la sua parziale o imperfetta possibilità di realizzazione. Da questo punto di vista, emergono l’autonomia del paradigma dalla sua realizzazione pratica, ma anche il suo doppio valore di criterio pratico per l’azione. Ciò significa che, mentre “l’ordine di fatto” non inficia il valore del modello ideale, quest’ultimo, proprio in quanto ideale e dunque generale, riesce a mantenere in sé un sostrato di possibilità, anche se minima. Focalizzando l’idea di città giusta e le condizioni del suo funzionamento, l’autore ha modo di enucleare anche la presenza di alcuni importanti residui utopici nel progetto della Repubblica, che egli raccoglie attorno al ruolo dell’educazione del ceto dirigente, ritenuto essenziale nell’opera di persuasione della cittadinanza, e alla fiducia nella connessione di conoscenza, bontà morale e capacità pratica di governo, ciò che Zuolo chiama “l’utopia del sapere”.
Affrontando il Politico, il terzo capitolo può concentrarsi sul significato di techne politica, come teoria dell’azione politica, e dunque sui requisiti e i compiti propri del soggetto politico. Particolarmente interessante è l’analisi della valenza della techne in Platone: non troppo distante dalla scienza stessa (episteme), techne è termine che racchiude, oltre agli aspetti conoscitivi, quelli morali e pratici di un ambito caratteristico dell’azione. Con l’idea di techne – come dimostra l’esame del ventaglio di usi del concetto – Platone «cerca di mantenere uniti il sapere che, il sapere perché e il sapere come» (p. 72), utilizzando un modello tecnico senza però articolare una vera e propria teoria dell’azione. In particolare si analizza il mito di Crono, il rifiuto dell’analogia tra politica e attività pastorizia, il ricorso alle varie metafore (medico, allenatore) quali figure paradigmatiche utili alla comprensione della funzione del politico. Di queste sono studiate in particolare quella della giusta misura e della tessitura. Quest’ultima è intesa a mostrare la necessità di convogliare la molteplicità dei tipi umani e delle virtù nell’unità ordinata della città, dal momento che «l’azione del vero politico non è quella di fare rispettare il principio di divisione funzionale, ma di omogeneizzare e legare le diverse virtù» (p. 81). In questo modo si può anche comprendere la critica alle implicazioni e ai presupposti carenti del ricorso platonico al modello tecnico nella sua applicazione all’attività e al ruolo del politico, e valutarne anche la distinzione rispetto alle altre arti pratiche e conoscitive: la città ben governata dal vero politico – colui che possiede vera scienza e che perciò può anche stare sopra le regole – è infatti simile a una sua opera, i cui caratteri però non sono corporei e il cui fine non è puramente quello di generare qualche effetto.
Il confronto con la phronesis aristotelica, come capacità di azione efficace in ordine alla realizzazione di fini buoni – esame positivamente “eccentrico” rispetto al testo platonico –, serve all’autore per rilevare per contrasto, sulla base delle esigenze di una teoria dell’azione più generale, la carenza in Platone di una sufficiente distinzione tra la peculiarità dell’agire politico (pensata da Aristotele in seno alla complessità del concetto di praxis) e di quello tecnico o produttivo (riferibile invece alla poiesis). Altri confronti critici vengono dedicati all’idea di efficacia in Machiavelli, che contempla il ruolo essenziale all’idea di fortuna, e al concetto di legge.
L’argomento dell’efficacia nelle Leggi sta al centro delle riflessioni del quarto capitolo, che si avvantaggia anche di un confronto con Rousseau. In particolare è affrontata la questione, invece che della trasformazione di una città esistente, della fondazione di una nuova città, di una colonia. Sono pertanto considerati i caratteri e la fondazione di Magnesia (città “di secondo grado” come modello di città per uomini “reali”), l’idea di nomos, oltre a quello di educazione e persuasione. Il capitolo, portando a compimento i diversi “attraversamenti” critici dei vari dialoghi, ipotizza la relativa diminuzione del ricorso teorico platonico alle funzioni della dialettica e dell’alto sapere filosofico nella sfera “antropologica” del politico, a vantaggio di un diverso equilibrio tra le classi e di una qualità più completa del ceto dirigente. E ciò sembra derivare da una maggiore attenzione alle esigenze che il radicale modello di riforma richiederebbe alla cittadinanza di siffatta città: nelle Leggi, grazie all’assunzione di un certo realismo antropologico, muterebbe secondo Zuolo anche il rapporto tra sapere, virtù, necessità e compiti del governo della città. Lo stesso rapporto tra le Leggi e la Repubblica, pertanto, si riconfigura come un rapporto tra due modelli, e non piuttosto tra un modello e un caso concreto, dotati rispettivamente di una diversa pretesa di realizzabilità. Trova spazio nello stesso capitolo anche l’analisi della portata del modello demiurgico applicato alla politica, evidenziata tramite un confronto tra il quadro del Timeo e quello emergente nelle Leggi, con lo spunto specifico del tema e dell’interpretazione del ruolo della persuasione delle leggi.
A uno sguardo generale, il testo – che forse si sarebbe ulteriormente avvantaggiato di un ricorso più ravvicinato ai luoghi testuali – si confronta coraggiosamente con un concetto dotato di “efficace” valenza storiografica e d’indubbia attualità, risultando utile strumento di approfondimento specie per coloro che muovono lo spettro delle proprie ricerche – a prescindere da limiti di periodizzazione storica – nella problematica area d’intersezione tra piano normativo e storico-fattuale e nella regione intermedia della riflessione politica.
Il concetto di efficacia nella filosofia politica
L’efficacia nella Repubblica: aporie della realizzazione
Il sapere del politico tra conoscenza e saper fare
L’efficacia nelle Leggi. Come realizzare la virtù in una nuova città
L'autore
Occupatosi di Spinoza e Platone, è ora assegnista di ricerca presso L’Università di Pavia, svolgendo ricerca nel campo della filosofia politica. Ha anche collaborato a Trento per il progetto EuroEthos, nell’ambito del Sesto Programma Quadro della Commissione Europea.
Link
La pagina web dell’autore - http://cfs.unipv.it/compo/zuolo.htm
8 commenti:
La storia del pensiero platonico non essendo una ed essendo divisa tra identità e non identità del pensare e dell'agire, tra grecità ed altra grecità e non grecità ed altra non grecità, nondimeno in parte cospicua anche se non determinante ha ancor oggi di fronte a sé il dilemma posto dalla singolarità della origine circa la universalità del divenire dalla origine stessa o identica od uguale o diversa o differente e non altra.
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MAURO PASTORE
MAURO PASTORE :
... Tale dilemma ha un suo corrispettivo neoplatonico, in Italia assai più rilevante del platonico, luogo della scuola neoplatonica romana ed anche della distinta ri-proposizione della città ideale, analoga non vera callipòlis, da parte di Plotino in Campania, non a sua volta ideale ma dalle sorti di contropotere affermativo non costruttivo e di riuscita diffida antimaterialistica: l'idea della Platonopoli campana. Da questo evento si dipartì nuovo pensiero platonico, senza più rapporti con il Platone antico, di cui non personale già esistente in Ellade archetipicità non prototipicità poi in Magna Grecia rovesciata in prototipi non archetipi, nuovi. Ma attraverso il medioevo e nel Rinascimento si aggiunsero anche altri archetipi platonici, con la nuova umanità europea moderna: gli anni della proclamazione de La Città del Sole, che i lasciti epistolari e non privati e dal valore di opere filosofiche di Tommaso Campanella rivelano essere stato un progetto reale, contestatogli da occulti indiretti interlocutori, intromessi da mondi alieni in contatto con l'Europa per clandestini profitti sui viaggi intercontinentali dei Velieri europei ed imitati purtroppo da peggiori intrusi in vesti di preti ed inquisitori. T. Campanella preferendo a questi ultimi i primi e notandoli ingenui coi secondi, volle compiacerne intervento ed accoglierne veto e parve a quasi tutti il completo trionfo dell'oscurantismo cattolico-clericale, ma iniziava la storia dell'idealismo neoplatonico rinascimentale, cioè distinto, altro dall'oggetto dell'antica memoria italica di Platonopoli. Con lo storicismo vichiano i retaggi culturali dall'Ellade divennero marginali perché esso in Italia Meridionale aveva destino etnico locale, non ellenico cioè, poi nella Settentrionale analogo interetnico, ma da presto non senza un altro motivato dalla reazione contro le trasformazioni rapidissime coinvolgenti spesso distruttive della modernità industrializzata e accaduto quale Ritorno: agli Antichi nel Settentrione, degli Antichi nel Meridione, quest'ultimo testimoniato dapprima dalla letteratura non filosofica, i romanzi "degli altri", che non erano dagli altri d'essi, costoro tramiti e spesso inconsapevolmente ostili, viceversa in Italia Settentrionale. Ma tutto ciò accadeva e continua col nascere dello Stato Greco unitario, poi col costituirsi recentissimo di entità statale della Macedonia in Stato del Nord, mentre a Cipro etnarchia greca resisteva attraverso il perdurare delle tradizioni greche-ortodosse e col persistere del retaggio politico bizantino in Serbia e Albania; evento il primo non secondario che ripresentò, col compiersi, un retaggio ellenico forte perché tramutatasi la cultura greca ellena gli elementi ellenici italiani solitariamente assurgevano a doppio potere etnico e indipendente ugualmente a prima.
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MAURO PASTORE
MAURO PASTORE :
... Allora il rapporto tra pensiero platonico con le originarie opere platoniche riprese importanza, la quale ora però a sua volta sta di nuovo venendo meno col nuovo assetto della Nuova Europa e dei nuovi macedoni. Il disinganno di Platone e dei suoi ultimi studiosi-ripropositori diretti in Italia nel frattempo cosa ha permesso alla filosofia politica? Ha potuto riaggiungere, aggiungere all'apporto delle saggezze orientali presenti ora più che mai in Occidente, il contributo di una saggezza non remota, non estranea da stesse terre occidentali. Il riferimento filosofico ellenico, anche platonico, considerato in blocco tutto quanto intero, ha avuto non indifferente influenza benefica per le sorti di un Paese afflitto da eccessi di ingenuità spinti fino a criminosità insostenibilmente peregrina. Ora però lo scenario politico è mutato e si sono ancora avvicendati... altri platoni!... in mezzo alle rimostranze ingenuamente antimetafisiche e non sempre rivolte ad alienazioni metafisiche reali.
MAURO PASTORE
Un esempio di ingiusta rimostranza antiplatonica, peraltro mezza occulta e fallita già in partenza, lo ho trovato negli scritti di altri autori aggiunti a pubblicazione (anno 2010) di scritti del filosofo russo e platonico Vladimir Sergeevič Solov'ëv.
Riporto qui a sèguito ed in successivo invio mie considerazioni sugli scritti aggiunti non di Solov'ëv, lo faccio perché essi, tali scritti, in realtà non si riferiscono ad alcunché e sono adatti a presentarsi quali involontari autoritratti, dal valore tipico, di intellettuale scorrettezza:
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Introduzione, o meglio tentativo di introduzione e più annichilente che nichilista, di tal "Glauco Tiengo", che presenta scontro religioso purtroppo occultato di stesso introduttore e da stesso introduttore, di ricerca del cattolicesimo non ortodosso che naufraga aggirando la spiritualità latina ma nel frattempo applica diaframma e non neutro al pensiero cristiano ortodosso. Evidentemente lo scontro si chiude in sconfitta ma anche questa occultata da un sistema logico lineare, teologico-ontologico-semiologico, falsariga di altri pensieri, che sono celati perché non cattolici, di cui uno tipicamente evangelico: monadologico-glottologico, che l'introduttore vistosamente irrazionalmente ingiustamente esclude, l'altro soltanto ortodosso: sofiologico-escatologico-iconologico-soteriologico, che stesso introduttore ingiustamente include ma appaiandovi una... enologia non scientifica e inconcludente, ovvero studio di concretezze vitali ma assenti. Enologico è da definirsi innanzitutto il discorso intro-messo, che altrove non sarebbe stato scoordinato, in linguaggio poetico prima intuitivo poi solo sentimentale poi razionalistico. Inoltre in quanto falsariga sarebbe stesso sistema logico introduttivo da definirsi acclusione ingiusta ma propriamente essendo la struttura stessa del discorso introduttivo, dunque questo essendo anti-apofantico, con superstite sensatezza solo nell'esser proposta che stessa nullità sofistica di medesimo e purtroppo invadente proporre trasforma in confessione di propositi sbagliati... E nel sofisma incontrandosi antiplatonismo e principio antiplatonico, una aberrazione perché nello scritto di Solovev ci si riferisce a Platone, al pensiero platonico... Insomma per trarne qualcosa dalla introduzione di tal Tiengo si potrebbe usarla per una contro-indicazione ma resta tal uso difficile e possibile per intuizione non deduzione e dunque meglio tralasciarla se per intuirne bisognasse lavorarci (anche perché non ha titolo di controindicazione). MAURO PASTORE
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MAURO PASTORE
MAURO PASTORE :...
Un esempio di ingiusta rimostranza antiplatonica, peraltro mezza occulta e fallita già in partenza, lo ho trovato negli scritti di altri autori aggiunti a pubblicazione (anno 2010) di scritti del filosofo russo e platonico Vladimir Sergeevič Solov'ëv.
Riporto qui a sèguito ed in successivo invio mie considerazioni sugli scritti aggiunti non di Solov'ëv, lo faccio perché essi, tali scritti, in realtà non si riferiscono ad alcunché e sono adatti a presentarsi quali involontari autoritratti, dal valore tipico, di intellettuale scorrettezza:
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Le note a margine di tal "Pier Davide Accendere" sono sensate solo se rapportate ad ipotesi introduttiva d'altronde questa inconsistente filosoficamente e le note stesse non sono a-referenziali e dunque finiscono per essere anti-referenziali. Certo son poste dopo introduzione che è pur sempre scritta in chiaro intento ipotetico, il quale le note non possono avvalorare in teoresi dato che non sono fondamentali ma che di fatto teorizzano implicitamente per chi non edotto già sul contenuto successivo dell'Opere di Solov'ëv o per chi ingenuo, il che è peggio. Resta però che per il filosofo o per chi filosofeggia, i due scritti, di Tiengo e Accendere, sono autocontraddittori. Infatti anche le note annichiliscono, stessa propria marginalità. Esse rappresentano il dissidio filosofico estremo ed offrono metodologia insufficiente a ricomporlo ma tale insufficienza descrive la condizione del cattolicesimo antiortodosso contemporaneo che nel confrontarsi con la ortodossia nega propria possibilità di ortodossia cattolica confondendola con facoltà ortodossa cattolica. È questa ultima che tale antiortodossia rifiuta od imita o aliena o subissa fino a completo anticristianesimo. Difatti le note a margine uniscono considerazione della filosofia monista platonica a mito-psicologia spuria, che eludendo nel concreto ragionare la opportuna e giusta corrispondenza teofila-teosofica, la quale sarebbe tautologicamente Dio-Zeus e Cristo-Psiche, ne assomma una adatta a rappresentare lo psicologismo-ex-platonismo ed essendone di fatto priva allora delinea una parvenza intellettuale illusoria, dove si corrisponde teologicamente-filosoficamente senza più conservare identità di ricerca ed oggetto filosofico di ricerca, introducendo senza mitografia ma mitograficamente la diade Urano/Gea, impiegata non mitologicamente sì da accoglierne mitopoiesi che il razionalismo delle note usa argomentativamente e più o meno occultamente per ri-corrispondere tra ricerca ed oggetto ma così retrocedendo ad ipotesi introduttiva e occupando i margini con osservazioni di spropositatezza ed autoreferenzialità non in senso psicologico ma ecclesiologico: infatti i veri riferimenti sono a pseudo-opera, copia speculare scaturita da interpretazione non ermeneutica e velleitariamente arbitrariamente antifilologicamente istituita anche con scarto linguistico, perché Solov'ëv, vero filosofo, fa in sua Opera ricerca filologica.
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MAURO PASTORE
MAURO PASTORE :...
Un esempio di ingiusta rimostranza antiplatonica, peraltro mezza occulta e fallita già in partenza, lo ho trovato negli scritti di altri autori aggiunti a pubblicazione (anno 2010) di scritti del filosofo russo e platonico Vladimir Sergeevič Solov'ëv (: 'Solovev').
Riporto qui a sèguito ed in successivo invio mie considerazioni sugli scritti aggiunti non di Solov'ëv, lo faccio perché essi, tali scritti, in realtà non si riferiscono ad alcunché e sono adatti a presentarsi quali involontari autoritratti, dal valore tipico, di intellettuale scorrettezza:
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D'altronde la traduzione in italiano è in certe cose poco distinta e introduzione e note a margine sono in certo senso tali per le indistinzioni del testo tradotto, ma non secondo linguaggio filosoficamente consistente di introduttore e notatore a margine, tale linguaggio inadeguato storicamente e condotto volontariamente dai due medesimi fino ad antifilosofia, per distruttiva intolleranza antiortodossa ed evidentemente anche genericamente anticristiana. Tale antifilosofia è oltre che antimetafisica antietica in quanto priva di motivazioni realmente accettabili per saggezza minimamente necessaria degli eventi in questione ed è mossa da ingenuo sensismo ovvero antiilluminista. Infatti negando essi, Tiengo e Accendere, sottopongono la prassi intellettuale agli estremi inganni del reale perché criticano senza identificazioni sufficienti una empiria non antisensualismo né sensualismo e perché impiegano polemica materialista o materialisticamente contro impostazioni soloveviane storicistiche e storiche e non spiritualiste né antimaterialistiche.
Tiengo in particolare procede con tattica argomentativa ex tomista, Accendere con argomentazioni gesuitiche.
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MAURO PASTORE
Riporto altresì mie considerazioni agli scritti di Solov'ëv (: 'Solovev' ) citati non menzionati in miei tre ultimi messaggi precedenti: [...] Solov'ëv costruisce un pensiero nuovo non per umanità nuova, perché si offre [in essi] profilo di altro platone, secondo archetipicità storico-filosofica e personalismo di filosofia diversa, cui non il socratismo del cristiano Kierkegaard fa da ispirazione ma un umanismo non antiumanesimo, attuato entro fatalità e mistero di una salvezza umana concreta, cui il mondo cattolico non poteva (né può quanto di esso restato solo ex cattolicesimo) intendere o perché ne sa uguale ed altra (oppure perché ne rifiuta sapienza per intollerante ambizione): la salvezza e non redenzione dal biblico Simbolo del "Figlio dell'Uomo" che cioè non annunciandoLo illustra Iddio sommo ed unico Re dell'universo naturale, retto da misteriosa forza fatale, nella analogia con la forza che è naturale destino ricorrente dell'eroismo divino umano mondano. Diversamente non differentemente dal primo e più noto platone, l'altro [soloveviano] non si fa saggio da abbandono di eccessi di ambizioni politiche, bensì ne provvede eroicamente e trova amicizia dallo strapotere non per potere ancora ma per non dover potere ancora e sempre; diversamente anche dal platonismo scaturito dalle meditazioni kierkegaardiane il quale ultimo si confronta esternamente con lo strapotere affine per non perderne del proprio mentre se ne inizierebbe. La storia bizantina del platonismo teologico originalmente precede la cronaca russa delle teogonie sofiologiche platoniche. I teologi bizantini incontrarono gli ammiragli bizantini trovando le giuste motivazioni; i sofiologi russi incontravano gli zar e sapevano cosa non fare e cosa fare, nel caso di Solov'ëv si trattava di continuare propria attività fuori Russia dove era gradita anzi auspicata da stesso Zar, analogalmente a Platone che dopo aver incontrato il tiranno di Siracusa Dionisio mutò non annullò propri propositi politici. La sofiologia soloveviana costituisce la preistoria della teologia contemporanea del DioUomo, questa che si aggiunge alle dottrine cristologiche ipostatiche del cristianesimo greco antico dell'uomo-Dio. Il DioUomo non indica cioè una unione di azione umana con atto divino ma un evento di umanità in accadimenti di divinità, definibile dottrina di ' iper-dinamismo ' e derivando dal rito ortodosso bizantino medioevale e non restando solamente pensiero greco e greco-russo e greco-russo-slavo cioè assurgendo ad universalismo religioso greco-cosmopolita. Tale iper-dinamismo è una rappresentazione corrispondente pure alla forza della comunità, non solo e non tanto alla ordinarietà ecclesiastica. Per questo la teogonia di Solov'ëv, che essendo una estetica semplice e completa non ne è anche la teodicea sebbene ne sia anche unita e secondo primarietà teogonica, è un pensiero filosofico-religioso che include non esclude la intuizione tragica della vita. []
MAURO PASTORE
Forse è utile per il lettore questa precisazione:
nel terzultimo messaggio si trova scritto atipicamente e non scorrettamente un: 'sì', proprio con accento grave non acuto.
MAURO PASTORE
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