Recensione di Davide Sisto – 24/06/09
Filosofia della religione, Estetica
In una delle sue numerose apologie del pensiero schellinghiano, Hubert Beckers reputa il frammento incompiuto Clara (1810-1811) quanto di più profondo e spirituale sia mai uscito dalla penna di Schelling, “un secondo Fedone”, paragonabile a una di quelle melodie, di cui parla Aristotele, che spinge l’anima alla celebrazione delle più alte orge, oppure equiparabile a un canto magico, mediante cui viene placata ed esorcizzata socraticamente la paura dinanzi alla morte; Beckers arriva al punto da ritenerlo l’espressione per eccellenza del Gemüt tedesco, considerato nella sua più elevata interiorità (H. Beckers, Die Unsterblichkeitslehre Schelling’s im ganzen Zusammenhange ihrer Entwicklung, München, Verlag der k. Akademie, 1865, pp. 24-25). Ciononostante, Clara non riesce tuttora a svincolarsi dall’imbarazzo ermeneutico generalmente mostrato dalla Schellingforschung nei suoi confronti e innegabilmente comprovato dalla limitatissima presenza di studi specifici sul frammento. Le motivazioni della generale sottovalutazione del dialogo sono solitamente ricondotte, da un lato, alla rilevante incidenza nella sua stesura di eventi biografici – la morte improvvisa dell’amata moglie Caroline in primis – che avrebbero fortemente destabilizzato l’equilibrio psicologico del filosofo di Leonberg, spingendolo ad abbracciare le escatologie accademicamente inopportune di Swedenborg e di Oetinger, e, dall’altro, al valore limitatamente letterario del testo, pertanto antitetico alla forma mentis filosofica. Tali ragioni risultano essere, a nostro avviso, approssimative e ingenerose nei confronti dell’effettiva importanza che il frammento riveste nell’economia generale degli studi schellinghiani; se, infatti, è vero l’assunto che “ciò che è più profondo dev’essere proprio quanto vi è di più chiaro” (p. 94), Clara rappresenta l’espressione più limpida della filosofia di Schelling, giacché riesce, attraverso la teoria tanatologico-escatologica che elabora al suo interno, a donare chiarezza al rapporto tra corporeo e spirituale che ne guida l’intero tracciato speculativo.
Non solo incarnazione del legame d’amore divino (Band = Liebe) tra natura e spirito quale unità organica e vivente tra due principi opposti, di cui ciascuno, essendo un tutto, potrebbe essere assolutamente per sé e tuttavia non lo è, e non può essere senza l’altro, ma anche dell’anima bella che ispira la cosiddetta Goethezeit nel suo insieme, l’omonima eroina del dialogo concilia armonicamente in sé le posizioni degli altri due interlocutori principali – il medico e il pastore – i quali rappresentano rispettivamente le ragioni del corpo e dello spirito. In tal modo, con la voce di Clara, Schelling prende le distanze da coloro che ritengono necessario tracciare un confine definito – una volta per tutte – tra idealismo e realismo, tra ciò che è spirituale in senso più alto e ciò che è materiale in senso più grossolano, mostrando al lettore come il cammino verso la verità esiga l’ossimorico radicamento nell’assenza di luogo e il sovvertimento dei rapporti abituali tra centro e periferia; quindi, l’abbandono delle sicure ma artificiose strade del topico per i sentieri precari ma – paradossalmente – prossimi al reale dell’atopico. È l’atopia, infatti, l’elemento che può mettere bene in luce come il visibile e l’empiricamente tangibile perdano significato e valenza reale senza il fondamento dell’invisibile e, in linea generale, di ciò che, trascese le potenzialità empirico-razionali della comune conoscenza umana, li fa autenticamente essere. Clara propone pertanto, come insegnamento al lettore, l’assenza di un limite oggettivamente circoscritto tra reale e ideale, tratteggia un’incidenza trasparente del legame tra corporeo e spirituale, legame che appare e, al tempo stesso, svanisce a intermittenza nel mondo terreno come in quello ultraterreno.
L’incipit di Clara coincide con la credenza comune che il rito di commemorazione dei defunti – durante il giorno dei Morti – stia a simbolizzare, secondo una logica della corrispondenza che sfida l’ineluttabile finitezza del tempo cosmico, il rinnovamento di tutte le relazioni vitali recise. Attraverso il fascinoso dialogo tra i principali personaggi, che si svolge simbolicamente tra l’autunno e la primavera, Schelling si fa, in particolare, portavoce di due dei tratti più caratteristici dell’intera stagione romantica: l’idea positiva che la morte racchiuda in sé la vita e il principio che una teoria escatologica non possa non coinvolgere l’intera natura, tenuto conto del carattere cosmoteandrico del peccato originale, secondo cui le conseguenze della colpa di Adamo riguardano necessariamente l’intero creato.
Il lettore rimane, in primis, ammaliato dalle sofferte descrizioni della malinconia della natura visibile che, come effetto storico del peccato di Adamo, colpevole di aver spezzato il legame divino tra esteriore e interiore, convertendo la contemporaneità di reale e ideale in una vuota successione di stati, è indice dell’imprecisione e dell’incompletezza degli esseri naturali; questi, una volta smarrita la via della definitiva trasfigurazione nello spirito e persa la possibilità di portare a compimento il proprio essere transitorio, regrediscono infatti a uno stato anteriore di indigenza. A riguardo, emblematici risultano essere, da un lato, il contrasto dissonante nel colchico tra il gradevole color azzurro esterno e la letale velenosità interna e, dall’altro, la “dolce sofferenza” (p. 32) che accompagna il profumo dei fiori, entrambi palesi attestazioni della presenza in qualsivoglia prodotto della natura “di un veleno nascosto che essa vorrebbe eliminare o rigettare, senza tuttavia riuscirci” (ibid.). Conseguenza dello sviluppo bloccato e della recrudescenza dell’informe prodotti nel mondo visibile dal peccato, la malinconia della natura si tramuta in anelito, non appena il fallimento adamico si travasa nel sacrificio cristico. Cristo è infatti, per Schelling, quel “talismano” (p. 38) che ridona all’uomo la capacità di mediazione tra il mondo naturale e il mondo spirituale, per cui la morte, da effetto terribile della caduta di Adamo, diviene testimonianza positiva della ricongiunzione della terra con il cielo, della rinnovata compenetrazione di visibile e invisibile, quindi il tunnel vitale attraverso cui i due mondi ricominciano a muoversi l’uno in direzione dell’altro. Sulla base di tali considerazioni e in riferimento a una teoria dell’immortalità fondata sul concetto di uomo come “circuito vivente, in cui ogni termine scorre continuamente nell’altro e in cui nessun elemento può separarsi dall’altro, richiedendosi tutti reciprocamente” (pp. 50-51, corsivo nostro), Schelling traduce nel suo personale linguaggio filosofico le concezioni teosofiche del corpo spirituale e della morte quale reductio ad essentiam, delineando – sotto l’esplicita influenza di Swedenborg – le caratteristiche di quel Mondo degli Spiriti (Geisterwelt), verso cui si dirigono le anime dei defunti. Se è, infatti, il solo legame (in)visibile, ma in toto reale, a far essere autenticamente la natura e lo spirito come tali, animandoli, è allora consequenziale l’esistenza, accanto a un Mondo della Natura (Naturwelt) avente in sé una dimensione propriamente spirituale o ideale in virtù del rapporto che li lega, di un Mondo degli Spiriti (Geisterwelt) avente in sé una dimensione propriamente naturale o reale in virtù del medesimo rapporto. La parte conclusiva di Clara si occupa proprio di descrivere questo mondo spirituale, sorto da un movimento post mortem che dall’esterno si dispiega verso l’interno; in tal modo, l’elemento naturale viene risvegliato dalla sua momentanea inattività, ma per rimanere, una volta pervenuto alla sua compiuta trasfigurazione in un essere spiritual-corporeo, interno e sottomesso all’essenza luminosa. Un tale ribaltamento cromatico, cagionato dalla morte quale intensificazione iridescente dello spirito, permette alla Geisterwelt di portare avanti il processo di sublimazione – già cominciato durante la vita terrena – dell’esteriore in uno stato interiore, affinché l’anima non sia più incantata dalla materia, ma passi sotto l’egida interna dello spirito. Pertanto, questo “luogo della purezza, dello splendore e della forza” chiamato anche “cielo” (p. 107), paragonabile al lago, in quanto immagine “del passato, dell’eterno silenzio e del compimento” (p. 100) e prossimo al Purgatorio dantesco, possiede un grado di realtà più elevato rispetto a quello della Naturwelt e più vicino alla riconciliazione finale delle forze in una corporeità spirituale perfetta, guidata dall’azione dominante dell’Anima universale.
Rispetto alla precedente edizione italiana per i tipi di Guerini e associati del 1987, la presente edizione di Clara è arricchita, innanzitutto, dalla traduzione di quella che potrebbe essere l’introduzione schellinghiana al dialogo (pp. 1-8), sebbene gli studiosi del filosofo idealista non dispongano delle necessarie certezze al riguardo. In secondo luogo, dispone di un’interessante premessa di Giampiero Moretti, il quale pone in luce la particolarissima vicinanza tra Clara e Sèraphîta (1835) di Balzac, dell’articolata postfazione di Markus Ophälders in relazione alla concezione tanatologico-escatologica di Schelling e, infine, di un breve testo inedito di Alfred Baeumler, che proviene dal lascito del noto pensatore tedesco e che ricostruisce il significato che assume la Geisterwelt nel pensiero filosofico in Germania.
Indice
Premessa
Tra Clara e Sèraphîta di Giampiero Moretti
CLARA
Introduzione
Il pastore racconta
Dialoghi in autunno
Dialoghi nella sera di Natale
Dialoghi durante una passeggiata di fine inverno
La primavera
Sul significato del mondo degli spiriti per la storia del pensiero filosofico in Germania di Alfred Baeumler
Postfazione
Anima, corpo, secolarizzazione della morte di Markus Ophälders
L'autore
Schelling (Leonberg 1775 - Bad Ragaz 1854), si presenta precocissimo sulla scena della grande filosofia tedesca nella sua età aurea, vale a dire nel periodo compreso tra Kant e Nietzsche. Diviene inizialmente noto e largamente imitato come ‘filosofo della natura’, in contrapposizione alla tendenza a indirizzare la ricerca filosofica quasi esclusivamente al fenomeno della soggettività. Dopo un primo periodo di grande notorietà, e in coincidenza con l’ascesa dell’astro hegeliano e dell’idea filosofica di ‘sistema’, Schelling sperimenta una crisi stilistica, di pensiero e personale, dalla quale si riprende soltanto molti anni dopo, allorché inizia a dedicarsi a quella che i manuali ricordano come ‘filosofia positiva’. Tra le opere più note del filosofo tedesco, una menzione particolare spetta alle Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809), alle Lezioni private di Stoccarda (1810) e alle incompiute e mai pubblicate Età del mondo (1811-1815), opere – tradotte anche in lingua italiana – che permettono di cogliere limpidamente l’attualità di Schelling.
Link
http://www.schelling-gesellschaft.de/ (Internationale Schelling Gesellschaft)
http://www.badw-muenchen.de/forschung/phil/k_33_schelling/index.html (Kommission zur Herausgabe der Schriften von Schelling, presso la Bayerische Akademie der Wissenschaften)
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