Recensione di Sarin Marchetti – 28/07/2009
Storia della filosofia (contemporanea), Filosofia analitica
In un recente seminario su Early Analytic Philosophy Peter Hylton, studioso di Russell e delle origini della filosofia analitica, concluse il suo intervento asserendo che la storia della filosofia analitica, se fatta bene, è in primo luogo un’ottima filosofia analitica. Studiare la traiettoria attraverso cui un certo problema o scrupolo filosofico è arrivato fino a noi o interrogarsi sulla ragione per cui è percepito come ancora vivo e degno di discussione dalla comunità filosofica può contribuire in modo decisivo alla sua analisi. Esaminando i tentativi e le tattiche adottate per la risoluzione – o dissoluzione – dei vari nodi teorici che tengono in piedi l’attività stessa del pensiero filosofico analitico emergerà un’interessante mappa insieme geografica e geopolitica di tale attività – o in alcuni casi qualcosa come una vera e propria cartella clinica che ne determina lo stato di salute. Se parte integrante del fare filosofia consiste nell’interrogarsi su cosa si sta facendo, una genealogia della tradizione filosofica in cui si è immersi ci aiuterà a assolvere questo compito gettando luce sulle nostre pratiche filosofiche attuali. Il volume di Paolo Tripodi Dimenticare Wittgenstein ci ricorda in particolare come la filosofia e la storia della filosofia – in questo caso quella di ispirazione analitica e, nello specifico, anglo-americana – siano il frutto del pensiero di individui in carne e ossa e del loro confrontarsi con le realtà intellettuali del loro tempo, talvolta intrecciati in complesse vicende personali e contingenti. Leggere la storia della filosofia analitica anche come una vicenda che ha interessato il pensiero e le vite di esseri umani che hanno respirato l’aria di alcuni ambienti e si sono trovati immersi nei dibattiti culturali dell’epoca restituisce un respiro più interessante a una tradizione troppo spesso accusata di essere culturalmente arida. Questo non significa tuttavia ‘ridurre’ la filosofia analitica e la sua storia a una vicenda che poco ha a che fare con il confronto con problemi filosofici che hanno una loro precisa fisionomia e storia: ciò che ci colpisce dei protagonisti di questa tradizione e delle scuole che hanno preso vita a partire dai loro insegnamenti non sono tanto le loro idiosincrasie e personalità, quanto i modi in cui queste sono entrate in contatto con le riflessioni filosofiche che tali autori hanno generato. Nonostante biografia e teoria siano strettamente intrecciate tra loro, un totale appiattimento di un elemento sull’altro risulterebbe letale per l’interesse filosofico in gioco.
Il lavoro di Paolo Tripodi si inserisce nel delicato tracciato di questo riconoscimento. Prendendo Wittgenstein come figura centrale della filosofia analitica, e le sue posizioni come i referenti principali per la stesura della sua agenda, l’autore si impegna in un’indagine circa il posto che tali posizioni e teorie hanno nel panorama filosofico contemporaneo. Il campo d’indagine privilegiato per mostrare la progressiva –anche se non lineare– svalutazione delle posizioni di Wittgenstein nel clima filosofico anglosassone è la contrapposizione tra filosofia e scienza, che il filosofo austriaco declina lungo differenti direttrici. Il tema dell’irriducibilità della filosofia alla scienza e la caratterizzazione che Wittgenstein propone di entrambe, rappresentano il cuore delle discussioni intorno alla validità del suo progetto, di cui il volume tenta di dar conto. La proposizione 4.111 del Tractatus ‘La filosofia non è una delle scienze naturali. (La parola «filosofia» deve significare qualcosa che sta sopra o sotto, non già presso, le scienze naturali)’ esprime uno dei pilastri del pensiero wittgensteiniano, early and late: l’idea che la riflessione filosofica si muove a un livello diverso, e dunque con strategie e scopi altri, rispetto a quello scientifico. La filosofia consiste in un’attività di chiarificazione concettuale e procede principalmente per analisi grammaticali; cerca di gettare luce sulle nostre pratiche e sul linguaggio ordinario mostrandoci le fonti delle perplessità filosofiche in cui cadiamo quando abbandoniamo tale livello, e ci indica delle strategie per la loro dissoluzione. La filosofia non ha come oggetto immediato il mondo, e in questo differisce dall’impresa scientifica: consiste in un lavoro su se stessi che avrà conseguenze sul modo in cui ci rappresentiamo, interpretiamo e interroghiamo il mondo. Proprio intorno al carattere terapeutico e anti-fondazionalista si gioca molto della fortuna che le riflessioni wittgensteiniane hanno incontrato nel corso del loro passaggio attraverso la filosofia analitica contemporanea. Se il cuore della ricerca dell’autore consiste nella ricostruzione del come e del perchè ci si è dimenticati Wittgenstein, alcune dinamiche di rimozione –per usare una terminologia di ispirazione freudiana– potrebbero risiedere proprio nella dimenticanza del carattere terapeutico e anti-fondazionalista del suo pensiero.
Ripercorrendo la storia della fortuna dei suoi scritti e delle sue lezioni Tripodi tenta un bilancio ragionato dell’ascesa e della caduta di Wittgenstein nel firmamento analitico anglo-americano, mostrando le tappe fondamentali del decorso che ha portato gli insegnamenti e le discussioni di Wittgenstein dallo splendore degli anni ‘30-’50 del novecento all’apparente oblio che caratterizza i syllabus dei corsi universitari e le pubblicazioni degli ultimi trent’anni. Il volume si concentra sul cambiamento delle priorità e delle urgenze teoriche che ha caratterizzato il mondo accademico prima inglese e poi americano negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, mutandone vistosamente l’agenda teorica, gli indirizzi di ricerca e la produzione scientifica. Se, come scrive l’autore, Oxford e Cambridge negli anni ’40-’50 erano la Mecca della filosofia wittgensteiniana, ‘qualcosa’ è successo per cui solo quindici anni dopo il clima filosofico registrò un mutamento radicalmente sotto le spinte del naturalismo che W. O. Quine – insieme ad altri filosofi, linguisti e scienziati – andava elaborando in quegli anni.
Come Tripodi spiega nei due capitoli iniziali il rapporto tra Inghilterra e Stati Uniti è centrale per la comprensione della circolazione delle idee wittgensteiniane, che sono state veicolate in maniera determinante dall’approdo di Rudolph Carnap a Chicago dopo la sua fuga da Vienna nel ’35 e poi da parte di giovani studiosi americani e inglesi andati a studiare rispettivamente in Inghilterra e in America con programmi PhD e post-graduate e poi tornati in patria a raccontare quanto appreso nell’altro mondo. Per mostrare in che senso ‘qualcosa è accaduto’ (p. 29) l’autore si impegna in una dettagliata disanima dei complessi scambi e compromessi che videro protagonisti i protégé wittgensteiniani e i filosofi analitici americani con cui vennero in contatto; da una parte l’analisi della fortuna di Carnap in America – in particolare il suo scontro con Quine, il cui esito negativo gettò un cono d’ombra sulla reputazione delle posizioni wittgensteiniane di cui si pensava Carnap fosse ambasciatore, essendo stata la sua figura per lungo tempo sovrapposta a quella di Wittgenstein (cap. iii) – e dall’altra la parabola della filosofia del linguaggio (cap. v)– forniscono le coordinate fondamentali per inquadrare la molteplicità di canali attraverso cui lo spirito wittgensteiniano ha provato a governare la macchina analitica. Parallelamente a queste linee teoriche l’autore si concentra su alcuni dibattiti che si sono sviluppati negli anni ’50 e ’60 come quelli fra Norman Malcolm e Hilary Putnam sulla natura delle analisi grammaticali (cap. ix), o quella fra G.E. Anscombe e Donald Davidson sulla natura dell’azione e dell’intenzione (cap. x). Il passaggio, o serie di passaggi esemplificati in questi scambi ha determinato una progressiva erosione delle posizioni wittgesteiniane circa la natura della mente, del linguaggio e dell’azione, e della natura stessa dell’analisi filosofica.
La trama del volume è in realtà più complessa, in quanto tenta non solo di raccontare la trasmissione più o meno fedele degli insegnamenti di Wittgenstein attraverso i suoi allievi e successivamente attraverso i loro rispettivi studenti, ma anche di individuare linee teoriche esterne alla tradizione wittgensteiniana e tuttavia con essa convergenti. È il caso di autori come Wilfrid Sellars (cap. xiv) e John McDowell (cap. xvi), i quali pur non provenendo dal phylum wittgensteiniano intrattengono con esso interessanti rapporti. Nel caso di Sellars la connessione è indiretta e passa per il comune rifiuto del naturalismo quineano e della corrispondente filosofia della mente: il suo ménage con Wittgenstein è forse mediato dal comune interesse critico verso il pragmatismo, con cui entrambi gli autori si sono confrontati a lungo, l’uno attraverso gli scritti del padre Roy Wood Sellars, l’altro attraverso i lavori di William James. Per quanto riguarda McDowell l’appartenenza wittgensteiniana è più marcata, avendo questi lavorato con P.F. Strawson negli anni della sua formazione a Oxford: McDowell rappresenta una delle figure più interessanti nel panorama analitico contemporaneo proprio per il suo rapporto idiosincratico con la tradizione wittgensteiniana che il filosofo di origini sudafricane ha combinato virtuosamente con un interesse per la filosofia aristotelica e kantiana. Come Tripodi asserisce nella sezione terza del volume, dal titolo ‘Un’altra Storia’ , è proprio a questi autori che si deve guardare per valutare la qualità della presenza wittgensteiniana, non sempre esplicita, nella filosofia analitica contemporanea: testi come Empiricism and the Philosophy of Mind di Sellars e Mind and World di McDowell, divenuti già dei classici della filosofia analitica contemporanea, possono essere letti come dei testi che raccolgono e elaborano in maniera originale i temi e le strategie d’analisi wittgensteiniane. Per l’altro dissenter Saul Kripke, la cui interpretazione di Wittgenstein e in particolare la soluzione proposta al ‘paradosso del seguire una regola’ hanno avuto molto fortuna negli anni ’80, il discorso è diverso: da alfiere wittensteiniano l’enfant prodige si è rivelato un suo controverso interprete, attirandosi le ire della tradizione ortodossa. Se il suo merito è stato quello aver messo di nuovo al centro del dibattito filosofico (in particolare quello che interessava la filosofia del linguaggio e della mente) alcune idee wittgensteiniane –in particolare la concezione del significato come uso– come risposta alle derive mentaliste e comportamentiste che caratterizzavano il dibattito degli anni ’60-‘70, il suo difetto è stato quello di presentare la sua posizione come una teoria wittgensteiniana di cui proponeva una precisa esegesi e non invece, più cautamente, come un suo possibile sviluppo.
Il volume risulta accessibile e scorrevole nonostante la complessità e la densità dei materiali presentati e lo stile è quello inconfondibile e piacevole della scuola di Viano; a una trattazione storica della parabola della filosofia wittgensteiniana sono affiancate analisi più dettagliate dei vari argomenti filosofici in gioco, anche se queste non sono talvolta approfondite quanto sarebbe necessario. Se i lettori non specialisti potranno imparare molto da questo volume ricco di contenuti e di idee, gli addetti ai lavori potranno trarre molti spunti di riflessione proprio a partire dall’ampia letteratura con cui l’autore si confronta. Il progetto dell’autore risulta dunque interessante e la ricostruzione storico-teorica accurata sin dai primi paragrafi del volume, e tuttavia dobbiamo segnalare l’assenza –apprezzabile forse solo da chi ha già avuto modo di sporcarsi le mani con Wittgenstein– di una trattazione adeguata di autori influenti quali Stanley Cavell, Cora Diamond e James Conant che hanno contribuito in maniera decisiva a instaurare un nuovo canone, il New Wittgenstein per l’appunto, di interpretazione e esegesi del lavoro del filosofo austriaco. Quella dell’autore non è ovviamente una dimenticanza quanto invece una scelta teorica ben precisa, coerente con il quadro di riferimento adottato per ricostruire l’ascesa e il declino della filosofia wittgensteiniana nella filosofia anglosassone. Tuttavia in un altro quadro teorico –non necessariamente in contrasto con questo– questi autori, insieme a Richard Rorty e Johh McDowell, sono importanti proprio nell’ottica di un nuovo rinascimento wittgensteiniano nel panorama filosofico odierno, avendo contribuito seppur da angolazioni e con intenti diversi a un nuovo interesse o ‘ritorno’ a Wittgenstein riprendendo e sviluppando gli aspetti più interessanti e spesso dimenticati – più o meno inconsapevolmente – dalla tradizione analitica. Una continuazione ideale del libro, un capitolo aggiuntivo che trattasse quest’altra linea teorica non sviluppata ma ugualmente interessante per il lavoro dell’autore, dovrebbe dare spazio alla presentazione della letteratura di e su questi autori, che in maniere diverse hanno continuato quello che i loro mentori Austin, Ryle, Anscombe, Strawson e Putnam hanno iniziato cinquant’anni fa.
Indice
Prefazione
Introduzione
L’America ‘senza’ Wittgenstein
L’America ‘contro’ Wittgenstein
Un’altra storia
Conclusioni. Filosofare controcorrente
Indice dei nomi
L'autore
Paolo Tripodi è assegnista di ricerca nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino. Ha pubblicato saggi sulla storia della filosofia analitica contemporanea, con contributi sul pensiero di Wittgenstein, Carnap, von Wright, Putnam, Malcolm, Anscombe e Davidson.
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