Recensione di Mara Montanaro - 04/08/09
Estetica, Filosofia politica
L’arte della sovversione è un fatto del comune. L’evento Multiversity, ovvero L’arte della sovversione nasce da un lavoro congiunto di Uninomade, rete di ricercatori, studenti e attivisti e S.a.L.E (spazio autogestito di sperimentazione, che si trova a Venezia). Multiversity prima di divenire un libro, è nato dunque come un seminario internazionale di tre giorni tenutosi al S.a.L.E nel maggio del 2008 sul tema dei rapporti tra arte e attivismo. Frutto di un lavoro seminariale cui hanno partecipato intellettuali, critici e militanti provenienti da diversi paesi questo libro affronta le condizioni del lavoro creativo. Le prospettive di analisi in cui vengono suddivisi gli interventi sono tre: Arte, soggettività, attivismo; Arte e mercato; Arte e moltitudine. Nella sua introduzione, Marco Baravalle mette in luce la presenza di due discorsi che attraversano gli interventi, esemplificati da una serie di domande. Le domande che individuano il primo discorso sono: esiste un potere sovversivo della creatività? Quali sono i dispositivi capitalistici della cattura della produzione culturale? Che rapporto si costituisce tra politica e creatività? Come si fa inchiesta nella fabbrica della cultura? Il secondo discorso tenta invece di dare risposta a questioni quali: che tipo di rapporto intercorre tra opera d’arte e produzione di soggettività? Cosa si intende per arte femminista e cosa significa articolare un discorso di genere in questo ambito? Come si intreccia e si trasforma l’arte a contatto con la lotta dei Sans- Papier per i diritti di cittadinanza? Il primo dato che emerge è l’attenzione che realtà come Uninomade e S.A.L.E riservano al dibattito sull’arte contemporanea, con l’obiettivo di sviluppare un’analisi materialistica all’interno del paradigma di produzione postfordista.
Ricatturare la sovversione. Rovesciare le regole del gioco culturale è il titolo dell’intervento di Brian Holmes con cui si apre la raccolta. L’arte, sostiene Holmes, sovvertendo il linguaggio funzionale del capitalismo molecolare può produrre iniziative che spaziano dal cambiamento politico, al sabotaggio, all’esodo. La sovversione è definita come “la presa dello spazio urbano e[…] alterazione dei media capitalistici per usi sperimentali, elemento che permette di rompere i modelli normalizzatori e di instaurare un contatto vitale con il mondo, con il sé, con i nostri stessi potenziali” (p. 27). La nozione che oppone ai potenziali sovversivi nella società del controllo è quella di surcodificazione, definita come l’apparato di cattura definitivo, l’istituzione di un legame sociale, imposto attraverso un linguaggio di potere. Una soggettività sovversiva, per evitare che la soggettività di artisti, scrittori, filosofi diventi un semplice mezzo a servizio del capitale, cerca di esplorare le cornici economico-politiche in cui accade una metamorfosi collettiva, che è un altro modo per dire autoformazione, esperimenti di decodificazione e ricodificazione.
Judith Revel, in La potenza creativa della politica, la potenza politica della creazione in modo estremamente chiaro e denso problematizza non solo le nozioni di avanguardia e sperimentazione, ma anche il rapporto tra creazione, produzione e riproduzione storicizzando tale rapporto nella svolta cognitiva. Ciò che va evitato è fare del necessario intreccio del politico e dell’artistico, tra militanza politica e arte un discorso di avanguardia. Il terreno comune va trovato, per l’autrice, nella sperimentazione, intendendo sia l’arte che la politica come campi di sperimentazione. Revel si sofferma in modo inedito sul rapporto tra creazione, produzione e riproduzione. Se storicamente questi tre campi vengono definiti come eterogenei, bisogna registrare il superamento di tale separatezza tra creazione artistica, produzione economica e generazione e nello stesso tempo assumere la consapevolezza che, quando parliamo di riproduzione, stiamo parlando non solo della mera sfera biologica, ma di creazione ontologica. Tenendo presente che nulla accade fuori dalla storia, Revel individua tale mutazione nel passaggio da un’economia dei beni materiali ad un’economia cognitiva, dove “cognitivo” identifica per l’appunto la nuova natura del lavoro, delle fonti di valorizzazione. Difatti “non si tratta di affermare che l’arte è stata definitivamente sussunta dal mercato e svuotata dalle specificità. Bisogna, invece, capire che, oggi, produrre e creare sono la stessa cosa” (p. 49).
Molare e Molecolare. Il rapporto tra soggettività e cattura nell’arte è l’intervento che ci consegna Maurizio Lazzarato, il quale parte dalla constatazione che il rapporto tra arte, politica ed economia possa essere utile per capire come funziona il capitalismo. Tale rapporto è ovviamente molto complesso, l’autore prova ad applicare il concetto di molecolare e molare all’attività artistica. Per dimensione molare dell’arte intende le modalità di enunciazione, di visibilità, di funzioni, di ruoli e di dispositivi artistici, tale dimensione è assimilabile alla divisione disciplinare che distribuisce ruoli e funzioni secondo una logica dialettica. Per dimensione molecolare intende invece una gestione “differenziale” della libertà, delle eterogeneità, della soggettività. Il molecolare dovrebbe avere la capacità di trasformare la dimensione molare, nella misura in cui l’industria culturale sfrutta proprio questo doppio aspetto. Il problema è allora quello, per l’autore, capire come i dispositivi di cattura ( ipermodernità, dispositivi neoarcaici e discorso sulla proprietà) imprigionino i desideri e gli spazi di libertà, impedendo i processi di soggettivazione. Artisti Ready-Made e sciopero umano. Qualche precisazione di Claire Fontane è un testo pubblicato inizialmente nel catalogo della mostra collettiva Group Therapy (Museion, Bolzano, 2007). Claire Fontane è un artista collettivo. In tale intervento viene trattato il rapporto tra processi di soggettivazione e potere, tesi che l’artista propone al fine di interrompere tutte le relazioni che ci identificano e ci sottomettono, è uno “sciopero umano” per trasformare interamente le relazioni sociali informali che sono alla base della dominazione, dell’assoggettamento.
Giovanna Zapperi in La soggettività contro l’immagine. Arte e femminismo, pone direttamente la sua attenzione al contributo del femminismo o meglio dei femminismi nell’arte. Considerando il lavoro poco conosciuto dell’austriaca Birgit Jurgenssen, Zapperi contribuisce all’impresa femminista “classica” che consiste nel riabilitare ciò che è stato represso dalla narrazione normativa della storia dell’arte.
I tre successivi interventi su Arte e Mercato: Mercato dell’arte, bioeconomia e finanza (Andrea Fumagalli), Oltre le rovine della città creativa. La fabbrica della cultura e il sabotaggio della vendita (Matteo Pasquinelli), Tavola rotonda su arte e mercato ( Angela Vattese, Anna Daneri, Chiara Bersi Serlini) muovono da una raccolta di dati sulle dimensioni del mercato dell’arte e dal suo rapporto con il capitale finanziario. L’arte viene qui assunta come esempio di valore paradigmatico a causa di un paradosso estremo che la interessa: se il lavoro artistico esprime un livello massimo di libertà creativa, allo stesso tempo esso subisce la massima fissazione all’interno del capitale finanziario.
Degno di nota è il saggio di Andrea Fumagalli, Mercato dell’arte, bioeconomia e finanza, la cui posizione ben riassume il nuovo mercato che si è venuto a creare, con l’intento di trarre il massimo guadagno sul valore futuro atteso dell’opera d’arte: l’investimento nell’arte tende quindi ad avere delle analogie con l’investimento finanziario. “La mercificazione dell’arte è un esempio della mercificazione complessiva della vita, ovvero è bioeconomia” (p.146).
Nella terza parte della raccolta, che coniuga Arte e Moltitudine viene affrontato il nodo dei rapporti tra singolarità e moltitudine, oltre che quello tra produzione individuale e costruzione del comune.
Quattro i saggi che la compongono: Arte e lavoro immateriale (Toni Negri); Gli intermittenti dello spettacolo o la figura dell’eccezione francese. Breve storia di un’inchiesta in zona precaria (Antonella Corsani); Venezia: L’investimento nell’arte contemporanea e il lavoro precario nella fabbrica della cultura ( Tommaso Cacciari); La parte della moltitudine ( Alberto De Nicola e Gigi Roggero). Mi limiterò a considerare qui soltanto quello di Toni Negri e Antonella Corsani.
Due i piani di ricerca su cui procedere parallelamente. Il primo è storico-artistico e riguarda i tentativi che, a partire dagli anni Sessanta, sono stati sviluppati dagli artisti in risposta alla retorica del genio individuale, fino alle attuali piattaforme di produzione collettiva. Il secondo piano riguarda l’inchiesta sulla composizione sociale del precariato cresciuto attorno all’indotto dell’industria culturale. Dagli studenti nei circuiti della formazione ai precari delle cooperative che si occupano di logistica e allestimento, agli stagisti, ai networkers, ai consulenti fino a quel ceto globale di artisti e di figure professionali intenzionate a divenire parte integrante del sistema internazionale dell’arte. Di tutta questa ampia galassia sociale vengono indagare condizioni materiali di vita e di lavoro, bisogni e aspirazioni, desideri e possibili rivendicazioni.
Arte e lavoro immateriale è un contributo di Toni Negri al simposio “Art and Immaterial Labour” (Tate Britain, Londra, 19/01/2009). L’autore inizia spiegando come lavoro immateriale non sia un’affermazione ossimorica. Il carattere immateriale costruisce prodotti materiali, merci e comunicazione. Dire immaterialità non significa più dire astrazione, ma invece concretezza. Per quanto riguarda lo sviluppo artistico, il paradosso che emerge da tale analisi è che proprio lo sviluppo artistico trasforma l’astrazione dei rapporti sociali nei quali siamo immersi, in figure corporee. Tuttavia, sostiene Negri, lo sviluppo artistico si dà ormai in termini non tanto immateriali, quanto biopolitici così come il lavoro che si presenta in primo luogo come evento, eccedenza e in secondo luogo come evento moltitudinario. “L’evento moltitudinario è un’eccedenza che apre al comune. La produzione artistica attraversa l’industria e costruisce linguaggi comuni. Ogni produzione è un evento di comunicazione; il comune si costruisce attraverso eventi moltitudinari e così determina la sua capacità di rinnovare il mondo” (p. 179).
Concludo con l’intervento di Antonella Corsani, Gli Intermittenti dello spettacolo o la figura dell’eccezione francese. Breve storia di un’inchiesta in zona precaria, esperienza in cui, a mio avviso, concretamente si realizza l’arte della sovversione, si attuano modalità di resistenza soggettiva. L’ibridazione fra lavoro indipendente e lavoro salariato trova una delle sue forme compiute nella figura dell’intermittente dello spettacolo definita dal sistema giuridico francese, l’autrice, ricostruisce dei momenti essenziali nella storia di questo movimento: l’assunzione del nome “Coordination des Intermittens et Prècaries” e l’edificazione di una fabbrica dei saperi che si sviluppa dentro e attraverso le azioni che consistono nel bloccare l’attività dei festival o nell’occupazione di spazi. Ciò che emerge e va sottolineato è che un intermittente è considerato come un lavoratore discontinuo o, se si vuole, un disoccupato discontinuo; la loro lotta, allora, può essere letta, come lotta per difendere quel tempo di ricerca e sperimentazione di produzioni artistiche che sfuggono alle norme estetiche dell’industria culturale.
Dei sedici interventi raccolti nel testo, ne ho preso in considerazione alcuni che, a mio avviso, mostrano maggiormente la rottura di un paradosso: quello per cui le istituzioni del capitale appaiono alle pratiche artistiche come strumenti flessibili, aperti, mentre il discorso sul comune appare come un freno alla libertà creativa. La posta in gioco è la necessità di restituire, pertanto, la sperimentazione al terreno del comune, evidenziando come il concetto di moltitudine porta con sé, nella sua stessa definizione teorica, la risoluzione del problema. Esso, infatti, si definisce come una polarità che prevede la coesistenza del polo singolare e di quello collettivo, una sorte di concatenamento tra singolarità e comune. Come infatti, sostiene Judith Revel, sebbene libertà espressiva e finanziarizzazione si affianchino, sebbene cattura e soggettività convivano, ciò non significa simmetria tra i due termini, anzi la capacità di creare eccedenze, libertà e linguaggi, è tutta nelle mani del comune, nei confronti del quale il capitale si comporta come un parassita. Rispetto al nesso che lega crisi e arte contemporanea, gli interventi non solo rendono conto delle reazioni del mercato, ma focalizzano la loro attenzione anche sui modi attraverso cui le pratiche artistiche e curatoriali interagiranno con la crisi di un modello di produzione in cui esse non solamente si riflettono, ma di cui hanno interpretato lo spirito più profondo.
Indice
Introduzione di Marco Baravalle
PARTE I - ARTE, SOGGETTIVITÀ E ATTIVISMO
Ricatturare la sovversione. Rovesciare le regole del gioco culturale, di Brian Holmes
La potenza creativa della politica, la potenza politica della creazione, di Judith Revel
Molare e Molecolare: rapporti tra soggettività e cattura nell’arte, di Maurizio Lazzarato
Artisti ready-made e sciopero umano. Qualche precisazione, di Claire Fontaine
La soggettività contro l’immagine. Arte e femminismo, di Giovanna Zapperi
Il dissenso: modi d’esposizione. Il caso dell’archivio Disobedience, di Marco Scotini
Un Rendezvous, di Vincent Meessen e Marko Stamenkovic
L’arte come macchina ecosofica. Guattari oltre Guattari, di Josè Pères de Lama aka Osfa
Oltre la mostra, oltre la metropoli, di Hans Ulrich Obrist intervistato da Marco Baravalle
PARTE II - ARTE E MERCATO
Mercato dell’arte, bioeconomia e finanza, di Andrea Fumagalli
Oltre le rovine della città creativa. La fabbrica della cultura, E il sabotaggio della rendita, di Matteo Pasquinelli
Tavola rotonda su arte e mercato, di Angela Vettese, Anna Daneri, Chiara Bersi Serlini
PARTE III - ARTE E MOLTITUDINE
Arte e lavoro immateriale, di Toni Negri
Gli intermittenti dello spettacolo o la figura dell’eccezione francese. Breve storia di un’inchiesta precaria, di Antonella Corsani
Venezia: L’investimento nell’arte contemporanea, e il lavoro precario nella fabbrica della cultura, di Tomamso Cacciari
La parte della moltitudine, di Alberto De Nicola e Gigi Roggero
Il curatore
Marco Baravalle è attivista dello spazio autogestito S.a.L.E ( Venezia). Curatore di mostre tra le quali ricordiamo Dis-Orders (Fondazione Bevilacqua la Masa, Venezia, 2006), Trouble Makers eGiafranco Baruchello: sperimentazioni desideranti ( S.a.L.E, Venezia, 2008 e 2009). Ha contribuito all’organizzazione del seminario Multiversity. È intervenuto in numerosi seminari in spazi artistici, in Italia e all’estero. Ha lavorato tre anni come assistente alla didattica presso la Facoltà di Arti e Design dell’Università IUAV di Venezia. Attualmente è dottorando in Urban Studies presso L’università Bauhaus di Weimar. È membro della rete UniNomade.
Link
www.sale-docks.org
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