Recensione di Elisa Leonzio – 28/08/2009
Etica, Filosofia teoretica (gnoseologia, ontologia), Filosofia della religione
Il ponderoso studio che Tamagnone dedica all’ateismo filosofico e alla sua rinascita nella Francia del Settecento consta di due volumi: il primo volume si suddivide a sua volta in due parti, delle quali la prima affronta questioni di carattere socio-politico ed etico, mentre la seconda è dedicata alla riflessione teologica e ai movimenti religiosi settecenteschi; il secondo volume si compone invece di tre parti, che, proseguendo la numerazione dal volume precedente, sono indicate come parte terza, quarta e quinta: la parte terza offre una ricostruzione dell’orizzonte culturale dell’età dei Lumi, sotto cui rientrano, a vario titolo, nuovamente problematiche di carattere etico, ma anche lo sviluppo della scienza e di nuove tecnologie e la diffusione del sapere tecnico-scientifico; solo nella quarta parte, dopo più di seicento pagine, Tamagnone giunge all’argomento che dà il titolo al suo studio, cioè appunto la filosofia atea, di cui, dopo un capitolo di presentazione generale della tematica e di indispensabili precisazioni terminologiche, sono illustrati in singoli capitoli i pensatori più significativi; segue una quinta ed ultima parte in cui l’autore trae un bilancio sull’eredità illuministica nell’Ottocento e Novecento.
A motivazione di questa impostazione del suo lavoro Tamagnone spiega che per comprendere appieno l’ateismo del Settecento e, inoltre, la sua specificità francese (“dal momento che gli unici filosofi atei del Settecento sono francesi”, p. 10) è indispensabile collocare il fenomeno della sua rinascita in un più ampio contesto storico (la Rivoluzione francese) e socio-culturale e porlo a confronto con gli sviluppi scientifici e tecnologici del tempo, di cui soprattutto, ma non solo, l’Encyclopédie è straordinaria testimonianza. Questa contestualizzazione è del resto utile a Tamagnone per dimostrare una delle sue prime tesi, enunciata fin dall’introduzione: il Settecento vanta un’originalità e dunque unicità nella storia europea che solo una critica miope e ideologicamente orientata in senso idealistico (e ciò vale soprattutto per la critica italiana) ha potuto e voluto misconoscere. Con ciò l’autore, come emergerà anche dal prosieguo del discorso, non intende negare in toto gli innegabili debiti che il secolo dei Lumi intrattiene con quello che lo precede, ma piuttosto ridefinirli: il Seicento si rivela base imprescindibile soprattutto per le sue scoperte astronomiche e per lo sviluppo di un pensiero scientifico che, per la prima volta, da metafisico si trasforma in a- o in anti-metafisico. D’altra parte, però, “la tendenza a risolvere i problemi, specialmente quelli etici e sociali, affidandosi alla ragione e non più alla fede” (p. 21) è, tanto più per la misura estensiva in cui ciò si verifica, peculiarità pressoché esclusiva dell’Illuminismo. Accanto a tutto ciò va peraltro rilevato come Tamagnone sia ben lontano dall’interpretare l’intero Illuminismo nei termini di un movimento antimetafisico e antireligioso; al contrario, egli si premura di sottolineare gli esiti (volutamente o involontariamente) metafisici di molti pensatori dell’Illuminismo, giungendo però a ricercare per loro una definizione alternativa a quella di ‘illuministi’, invece riconosciuta dalla più parte della critica.
VOLUME I
L’indagine socio-politica che occupa la prima parte del saggio si apre con una serie di considerazioni sulle dinamiche di potere che segnano il rapporto tra le classi dominanti e la assai più numerosa base popolare nell’Europa del Settecento e prosegue con un’analisi della struttura sociale dei grandi stati europei del Settecento. Tra essi particolare attenzione ricevono l’Inghilterra e la Francia, che vengono presentate in termini contrastivi: mentre in Inghilterra si affaccia un nuovo modo di concepire lo Stato come “erogatore di servizi” (p. 27), che sempre più incontra il consenso della allora nascente borghesia, in Francia, invece, saranno proprio l’immobilismo delle strutture statali e l’assenza di sbocchi politico-decisionali per il ceto borghese a determinare l’insorgere dei moti rivoluzionari.
Complessivamente il Settecento, anche agli occhi di chi lo vive, è in ogni caso avvertito come il secolo della liberazione e della possibilità di qualcosa di nuovo (p. 62), a cui si lega la scoperta dell’individualità e l’attenzione alla felicità (per la prima volta terrena) del singolo (tra i possibili esempi, l’etica edonistica di Gassendi e l’interesse per la persona di contro alla astratta umanità nella filosofia di Bayle). Inoltre, accanto al permanere di un forte sentimento religioso tradizionale, nascono proprio in quest’epoca teologie alternative a quella cristiana, dunque post-cristiane (non, si badi bene, post-teologiche), legate alla “intuizione dell’onnicomprensività della natura” (p. 82), tra le quali spicca il deismo.
Prima di affrontare dettagliatamente le nuove teologie settecentesche lo studioso considera alcune figure chiave del Seicento, il cui pensiero ha in vasta misura influenzato l’Illuminismo: Bacone, Hobbes, Gassendi, Locke, Bayle e Newton. Nonostante la diversità degli ambiti (gnoseologico e morale) in cui i sei autori si muovono, Tamagnone mostra, testi alla mano, come in ciascuno di essi si possano riscontrare alcuni elementi che divengono poi decisivi per il successivo sviluppo del pensiero settecentesco. Comune a tutti i pensatori analizzati in questa sezione è, per Tamagnone, la presenza di una forte spinta innovatrice e di una più o meno netta presa di distanza dalla metafisica, che coesiste però con la volontà di mantenersi nell’alveo della religione cristiana: ciò conduce a inevitabili compromessi e all’arrestarsi del pensiero di fronte alle soluzioni più ardite e potenzialmente più dannose per il Cristianesimo.
La seconda parte del saggio affronta le diverse teologie compresenti nel Settecento, ciascuna legata ad una particolare immagine di Dio: il Dio-Volontà del Cristianesimo, il Dio-Necessità del panteismo e il Dio-Bontà-Provvidenza del deismo. L’indagine muove dalla considerazione che scopo di molti Illuministi non è affatto la distruzione della religione, quanto piuttosto il “rinnovamento della fede, una revisione dottrinaria e la sostituzione del Cristianesimo con il Deismo” (p. 333): respinti la Rivelazione e il dogmatismo, si assiste ad una “trasmigrazione verso altri orizzonti teologici” (p. 336).
Dopo alcune chiarificazioni terminologiche a proposito del deismo Tamagnone procede all’analisi del pensiero di Voltaire, Rousseau, Berkeley, Hume e Kant. Nonostante il Cattolicesimo abbia propagandato l’immagine di un Voltaire irreligioso, in realtà egli è sì un oppositore del Cristianesimo (e della Chiesa di Roma), ma certo non un ateo. Voltaire è semmai un uomo alla ricerca di una religione basata sulla naturalità: contrapponendosi all’idea della rivelazione, egli concepisce la religione come un processo in fieri, legato al progredire dell’uomo nella conoscenza della Creazione, cioè della natura (p. 374). Sebbene il terremoto di Lisbona incrini il suo concetto di un ordine assoluto del mondo garantito dalla Provvidenza divina, Voltaire supererà questa crisi facendo coincidere la Provvidenza con la Necessità cosmica, fino a giungere, a partire dal 1760, ad una ‘ambigua sintesi’ che si esplica nell’immagine di “un poliedrico Dio-Volontà-Provvidenza-Necessità” di cui egli stesso sottolinea l’incomprensibilità (p. 389).
Intriso di religiosità e di provvidenzialismo è anche il pensiero di Rousseau, di cui Tamagnone apprezza soprattutto le grandi doti letterarie e la finezza psicologica (nell’analizzare se stesso), giudicando invece la sua opera priva di elementi filosofici (p. 394). Incapace di staccarsi dall’ottimismo metafisico anche di fronte al terremoto di Lisbona, che valuta come qualcosa di irrilevante se confrontato in termini proporzionali con il tutto, Rousseau si rivela poi anche, in particolare nel Contratto sociale, assai vicino al platonismo. Il carattere reazionario della filosofia roussoviana, che si riscontra tanto nel suo richiamo ad un’età arcaica quanto nell’invito ad un ritorno al Cristianesimo originario, mal si concilia, agli occhi di Tamagnone, con il carattere laico e progressista dell’Illuminismo, tanto che egli preferisce escludere Rousseau dal novero degli illuministi.
Anche nella trattazione di Berkeley e, soprattutto, di Hume e di Kant Tamagnone mette in discussione la loro appartenenza all’Illuminismo: ciò perché tutti e tre hanno come scopo “quello di togliere validità alla conoscenza scientifica, per affidarsi unicamente alla religione come fonte di una ‘sapienza’ autentica e pre-cognitiva” (p. 424). Questo progetto si attua attraverso la rinuncia al metodo osservativo-sperimentale proprio della scienza, che viene sostituito dall’intuizione del divino quale verifica della verità già rivelata nelle Sacre Scritture. Ciò si manifesta in Berkeley come “negazione dell’oggetto della conoscenza”, in Hume come “indimostrabilità della realtà causale”, in Kant come “limitazione del conoscere alla sfera delle apparenze” (ibidem). Se l’idealismo di Berkeley e il suo favore per il Cristianesimo giustificano l’esclusione che Tamagnone opera nel suo caso, le analoghe affermazioni nel caso di Hume e di Kant risultano invece il punto più problematico e discutibile dell’intero saggio. Sorprende, infatti, vedere negati l’ateismo di Hume e l’effetto destabilizzante che il suo scetticismo ha non solo sulla conoscenza scientifica, ma anche, anzi principalmente, sulla religione: è sufficiente scorrere le pagine che Hume dedica ai miracoli nella Ricerca sull’intelletto umano per coglierlo pienamente, mentre d’altra parte è innegabile che il tentativo che anima la Ricerca – e che segna il suo progresso rispetto al Trattato sulla natura umana – è quello di giungere ad uno scetticismo moderato, legato al concetto di probabilità, che non sia del tutto inconciliabile con il metodo scientifico. Analogamente, riguardo a Kant, occorre osservare che la limitazione della sfera del conoscere non implica certo una svalutazione della conoscenza scientifica e tantomeno un abbandono alla metafisica: sostenere ciò significa misconoscere totalmente gli intenti fondativi dell’impresa kantiana, che, nel circoscrivere il campo d’azione della ricerca umana, mira ad assicurarle basi più salde.
L’interpretazione di Tamagnone si può però spiegare con il bisogno di porre comunque una linea di demarcazione netta tra la filosofia di Hume e Kant (per non parlare di quella dei ‘provvidenzialisti’ Voltaire e Rousseau) e la filosofia atea di Meslier, La Mettrie, Helvétius, D’Holbach e Diderot, i veri esponenti dell’ateismo filosofale, che lo studioso considera successivamente.
Volume II
Il secondo volume è inaugurato da una sezione dedicata ad alcune tematiche specifiche dell’Illuminismo che, pur non connettendosi direttamente alla rinascita dell’ateismo filosofico, hanno determinato il clima culturale che l’ha reso possibile. “Esse sono, in primo luogo, la libertà di espressione, la tolleranza, l’ammissione del diritto al piacere e alla felicità, ed in secondo luogo gli sviluppi della scienza e della tecnica” (p. 505).
Il nuovo corso assunto dalla scienza nel Settecento apre la via ad un “ritorno dell’ontologia pluralistica, all’ammissione dell’esistenza del vuoto e ad una migliore elaborazione del concetto di moto” (p. 630). In questo quadro e a partire da queste tematiche Tamagnone intraprende, nella parte quarta del suo saggio, l’analisi di cinque pensatori atei, che hanno creato “una sorta di metafisica materialistica, dove la Necessità impersonale prende il posto della Volontà del Dio personale della Bibbia” (p. 627).
Concetti-guida dell’indagine sono il meccanicismo, il sensismo e il determinismo. Ad aprire la carrellata è il sacerdote Jean Meslier, curato di Etrepigny e primo vero ateo della modernità, come testimoniato dal suo Testamento, rinvenuto alla sua morte nel 1729. Assistendo, nella sua attività di parroco, all’ingiustizia sociale subita quotidianamente dai contadini e comprendendo come essa sia “l’esito storico di un patto scellerato tra il potere politico e il potere religioso” (p. 691), Meslier sviluppa una critica che li coinvolge entrambi. D’altra parte, però, egli è sì un critico acuto, ma non un riformatore sociale e, conscio dei rischi cui una aperta professione di ateismo lo esporrebbe, affida la sua confessione ad un testo postumo, il Testament appunto. In esso Meslier smaschera le imposture sottostanti alla dottrina religiosa e la loro strumentalizzazione: se il concetto di gerarchia (Signore e sottoposti) deriva dall’assolutezza del concetto di Dio, è proprio Dio che viene da Meslier negato, attribuendo alla materia quella proprietà di essere causa sui e dunque di muoversi (e divenire) da sé che tradizionalmente era attributo del divino.
Simile in qualche modo è il percorso di La Mettrie, anch’egli costretto dalla prudenza a celare il proprio ateismo dietro ad uno “scetticismo neutrale” (p. 721). La Mettrie ha una “concezione della dinamica della natura pre-evoluzionistica” (p. 722), basata sulla “casualità e l’indeterminatezza” (p. 754), che lo salva da un completo appiattimento sul determinismo meccanicistico. Egli, è vero, nel tentativo di spiegare il movimento, risale di causa in causa fino ad una forma sostanziale attiva che, se più nulla ha a che fare con il Dio biblico, si avvicina invece al dio dei panteisti e dei deisti; d’altra parte, però, l’affermazione che la natura opera in modo del tutto inconsapevole, “per tentativi e per errori” (p. 754), implica che essa è del tutto priva di qualunque carattere divino.
Di fortissimo impatto già nella sua epoca fu l’opera De l’esprit di Helvétius, uscita nel 1758: un’opera intrinsecamente blasfema e critica verso il potere. La concezione ateistica del mondo propria del filosofo ritorna peraltro, ed in maniera ancora più esplicita, nel De l’homme, pubblicato postumo nel 1772. Di Helvétius Tamagnone sottolinea prima di tutto il forte impegno pedagogico-educativo, mostrando come esso trovi i propri fondamenti in un sensismo radicale (“nell’uomo tutto si riduce a sentire”, p.783): lo spirito umano è una sorta di macchina passiva che riceve sensazioni dall’esterno e produce idee mantenendosi in un orizzonte rigorosamente materialistico; in ciò non vi è differenza tra le strutture del cervello animale e di quello umano, se non che quest’ultimo è più plastico e dunque addestrabile mediante l’educazione. Aspre sono in tal senso le critiche che Helvétius rivolge alla religione, che egli vede come causa di ignoranza e come ostacolo alla formazione di una morale basata sull’interesse personale.
D’Holbach è “il pensatore che più di ogni altro ha posto chiaramente l’ateismo alla base del suo orizzonte ontologico ed esistenziale” (p. 796). Nel contempo, però, Tamagnone sottolinea come il suo dogmatismo lo differenzi profondamente dal pensiero di La Mettrie e, in generale, dalle tendenze antisistemiche e relativistiche dell’Illuminismo. Inoltre D’Holbach ripropone due aspetti del pensiero arcaico ed antico, l’ilozoismo e il vitalismo, che erano tipicamente teologici e che mal si accordano con la sua teoria dichiaratamente atea. E altrettanto può dirsi del suo materialismo deterministico, se si muove dal presupposto – da Tamagnone però esplicitato in modo più chiaro solo nella parte terminante del proprio saggio – che “il materialismo in se stesso non è per nulla a-teologico: lo diventa soltanto nel momento in cui, ammettendo il caso, nega risolutamente sia il Dio-Volontà che il Dio-Necessità ed esce totalmente dall’ambito della teologia che essi definiscono” (p. 992).
Secondo Tamagnone l’ateismo di D’Holbach ha dunque valore più per le sue implicazioni etiche che per quelle filosofiche: questi infatti, espungendo il divino dal proprio sistema, ha propugnato una morale atea fondata su valori civili e solidaristici e in cui, come già per Helvétius, il movente primario dell’agire è l’interesse. In D’Holbach lo studioso vede poi anche un anticipatore di Feuerbach poiché prima di lui ha intravisto il carattere proiettivo dell’idea di Dio, creato dall’uomo per infinitizzare se stesso.
È comunque in Diderot che Tamagnone vede il pieno realizzarsi dello spirito illuministico. Ciò perché Diderot è un filosofo antidogmatico, cui è del tutto estranea la tentazione di costruire modelli e sistemi: egli si dichiara contro “il materialismo rozzo, contro il sensismo semplicistico e contro il determinismo totalizzante” (p. 867), cui contrappone la facoltà dell’uomo di autodeterminarsi. Il suo ateismo, scevro così “di tutti quegli elementi impropri che ne fanno una para-metafisica” (ibidem), si rivela più autentico di quello di Helvétius e di D’Holbach.
Con il pensiero “debole”, “profondo e problematico” (p. 928) di Diderot Tamagnone conclude la propria analisi dell’ateismo settecentesco e si avvia, nella quinta e ultima parte, a trarre un bilancio dell’Illuminismo, del suo superamento e della sua eredità. Lo studioso propone di interpretare l’Illuminismo come un “modo di pensare” (p. 993) che si oppone al buio culturale che aveva caratterizzato la cultura precedente. Di esso vanno riconosciute la disomogeneità e l’incoerenza, ma Tamagnone, attraverso la sua ricerca, ha comunque voluto tentare di sottrarlo “a quell’autentico caos ermeneutico che trova la propria origine in un’indebita estensione del concetto stesso in direzioni improprie” (p. 995). In questa linea va sicuramente letta l’esclusione di Rousseau e di Kant. Per quest’ultimo, in particolare, Tamagnone utilizza l’attributo di ‘post-illuminista’ in quanto la sua morale non eudaimonistica segnerebbe, con il suo abbandono dell’etica del piacere, la fine dell’Illuminismo.
Indice
Tomo primo
Parte Prima. Società e cultura nell’Età dei Lumi
Parte Seconda. Gnoseologia ed ontologia del Dio-Natura: tra il Dio-Volontà e il Dio-Necessità
TOMO SECONDO
Parte Terza. Un nuovo orizzonte di civiltà e di cultura
Parte Quarta. La filosofia atea: i suoi uomini e i loro temi
Parte Quinta. La fine dell’Illuminismo
Conclusione
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice analitico-tematico
L'autore
Carlo Tamagnone (Torino, 1937), di formazione tecnico-scientifica, ha poi conseguito una laurea in Lettere ed è oggi uno dei più attenti studiosi del pensiero ateo. Al tema ha già dedicato il saggio Ateismo filosofico nel mondo antico (2006 – già recensito per «ReF», n° 15, febbraio 2007), rispetto a cui L’Illuminismo e la rinascita dell’ateismo filosofico si pone come ideale prosecuzione. In quest’ultimo saggio riprende peraltro anche argomentazioni sviluppate in altre sue opere: le tesi ontologiche ed esistenziali qui proposte erano infatti già presenti in Necessità e libertà. L'ateismo oltre il materialismo (2003), mentre quelle gnoseologiche erano contenute in La filosofia e la teologia filosofale (2007 – già recensito per «ReF», n° 25, gennaio 2008).
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