venerdì 13 novembre 2009

Urbinati, Nadia, Lo scettro senza il re.

Roma, Donzelli, 2009, pp. 132, € 15,00, ISBN 9788860363565.

Recensione di Gennaro De Falco – 13/11/2009

Filosofia politica, Filosofia del diritto

Il breve saggio di Nadia Urbinati offre interessanti spunti al lettore per comprendere meglio come oggi, in una realtà sempre più complessa e sfuggente, operi la democrazia, cosa essa significhi e quali modalità di interrelazione con i cittadini esprima.
Dopo alcuni cenni storici sulla democrazia, considerata nell’antichità come il governo dei poveri (cfr. p. 3), vista sfavorevolmente sino all’età moderna in quanto governo della moltitudine, l’autrice pone la sua attenzione sulla differenza sostanziale tra la democrazia odierna e quella antica.
Infatti oggi non si può certo sostenere, come nell’Atene di Pericle, che democrazia significhi partecipazione diretta di tutti i cittadini alla gestione della res publica.
Democrazia, oggi, significa temporaneità dei pubblici poteri: il voto, pertanto, viene ad essere elemento indispensabile in quanto, attraverso di esso, i cittadini hanno il potere di scegliere chi dovrà rappresentarli per un determinato periodo, sino alle successive elezioni.
Democrazia rappresentativa – e non più diretta – è quella che permea gli stati moderni occidentali (con il grave rischio che, autoreferenzialmente, le forme occidentali di governo si considerino migliori di quelle esistenti in altre parti del mondo): “La rappresentanza mette in moto un processo politico complesso che attiva il popolo sovrano ben al di là dell’autorizzazione elettorale” (p. 16).
In questo processo i cittadini non sono attori solo nel momento del voto, ma lo restano per tutto il periodo in cui durano in carica i loro rappresentanti: le elezioni creano una “relazione tra partecipazione e rappresentanza (società e Stato)” (p. 20), nella quale gioca un ruolo fondamentale l’informazione, argomento che si affronta efficacemente e criticamente nell’epilogo del libro (cfr. pp. 123-126). In tali pagine, infatti, l’autrice sostiene con forza che la teoria della rappresentanza democratica deve tenere in necessaria considerazione le circostanze nelle quali si forma il giudizio politico e, nel contempo, mette in luce i limiti che le costituzioni moderne presentano in relazione al diritto di informazione. Un cittadino che non può liberamente accedere a tutti i mezzi di informazione, o a cui non è garantito un reale pluralismo di fonti di informazioni (e dualismo non significa pluralismo), vedrà leso il suo diritto di voto.
Accanto a quella della rappresentanza democratica, l’autrice fa cenno ad altre due teorie - la rappresentanza giuridica, della quale è opportuno ricordare, come suoi importanti esponenti, Hobbes e Sieyès, e quella istituzionale (che prende a modello la teoria giuridica) a cui l’autrice dedica meno attenzione –, entrambe basate sul dualismo tra Stato e società, ovverosia sulla indipendenza tra la sfera sociale e quella politica (cfr. p. 40), nonché su una concezione volontaristica della sovranità.
Tutt’altri panni veste la rappresentanza democratica che non si esaurisce in aspetti puramente formali e dualistici, presupponendo invece una “circolarità tra istituzioni e società” (p. 43), che porta ad assimilare entrambe a camere comunicanti, e non più stagne, dove agisce quello che gli americani chiamano soft power, quel potere cioè che viene dal giudizio e dalle opinioni degli elettori (cfr. p. 46) e che presuppone una informazione libera e plurale.
I cittadini, in un modello perfetto di rappresentanza democratica, esercitano un potere negativo la cui peculiarità consiste, al di là del momento del voto, nella possibilità di “interrompere, arginare o modificare il corso d’azione dei rappresentanti eletti” (p. 57). Tali eventuali attività nascono dalla possibile circostanza che un elettore, avendo espresso il suo voto in un precedente momento per un determinato candidato a fronte del suo programma politico e/o delle sue opinioni politiche, successivamente non ne condivida più l’operato.
Bisogna infatti tener presente che un rappresentante eletto porterà avanti una linea politica che non sarà mai predefinita in toto, ma che dovrà adattarsi alle situazioni del momento e che sarà pertanto oggetto di valutazione da parte degli elettori: “L’orecchio più che l’occhio è l’organo sensoriale che corrisponde alla rappresentanza, nella misura in cui la sua forma sono le idee e le parole, non la persona fisica” (p. 69).
Dalle considerazioni espresse da Nadia Urbinati, il programma politico – che pur è determinante per la scelta degli elettori – viene ad essere un canovaccio, uno schema a cui è verosimile si aggiungano, in corso d’opera, altre parti ed elementi.
La stessa autrice avverte che la scelta razionale degli elettori, talvolta, rischia di essere subordinata alla condivisione o meno, da parte degli stessi, di specifiche costellazioni di idee o, detto in altre parole, alla identificazione di tali idee in un certo candidato.
Nell’odierno sistema democratico i partiti risultano essere ancora indispensabili, potendo essere considerati come associazioni di parte ma collettive, luoghi dove i cittadini e i rappresentanti hanno la possibilità di riconoscersi vicendevolmente (cfr. p.76).
Ciò non significa che i partiti rappresentino solo i loro iscritti, come tradizionalmente era in una logica di lotta di classe. La loro azione è trasversale e punta a tutelare interessi generali che appartengono a tutta la comunità. Basti pensare che le questioni inerenti a tematiche quali l’ambiente, l’occupazione, la finanza e la tutela del credito, catalizzano ormai le attenzioni di tutti i partiti e di tutti i rappresentanti politici.
L’autrice non condivide l’opinione di chi ravvisa in una ipotetica democrazia post-partitica una fase di maggiore libertà per i cittadini; ne è riprova, a dire di quest’ultima, che lo stesso Silvio Berlusconi è stato costretto a fondare un movimento politico assimilabile ad un partito, non essendo sufficiente il mezzo televisivo per veicolare la sua immagine quale uomo politico (cfr. p. 86 sg).
La parte finale del libro è dedicata ad illustrare il concetto di patrocinio (in inglese advocacy), per il quale un soggetto eletto dai cittadini deve essere in grado di perorare le cause per cui i cittadini lo hanno preferito ad altri, senza però farsi trascinare così tanto (dalla identificazione nelle proprie cause) da chiudere ogni rapporto dialettico con gli schieramenti politici avversari.
Legato a quello di patrocinio è il concetto di “somiglianza ideologica intesa come somiglianza di prospettive” (p. 120) per cui gli elettori sceglieranno il candidato che ritengono migliore non tra tutti, ma tra quelli che più sono aderenti ed affini alle loro idee.
L’impianto teorico illustrato dall’autrice, oltre ad essere un interessante spunto di riflessione per comprendere le caratteristiche necessarie della democrazia rappresentativa odierna, può entusiasmare il lettore che, leggendo di questi complessi meccanismi della democrazia, si sente parte di un sistema dove è attore. Uno dei tanti elettori, ma pur sempre attore.
Il saggio di Urbinati, il cui impianto teorico può essere contestualizzato nella realtà che domina in Italia (e non solo) - dove il confronto tra le parti politiche avversarie non pare riflettere queste complesse dinamiche della rappresentanza, dove l’elettore è talvolta disaffezionato alla res publica-, rappresenterà per molti lettori uno stimolo ad una più attenta analisi del sistema politico e del gioco democratico e, nel contempo, un incoraggiamento ad una ancora più intensa partecipazione, elemento indispensabile per garantire cambiamenti efficaci, fruttuosi e duraturi.
Magari, alcuni lettori, quelli più pessimisti e sfiduciati, pur trovando giuste ed affascinanti le teorie esposte dall’autrice, non cambieranno idea, restando convinti che, da qualche parte, il sistema politico ed istituzionale racconti un’altra storia che potrebbe intitolarsi La menzogna, prendendo in prestito il titolo di una meravigliosa opera teatrale del regista Pippo Delbono.

Indice

Introduzione. Rappresentanza e democrazia: oltre la politica come presenza
Gli esempi contrari che ci vengono dalla storia
Concezioni della rappresentanza
Rappresentanza come processo politico
Il potere negativo dei cittadini
Discordia e voto, presenza e voce
Cittadini-partigiani e partiti politici
La Democrazia del pubblico
La duplice natura dell’eguaglianza
Patrocinio
Rappresentatività
Epilogo
Indice dei nomi


Il curatore

Nadia Urbinati insegna Teoria politica alla Columbia University. Tra le sue monografie più recenti, Representative Democracy. Principles and Genealogy (Chicago Press, 2006; 2008) e L’ethos della democrazia (Laterza 2006).

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