Recensione di Monia Andreani – 31/01/2010
Filosofia Politica
L’ultimo libro di Luigi Alfieri è dedicato all’analisi della guerra come dimensione antropologica e come dimensione politica. Tale intento – dichiarato all’inizio e portato avanti con costanza fino alla fine - costituisce la peculiarità di questo lavoro, la sua efficacia teorica e prospettica. Alfieri analizza la guerra come “il culmine dell’esperienza umana” (p. 9) e riprende, per svolgerla fino in fondo con coerenza, la celebre definizione di Elias Canetti secondo cui in guerra “si tratta di uccidere”. Il libro si apre con una domanda rispetto alla politica e al rapporto tra politica e verità: Già i filosofi classici hanno cercato il luogo del discorso vero all’interno dello spazio politico, e sono giunti alla conclusione che il governo democratico in cui vivevano, come spazio della conflittualità e del disaccordo, era un luogo del tutto estraneo alla parola unica del discorso vero. Ma se c’è una frattura all’origine tra la dimensione filosofica e la prassi politica, occorre rintracciarla in un altrove rispetto alla razionalità apollinea e alla filosofia che ne è figlia. Per questo il Prologo del volume contiene una importante analisi antropologico-filosofica dell’identità in quanto dimensione collettiva che si coagula attorno ad uno spazio simbolico in cui è possibile costruire il senso del Noi e l’appartenenza ad un gruppo. Il disporsi originario dei componenti del gruppo attorno ad un simbolo, che è di altra natura rispetto al loro essere viventi, porta ad un processo di acquisizione di una identità collettiva. La differenza originaria è necessaria in quanto svolge la funzione di fulcro attorno al quale si può dire di essere tutti uguali – ovvero tutti differenti. Il simbolo che sta al centro del cerchio, attorno a cui si costruisce l’identità, è un confine assoluto e un confine interno, un perno attorno a cui tutti i componenti del gruppo girano insieme. In questo confine che è allo stesso tempo “inaccessibile, intoccabile, privilegiato, impuro […]” (p. 26), Alfieri ritrova il senso del sacro. All’origine dell’identità, quindi, non c’è l’autoreferenzialità di un centrarsi sul noi, ma un girare attorno ad altro: “dunque diremo di essere quelli che hanno un non/noi comune. Un qualunque possibile non-noi comune. Un qualunque possibile non-noi, una qualsiasi dimensione del non-umano. Sarà spesso una dimensione animale. Chi siamo noi? Siamo i Parrocchetti. O gli Opossum. O i Lupi, i Leoni, i Gattopardi […]” (p. 27). René Girard interpreta questo elemento differente come il frutto di una uccisione originaria e collettiva, laddove alla base dell’uguaglianza c’è la differenza primaria, quella che si stabilisce tra molti vivi e un solo morto. All’interno di una conflittualità diffusa, nel gruppo emerge un elemento di differenza che caratterizza un solo individuo, e su questo si catalizza la violenza di tutti gli altri, che sono invece indifferenti rispetto a quella specifica differenza. Allora tutti coloro che sono uguali uccidono il diverso e così rendono manifesta la differenza originale che è la Morte, rappresentata nello specifico dalla sua manifestazione, ovvero da un cadavere. In ogni uccisione che si ripete, ad essere uccisa simbolicamente è quella differenza che scombinava, che catalizzava il conflitto, ma quella differenza è diventata la Morte. Al centro di questo cerchio della violenza sta la vittima che muore da innocente, quindi accettando la propria uccisione, senza la quale noi non saremmo noi, gli assassini, coloro che uccidono la Morte. Elias Canetti, al contrario, non identifica la violenza fondatrice della comunità con il mito del sacrificio della vittima, ma interpreta la scena originaria in maniera capovolta. Il confine è doppio: sia esterno che interno. Fuori c’è il Nemico che è il non-noi, la Morte esterna che ci assedia e che bisogna uccidere per poter rimanere vivi. Ma per uccidere la Morte esterna si ricorre al confine interno, che è anch’esso Morte, intesa come strumento per proteggere il gruppo. Scrive Alfieri: “E’ il tragico paradosso dell’obbedienza, il rischio estremo che viene corso da chi cerca definitiva sicurezza: per non essere uccisi si uccide, ma per poter uccidere bisogna essere uccisi. E’ così che intorno al centro si accumulano i morti, e per chi sta al centro non importa distinguere i morti altrui o quelli propri. Tutti i morti sono suoi, tutti lo rafforzano, lo innalzano, moltiplicano la sua capacità di diffondere intorno morte e obbedienza, e dunque ancora morte. In questa sopravvivenza, in questo vivere grazie ai morti e letteralmente sopra i morti, Canetti vede la sostanza del potere” (p. 33). Secondo Alfieri, entrambe le versioni della fondazione della violenza umana all’interno del gruppo dei viventi sono giuste: né Girard, né Canetti hanno sbagliato, ma hanno ragione solo insieme. La Morte è il confine esterno, ma è anche il confine interno, è un non-noi che sta dentro e fuori. E questo è tanto più evidente se posto in relazione alla guerra, come paradigma della violenza, tra la seconda metà del ‘900 e l’inizio del XXI secolo. Dopo i due orrendi estremi della Seconda Guerra Mondiale – la morte seriale nei campi di sterminio nazisti e la Bomba atomica che ha cancellato due città del Giappone e ha lasciato dietro di sé la scia della morte per contaminazione –, la guerra ha assunto una nuova dimensione. E noi che continuiamo a funzionare come il gruppo originario, giriamo ancora attorno alla Morte, ma avendo diminuito e in molti casi reso virtuali le uccisioni. Ora la Morte per antonomasia è la Bomba che potrebbe uccidere tutti definitivamente, ma che tuttavia rimane virtuale: infatti, data la sua potenzialità annichilente, nessuno vuole che scoppi per davvero. Trasformando la morte in principio costruttivo, come scrive Alfieri: “abbiamo raggiunto il punto di non ritorno da cui nasce una svolta radicale. La guerra l’abbiamo sempre fatta. Ma adesso, o la guerra finisce o finiamo noi” (p. 35). Tuttavia con l’avvento della Bomba la guerra è cambiata ma non è finita, e questo fatto necessita di una riflessione sul conflitto bellico in termini politici e giuridici. Per questo Alfieri si concentra sulla categoria politica di sovranità, e soprattutto sulla differenza tra sovranità interna e sovranità esterna. Secondo l’autore, dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati che non posseggono nel loro arsenale la Bomba atomica non possono essere più considerati sovrani. La sovranità esterna, infatti, non è data una volta per tutte, e “non si fonda in nessun caso su un titolo di legittimità che non sia la guerra” (p. 42). Tutti gli Stati che non possono vantare la possibilità di fare la guerra con la Bomba non sono più sovrani, nel senso che non possono più essere titolari di un’azione di guerra – se non in coalizione e obbedendo a potenze nucleari. D’altro canto, chi ha la Bomba è condannato ad una sovranità che continua fino a quando possiede l’arma di distruzione; per questo la Russia, nonostante i profondi mutamenti avvenuti dopo la caduta dell’URSS, è ancora uno Stato sovrano. La guerra che stabilisce la sovranità esterna, quindi, non è più possibile, se non come un suicidio collettivo. Pertanto è diventata una non-guerra, che è allo stesso tempo una guerra fredda o una pace nucleare tra Stati sovrani (detentori della bomba). Parallelamente, la Dichiarazione di guerra è scomparsa nella prassi politica internazionale, e anche la stessa parola “guerra” è stata sostituita da altre che corrispondono meglio all’orizzonte mutato. Tuttavia, come fa notare Alfieri con logica stringente, quello che non è cambiato è il paradigma della violenza, ora però giocato nella dimensione della sovranità interna. In questo quadro si inseriscono il terrorismo e l’ormai decennale guerra al terrorismo, che non è una guerra tra soggetti sovrani, bensì una guerra che uccide, fiacca e irrita i giganti nucleari, ma che non sposta la situazione sul piano internazionale – almeno fino al momento in cui il terrorismo internazionale non si dotasse di un pari arsenale nucleare, ma a quel punto diverrebbe un soggetto sovrano. Con un’analisi della dimensione politica della sovranità interna, l’autore riflette – a partire da Hobbes – sul problema del consenso alla guerra. Secondo il paradigma hobbesiano, il sovrano ha tutti gli strumenti per uccidere, e il principale di questi è senza dubbio il consenso, che diventa “legittimità”. Ed è sul tema del consenso che Alfieri nota una irriducibile problematicità delle considerazioni hobbesiane. Infatti la motivazione del pactum originario – col quale i pari rinunciano alla sovranità diffusa e alla possibilità di darsi la morte l’un l’altro in favore di un unico che può uccidere, ma che dà anche la sicurezza di pacificare tutti – non regge alle prove della storia dell’umanità. La sovranità concentrata nelle mani del sovrano ha ucciso molto di più di quella diffusa, e anche l’antropologia culturale fornisce prove inequivocabili in tal senso. A questo punto, decaduto il mito del potere securitario e pacificatore della sovranità, la domanda sul consenso necessita di un'altra risposta, che Alfieri rintraccia nel problema dell’individualismo e del suo limite insormontabile, che è dato ancora una volta dalla morte. “L’indipendenza reciproca (la pari uccidibilità) può darci la sicurezza meglio di quanto farebbe qualunque sovrano. Ma ci lascia soli con la nostra morte. E non è tanto della morte che abbiamo paura, quanto dell’essere soli con lei: del non poter avere una storia che, collegandoci insieme, ci apra un futuro indeterminato, ci consenta di pensare a noi, al noi anzi, rendendoci così perfettamente tollerabile (o desiderabile, addirittura) che muoia l’io. Per questo crediamo così facilmente alla promessa del sovrano (o aspirante tale) di darci la pace: quella pace che in realtà abbiamo già, per conto nostro, ma per conto nostro non ha appunto senso” (p. 54). Il consenso diventa legittimità, e soprattutto garantisce al sovrano la possibilità di identificare il nemico contro cui è possibile fare il salto di qualità e passare dall’essere tutti parimenti uccidibili all’essere tutti insieme uccisori. Il sovrano hobbesiano serve a “darci la guerra” (p. 55) e non a garantire la pace, e questa è la vera cifra della sovranità esterna. A questo punto, la connessione tra le spiegazioni politiche di matrice antropologica della violenza e la dinamica della guerra come prodotto della sovranità portano Alfieri a trattare la tragica vicenda della Shoah secondo la prospettiva degli assassini. L’autore ritorna sul lavoro di Elias Canetti e sulla definizione della guerra come l’esperienza umana in cui si tratta di uccidere. La vicenda della guerra assoluta che si esprime nello sterminio è quella già descritta con grande lucidità da Arendt e da Levi tra gli altri, e Alfieri riporta tale descrizione nell’alveo di una spiegazione antropologica. Nel momento in cui la guerra è dichiarata non in nome di un territorio da conquistare, o di una offesa da risanare, ma per una nuova umanità o per qualsiasi altro concetto astratto, individuato come fine buono e giusto, allora la separazione tra chi uccide per motivi giusti e chi viene ucciso diventa una frattura insanabile, quindi: quelli che uccidono possono dirsi a pieno titolo i buoni: “Noi siamo i buoni, noi vogliamo che gli uomini siano buoni, noi vogliamo che trionfi il bene: di conseguenza, tutti gli altri sono il male. Che cosa deve fare il bene quando combatte il male? Deve ovviamente annientare il male, deve sterminarlo” (pp. 81 - 82). Approfondito il motivo per cui è possibile, ancora oggi, andare in guerra a uccidere e a morire, seguendo un meccanismo collettivo senza fine che ha origini antichissime e non razionali, Alfieri si occupa di fornire una prospettiva di pace, seppure al di fuori del discorso pacifista. Le due Guerre Mondiali del ‘900, con la loro mattanza, hanno inflitto un duro colpo alla “seduttività dell’uccidere” (p. 105): la guerra è stata incriminata come disvalore e la pace promossa come valore, sia in politica internazionale che di fronte all’opinione pubblica. Anche se la presenza della Bomba come arma finale non ha portato alla fine della guerra, ne ha comunque diminuito il potenziale svolgimento su scala mondiale. Ma per sconfiggere la guerra in via definitiva occorre uscire da ogni particolarismo individualista, e accogliere – con la prospettiva di superarlo – il meccanismo della violenza collettiva, quello che si alimenta della costruzione del nemico come portatore di morte. Se si riuscirà a eliminare la morte che è rappresentata dal nemico eliminando anche la suddivisione primaria tra noi e loro si sarà segnato un passo fondamentale per la risoluzione verso la pace. L’altra strada per sconfiggere la guerra è paradossalmente proprio quella inaugurata dalla Bomba. Con essa abbiamo acquisito la possibilità della morte di tutta la nostra specie, e la deterrenza all’uso della Bomba funziona da oltre mezzo secolo per impedire la guerra tra soggetti sovrani. Tuttavia la spinta faustiana alla tecnica, dopo aver ottenuto il risultato della Bomba – che è la morte assoluta –, ci porta a lavorare alacremente sul controllo della vita biologica, con nuove implementazioni della medicina e della farmacologia. Forse in futuro l’umanità potrà avere tra le mani le chiavi della vita della propria specie, e a quel punto il cerchio sarà completo, senza più un nemico – una morte dal di fuori –, e senza più una morte da uccidere dentro il cerchio simbolico, la guerra sarà debellata, ma a costo di un controllo tecno-politico spaventoso, per quanto fantascientifico. Il libro si chiude con un capitolo dedicato ai modelli di difesa presenti nella Costituzione italiana. L’autore affronta un’analisi storica e giuridica molto precisa degli articoli 11 e 52 della Costituzione, dedicati alla guerra; ma si spende anche in una riflessione storica, intensa e molto documentata, sulla costruzione simbolica e politica dell’esercito italiano a partire dal Risorgimento e fino ai nostri giorni, con il moltiplicarsi degli impegni internazionali in operazioni militari chiamate sempre diversamente e mai con la parola “guerra”.
Indice
Introduzione
PROLOGO NOI E NON NOI
Capitolo I Irrazionalità e identità collettive
PARTE I LA VIOLENZA SOVRANA
Capitolo II Sovranità, morte e politica
Capitolo III Consenso di morte. Il male politico e il punto di vista dei persecutori
PARTE II LA GUERRA IMPOSSIBILE
Capitolo IV La guerra impossibile: dalla deterrenza alla pace?
Capitolo V La stanchezza di Marte. Prospettive sulla guerra globale
Capitolo VI La guerra indicibile e il terrore
EPILOGO UN TERRIBILE OTTIMISMO
Capitolo VII Natura umana, tecnica e istituzioni
Capitolo VIII Modelli di difesa nella Costituzione
L'autore
Luigi Alfieri è Professore Ordinario di Filosofia politica nella Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino. Si è occupato del pensiero di Nietzsche, di mitologia e simbolica politica, con particolare attenzione al problema del rapporto tra violenza e ordine. Tra le sue pubblicazioni: Storia e mito. Una critica a Eliade, ETS, Pisa, 1978; Nel labirinto. Quattro saggi su Nietzsche, Giuffrè, Milano, 1984; Apollo tra gli schiavi. La filosofia sociale e politica di Nietzsche (1869-1876), Angeli, Milano, 1984; Il pensiero dello Stato. Saggio su Hegel, ETS, Pisa, 1985; Abissi. Meditazioni su Nietzsche, Giuffrè, Milano, 1992 (in collaborazione con D. Corradini Broussard); Figure e simboli dell’ordine violento. Percorsi fra antropologia e filosofia politica, Giappichelli, Torino, 2003 (in collaborazione con C.M. Bellei e D.S. Scalzo).
14 commenti:
Quanto riportato da recensore e comparato ad indice riportato in recensione rivela maggior significatività proprio attraverso minor significato contenuto in recensione e che indice illustra ulteriormente ed in parte evidente altramente.
L. Alfieri ha mostrato la inconcludenza intellettuale ed antistatale degli ignari succubi dei guerrafondai ma non altro di più a rigor filosofico.
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MAURO PASTORE
In elenco recensivo mancano le cronache storiche delle guerre della Unione Sovietica, al cui regime dittatoriale non a stessa Unione si attribuiva e bisogna di nuovo attribuire un secondo accadimento catastrofico dei conflitti su basi "nucleari": la introduzione di tecnologia nucleare offensiva a idrogeno e ad ampiezze maggiorate. Ugualmente che nel caso delle ricerche americane precedenti vi fu intromissione esterna non tecnologica con apporti anche casuali e non garantibilità tecnica, che distoglievano da impieghi reali in battaglie ma sfavorevolmente a controlli efficaci; non fu impiegata la Bomba a idrogeno in guerra stessa, ma il ritrovato fu sperimentato prima in Unione Sovietica e definito incidente e poi i risultati passati a Stati Uniti per opera di illusi che cercavano equilibri manovrati da altri che tentavano e ottennero ma in parte soltanto compromissioni giudiziariamente disastrose per Presidenza statunitense e favoriti da chi era terrorizzato dall'esperimento e non aveva potuto capire informazioni preventive di veri tecnici e scienziati. Di questi fatti diede sommarie note A. D. Sacharov in sua biografia, scienziato-ricercatore che si era adoperato per non offensiva miniaturizzazione tramite uso di idrogeno e con risultati uguali a reali in Germania prima che Hitler requisisse tutto per fini distruttivi: difatti sia in Germania che in Russia si erano dapprima definite modalità per esplosioni fuori Pianeta Terra con impieghi ecologici rispettivamente contro cadute di masse asteroidali o meteoritiche da zone del cielo non del tutto ordinate né proprio ordinarie e minacciose ed incompatibili per distese terrestri e marine; purtroppo alla prepotenza di Hitler s'erano aggiuntila quella di Stalin e dei suoi e quindi l'America sotto scacco ebbe parziale ma unitaria restante forza diplomatica, dopo essersi già di fatto autocondannata e sanzionata per i disastri in Giappone, per commissionare a Francia ed Inghilterra sistemi per riduzioni-riconversioni, iniziate con collaborazioni europee Est-Ovest, su basi di studi immediatamente precedenti ad interessamento di Patto Atlantico.
L'incidente con esplosione di idrogeno non fu da ufficiale sovietica ricerca; era una ricerca parallela basata su servizi segreti deviati ed in conflittualità, questa in quanto tale dunque fu pure trasgressione antiecologica.
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MAURO PASTORE
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Senza neppure tecniche spurie per sostegno importante erano già accadute esplosioni atomiche in luoghi orientali in certo qual senso remoti ed in assenza di poteri reali di controllo tecnologico neppur tecnico; ciò con ordigni artefatti da casualità negative ed analoghi ai relativamente noti ordigni tecnicamente spurii impiegati su Hiroshima e Nagasaki e agli altri invece con idrogeno di sperimentazione che coinvolse sovietici e poi americani. I disastri precedenti senza coinvolgimenti occidentali accadevano per detonazioni non del tutto preventivabili e soprattutto non decisivamente umanamente dipendenti e gli effetti fecero parere guerra atomica ma erano catastrofi peraltro legate ad ambientalità non umana già semicatastrofica. Se ne ritrova menzione in m8steriosi disparati resoconti giapponesi poi cinesi e indiani dati da rappresentanti di arti marziali ed esperti di arti della guerra e della opposizione.
Si nota dunque che non era questione di poteri umani effettivamente e realmente tali né politicamente. Questi si ritrovano nelle testimonianze delle morenti civiltà precolombiane che recavano i segni di disastri dal cielo certamente non ovunque possibili ma comunque assai contrari alla vita in quanto tale; perciò per Era Atomica devesi propriamente intendersi prevenzione, entro cui una parte fu degenerata in offensione, altra però no; e questa ultima reca ancor senso ad espressione che indica però evento non più centrale in Globalità.
Ma quanto durata e cosa restato da questa Era in suo svolgimento più importante, attualmente?
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MAURO PASTORE
In messaggio precedente
'm8steriosi'
sta per:
misteriosi .
Riporto testo con correzione:
*
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Senza neppure tecniche spurie per sostegno importante erano già accadute esplosioni atomiche in luoghi orientali in certo qual senso remoti ed in assenza di poteri reali di controllo tecnologico neppur tecnico; ciò con ordigni artefatti da casualità negative ed analoghi ai relativamente noti ordigni tecnicamente spurii impiegati su Hiroshima e Nagasaki e agli altri invece con idrogeno di sperimentazione che coinvolse sovietici e poi americani. I disastri precedenti senza coinvolgimenti occidentali accadevano per detonazioni non del tutto preventivabili e soprattutto non decisivamente umanamente dipendenti e gli effetti fecero parere guerra atomica ma erano catastrofi peraltro legate ad ambientalità non umana già semicatastrofica. Se ne ritrova menzione in misteriosi disparati resoconti giapponesi poi cinesi e indiani dati da rappresentanti di arti marziali ed esperti di arti della guerra e della opposizione.
Si nota dunque che non era questione di poteri umani effettivamente e realmente tali né politicamente. Questi si ritrovano nelle testimonianze delle morenti civiltà precolombiane che recavano i segni di disastri dal cielo certamente non ovunque possibili ma comunque assai contrari alla vita in quanto tale; perciò per Era Atomica devesi propriamente intendersi prevenzione, entro cui una parte fu degenerata in offensione, altra però no; e questa ultima reca ancor senso ad espressione che indica però evento non più centrale in Globalità.
Ma quanto durata e cosa restato da questa Era in suo svolgimento più importante, attualmente?
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MAURO PASTORE
(...)
L'accadimento tragico sovietico ebbe sèguito solo drammatico in Brasile, dove tutto restò ridotto e dove partiti politici in lotta interna fino a statico conflitto civile furono estromessi dalla corsa al nucleare da Istituzione politica nazionale supportata da interventi decisivi indigeni. Frattanto erano sempre maggiori le informazioni ecologiche, le opposizioni ecologiche appunto segnando già preistoria ed inizio di storia post-atomica; con i fatti brasiliani avviati a conclusione molti anni orsono solo da pochi anni ivi conclusisi con definitivo rifiuto da, parte di Stato di armi e guerre atomiche. In Oriente erano pari disordini ma ugualmente restie vere istituzioni politiche e conflittualità più rischiosa ma da sùbito in declinare poi in declino; tra Repubblica della Cina e Stati Uniti di America si evitò un nuovo degenerare per via di autonoma scelta cinese per capitalismo di Stato preferita pure da statunitensi; da Corea del Nord si fece altra opposizione perché in tal Paese v'era tecnocrazia in grado di realizzare miniaturizzazioni con facilità e limitar guai o avviar massiccia riconversione per difensive non di guerra ed ecologiche e non per Pianeta Terra, senza scopo di attacchi politici né di guerra ad esterno del Paese; tanto che in Russia — dove nel frattempo si era già in minimo grado di usar energia atomica a diffusione non progressiva per difendere luoghi del Pianeta da disastri astrali e senza arsenale atomico offensivo, questo ultimo dismesso con fine politica dei Soviet e in disuso e posto fuori Stato — i russi stessi fecero da moderatori ad americani... i quali ora hanno assieme a nordcoreani avviato reciprocamente diplomazia difensiva e collaborativa sostituita alle minacce di competizioni atomiche, fino a recentissimo (di pochi giorni orsono) intervento di presidenza parlamentare americana senza opposizione di presidente (Trump) di Stati che ne è restato volontario inibito ma non impedito in alcunché. India e Pakistan erano quindi già in medesima reciproca diplomazia ed Iran in fase di volontario rifiuto prima per intervento teocratico locale poi per assenso presidenziale a mòniti ed impegni internazionali, occidentali e da Organizzazione di Nazioni Unite.
Stato di Israele fu tenuto fuori da realizzazioni pratiche atomiche offensive da strenua contrarietà di diretta teocrazia e da pari rifiuti statunitensi e da veti arabi-mediorentali specialmente e poi da globali; e ordigni francesi e britannici erano in verità a scopo di esempio meno distruttivo e non furono mai approntati per tentar armi nonostante, per incompetenza e difficoltà di Guerra Fredda poi di tensioni Nord-Sud del Pianeta, rispettivi Stati non sempre ne fossero e ne sono stati evidentemente informati in tutti i posti e ruoli di poteri. Tutto ciò ed il resto prima da me esposto mostra tramite evidenze di declini i tempi storici politici post-atomici, però cui Italia si era avviata, già coi rifiuti di E. Majorana e poi con la decisione repubblicana democratica della 'minima partecipazione'...
E indubbiamente la vera Guerra Fredda della Italia è stata sempre e già post-atomica!
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MAURO PASTORE
Quanto ho mostrato in miei precedenti messaggi reca o recherebbe una conoscenza evidente di altrui subalternità storica drammatica la quale è ed era da refutare con grave energia anche intellettuale ma che era stata rifiutata dal vero potere politico italiano ed estromessa però tal potere invitava coloro che non poteva raggiungere a refutarla con forza.
Tale subalternità trovasi descritta in argomenti culturali ed argomentazioni filosofiche e temi ideologici e tematiche storiche, tutto riportato ma pure estrapolato da recensore, Monia Andreani, sicché in recensione stessa non si ritrova direttamente sensatezza di ricerca né segno di scoperta della nullità degli esiti offensivi della Era Atomica propriamente tale.
I due studiosi citati, R. Girard e E. Canetti, di fatto rispettivamente descrissero il mondo ellenizzato non grecizzato in rivolta antiellena che era rifiuto di tradizioni occidentali in Occidente ed il mondo moderno restato fuori da completa modernità ed europeista ovvero non europeo in tutto; ma sia Girard che Canetti non fecero lor opere maggiori quali profondi ed intuitivi conoscitori di storie comparate.
Per questo è necessario inquadrarne precisamente e diversamente, per esclusioni e discernimenti, intellettualità, senza accoglierne idee prima di averne scoperto premesse culturali non culturali-filosofiche già.
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MAURO PASTORE
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Spiego per chi non greco di quanto la antropologia girardiana si interessava senza intendere globalmente:
La espiazione, nel mondo soltanto ellenizzato, era pensata attraverso la cultura e vita ellene e le violenze eventuali concomitanti riguardavano poteri civili non anche naturali a loro volta pensati poi attraverso modi civili e naturali elleni. Tale comunicazione, dopo, destò rifiuto elleno e chi potente e odiato ed elleno era dai post-ellenizzati descritto per propria finta vittima per manifestazione di odio e indifferenza. A sèguito di siffatti eventi gli elleni restati volontariamente soli erano in condizioni di esistenza piuttosto ardue ed in alcuni accadimenti furono sottoposti ad invadenza ex ellenizzata e poi ex ellena, sì che i poteri stessi ed i potenti stessi della Ellade dovettero affrontare gravi traversie, di cui non vi furono rischi tragici fino a quando i casi maligni non ne prospettarono. Allora la tragedia non scritta raccontava le passate amicizie, con coloro che si eran ad essi fatti uguali ma sottopostisi a sciagure di odio; e la successiva prima tragediografia ne aggiungeva concreti prospetti, affinché gli elleni ne evitassero ripetizioni; ma col diventare i casi maligni più incomprensibili e prevaricanti sui desideri umani nacque nuova, orale tragedia, la quale pure evitava il realizzarsi di veri esiti ultimi; infine questi accaddero ma limitati alle circostanze solo già ultime: per cui la coincidenza di vitalità e teatralità ellena fu reale tragedia della sola presenza resa assenza e non di lutto e morte.
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MAURO PASTORE
Continuo mia spiegazione precedente con altra.
Per chi greco la tragedia della presenza è cosa ovvia, per considerazione diretta, di natura e destini anche non naturali ma con altro senso tragico non esiziale cioè; e questa considerazione rivela la storia della nascita del destino greco e della sua forza di passare in circostanze le quali per gli altri destini sono non solo mortali per libera presenza nel mondo ma anche termini dell'esistere stesso nell'universo...
Nel Medio Evo il racconto tragico tipico era non greco ma col destino mutato dal destino greco, perché la certezza delle sapienze non greche era stata la nascita della grecità e dopo questa attesa ed accadimento l'esistere non greco aveva trovato forza nei passati saperi e nelle passate attese ed allora fu data alla modernità un'altra tragedia, nuova, di cui primo maggiore esponente l'italiano Torquato Tasso, poi l'inglese, notissimo, Shakespeare.
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MAURO PASTORE
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Continuo con ulteriore spiegazione:
Il passaggio alla Epoca Moderna si compiva drammaticamente a metà per un diverso intero mondo culturale, restato in una sua parte legato ad etica medioevale ed escluso da morale moderna. In Italia politicamente assai rilevante fu anacronismo romano poi fatto in parte del tutto antiquata ex romano. Per questo ed altri mondi uguali la inimicizia era specialmente interna tra etica e morale non per differenza inaccolta ma per uguaglianze insopportabili. Finite le passatezze di tali mondi nelle amicizie esterne ostili a destini veramente compiuti, le sue perduranze invece in compiuta età contemporanea non restarono in Italia ed Europa meridionale nell'impossibile recupero di antica e pur precaria e solo compòsita unità mediterranea né vollero tutti vagheggiare fine della Europa tra eventi di Eurasia, Artico, Atlantico e Meridione, in natura ed umanità... Lo pseudofascista ma filodittatoriale J. Evola era stato vagheggiatore di questa fine, al punto da non praticare più terminologie e glottologia intrinsecamente europee ma solo analogicamente mediterranee-meridionali... Invece E. Canetti era ricercatore per esito concreto positivo. Senza negare Europa Carolingia e Moderna, tuttavia non fu anche pensatore di Modernità storica; fu pure analista delle contraddizioni della non compiuta modernità — quale coinvolto non quale risolutore — tanto che usò mediazioni culturali giudaiche-eurasiatiche e riferimenti da ebraismo od ex ebraismo contemporanei per trovare non dare il senso della conflittualità sociale, in cui egli stesso versato: infatti non altro significa culturalmente soggettivamente il suo dire guerra dicendo di morte, se non previo compromesso tra veterotestamentaria cultura e rifiuto degli estremismi bellici moderni attuato per etica professionale empatica con orientali diverse serenità. Ma questo compromesso non conduceva a sapere degli inganni della violenza contemporanea intromessa nelle guerre perché non includeva finalità degli eventi medioevali per i quali tali inganni restarono assenti e nessuno studio scientifico potrebbe vincere inganni oltre logica di datità! Accadimento storico definitivo che rese le ricerche di Canetti ed altri come lui secondarie ma non per importanza sociale fu lo sbarco delle truppe alleate a fine seconda guerra mondiale, non soltanto angloamericano e che rappresentò per la non completa europeicità in Europa un passo senza alternative ed obbligato, di sradicamento fatale tranne che non si scegliesse la compiuta modernità attraverso contatti culturali, nonché militari, con gli angloamericani, dei quali numerosi erano itali... Chi non ne fece i conti, perse possibilità di agire politico determinante; ma questa emarginazione nelle nuove tragedie non era indifferente e nacquero riflessioni su esiti restanti; cui, in parte, sono annoverabili per finali quelle citate di L. Alfieri; ma la combinazione da costui mostrata non ha spettanza generale. Eppure i non allineati al massimo potere democratico, repubblicano, in Italia durante Guerra Fredda e non guerrafondaio, avevano onere ed onore di costruire una mancata adesione affinché i mancati rifiuti stranieri non fossero nocivi per lo Stato italiano unitario. Da ciò il senso etico delle ricerche di Canetti; e da ciò medesimo le limitazioni dei relativi risultati, che offrono quadro per riferimenti secondari soltanto.
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MAURO PASTORE
... Faccio anche utile "divagazione"... Le notizie recenti televisive riguardanti la ormai non più fantomatica agenzia areospaziale italiana, in attività per costruzione di navette per zone intermedie atmosferiche terrestri con navicelle per zone propinque eteriche, a scopo di controllo ed intercettazioni, ripresentano nuovamente e con vigore la manifestazione di altre aspettazioni e l'esistere attivo di un'altra Italia, che ha saputo passare indenne in mezzo alle insidie della Era Atomica per agire in un futuro non dimentico...
Ed allora le insolvenze del mondo antiquato testimoniato dalla dimensione scientifica di studiosi quali Canetti ed altri, mostra nel linguaggio anche altra sciagura da quella oggetto dei lor stessi studi, l'altra sciagura che in mezzo a progressi avveneristici e remoti esistono ancora ambiguità, per nulla amletiche, troppo ordinariamente presenti (per le quali per esempio si deve accettar proprio troppo indistintamente passaggi di veicoli sopra tetti e fingere che per le strade sia meglio la sprovvedutezza)... Sicché si riesce a progettar piani mirabili per spazi lontanissimi ma si son lasciati ragazzini morire anche per sola ingenuità su ciclomotori mentre si è lasciato calunniare il motociclismo — aumentando anche i morti proprio sui ciclomotori — si son prescritte cinture di sicurezza per automobilisti ma esponendo intere abitazioni alla precarietà di autotreni ed autocarri fuori strade ad essi proprie... E queste cose e cose così rappresentano qualcosa cui non basta invito dato a chi non abbastanza comprensivo di far qualcos'altro e di buono... Perché in ogni caso mancando ad interi mondi in Europa comprensioni del tutto europee in circostanze cui spontaneamente si reagisce con serietà, la non serietà della inopportuna ignoranza è oramai il segno di un vero delitto, di invadenza e rifiuto, anche a capire la distinzione tra una grossa o gigantesca bomba convenzionale ed un ordigno esplosivo non tecnologico e non del tutto tecnico e inetto a scopo veramente effettivamente tale. Alle divergenze di culture non del tutto impegnate si aggiunge il divergere di azioni che non sono mosse sapendo cosa e che sta accadendo e sono di fatto rivolte contro chi invece sa di star vivendo per vivere. E ciò ha invaso stesse prassi dello Stato, per il quale non è possibile agire per la vita se l'iniquità è tanta e tale da offendere la vita stessa.
Per un futuro realmente tale, le ingiustizie accadute sono troppe per restar stesso presente e non altro; e ciò è intuizione istintiva ma non diffusa abbastanza tra le moltitudini.
Se non si può gioire di mirabili imprese, non per questo esse son detestabili; ma sono nazionalmente nulle ed in patria stessa nonostante rechino annunci nazionali e patriottici; perché troppi sono stati i torti anche intellettuali contro desideri italiani ignari del male e non ignoranti del bene, torti fatti da parte di chi anche in Stati non ha voluto capire cosa stava facendo e contro chi stava facendo o non facendo qualcosa.
Infatti a tante altrui sprovvedutezze intellettuali — anche a quelle da me rese evidenti e note con tali messaggi — corrisponde ancora e di fatto intenzione di tormentosità da parte di masse di individui e gruppi assai variamente composti; e se non si sa notar torture per strada e se non lo si sa anche per insistere con linguaggio inadeguato e preferenze culturali immotivate, mandar astronauti tra atmosfera ed etere non giova a nessuno Stato.
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MAURO PASTORE
... Un titolo che inoltra con nominar un simbolo antropologicamente inerente sacralità non è operazione ristretta se il simbolo è parte di un significare linguistico comune; ma accadendo ciò in opposta, cioè divergente ristrettezza culturale ed in correlazione con assai maggior ampiezza di accadimenti, il simbolo, ingenuamente usato da chi sprovvisto di pari conoscenza di senso dei fatti e dei fatti, non è un significare ma un designificare; e ciò equivale a un non poter più condividere solo esternare, con chi sa, anche il poco inteso; e proprio perché la conflittualità della già globalmente secondaria Era Atomica non ha nulla di felice per chi sa e nulla di allegro per chi poco sa, il designificare di chi non sa non sottrae solo tristezza ma occulta anche ma la gioia stessa di potersi opporre con intelligenza resta evidente, non per chi ne reca.
(Nel simbolo di Marte antropologicamente è contenuta una relazionabilità e l'occultazione di chi stesso lo menziona esprime con la oscurità di senso una ostilità appunto non marziale e che recando un senso marziale possibile lo rifiuta ma ne detiene; e ciò è odio contro la vera bellicosità e quando tal odio si applica alle necessità più estreme di ricondurre le ostilità ad originarietà esente da errori ed illusioni, l'odio non è accettabile ma neppure il recarne né l'averne recato e neanche destini stessi.)
MAURO PASTORE
In messaggio del 10 ottobre 2019 21:31 c'è una virgola da ricollocare:
'rifiuto da, parte di Stato`
sta per:
rifiuto da parte di Stato .
Reinvierò messaggio per agio di lettura ed anche perché può esser utile ricollocare in ultimo informazioni storiche e di cronaca.
MAURO PASTORE
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(...)
L'accadimento tragico sovietico ebbe sèguito solo drammatico in Brasile, dove tutto restò ridotto e dove partiti politici in lotta interna fino a statico conflitto civile furono estromessi dalla corsa al nucleare da Istituzione politica nazionale supportata da interventi decisivi indigeni. Frattanto erano sempre maggiori le informazioni ecologiche, le opposizioni ecologiche appunto segnando già preistoria ed inizio di storia post-atomica; con i fatti brasiliani avviati a conclusione molti anni orsono solo da pochi anni ivi conclusisi con definitivo rifiuto, da parte di Stato, di armi e guerre atomiche. In Oriente erano pari disordini ma ugualmente restie vere istituzioni politiche e conflittualità più rischiosa ma da sùbito in declinare poi in declino; tra Repubblica della Cina e Stati Uniti di America si evitò un nuovo degenerare per via di autonoma scelta cinese per capitalismo di Stato preferita pure da statunitensi; da Corea del Nord si fece altra opposizione perché in tal Paese v'era tecnocrazia in grado di realizzare miniaturizzazioni con facilità e limitar guai o avviar massiccia riconversione per difensive non di guerra ed ecologiche e non per Pianeta Terra, senza scopo di attacchi politici né di guerra ad esterno del Paese; tanto che in Russia — dove nel frattempo si era già in minimo grado di usar energia atomica a diffusione non progressiva per difendere luoghi del Pianeta da disastri astrali e senza arsenale atomico offensivo, questo ultimo dismesso con fine politica dei Soviet e in disuso e posto fuori Stato — i russi stessi fecero da moderatori ad americani... i quali ora hanno assieme a nordcoreani avviato reciprocamente diplomazia difensiva e collaborativa sostituita alle minacce di competizioni atomiche, fino a recentissimo (di pochi giorni orsono) intervento di presidenza parlamentare americana senza opposizione di presidente (Trump) di Stati che ne è restato volontario inibito ma non impedito in alcunché. India e Pakistan erano quindi già in medesima reciproca diplomazia ed Iran in fase di volontario rifiuto prima per intervento teocratico locale poi per assenso presidenziale a mòniti ed impegni internazionali, occidentali e da Organizzazione di Nazioni Unite.
Stato di Israele fu tenuto fuori da realizzazioni pratiche atomiche offensive da strenua contrarietà di diretta teocrazia e da pari rifiuti statunitensi e da veti arabi-mediorentali specialmente e poi da globali; e ordigni francesi e britannici erano in verità a scopo di esempio meno distruttivo e non furono mai approntati per tentar armi nonostante, per incompetenza e difficoltà di Guerra Fredda poi di tensioni Nord-Sud del Pianeta, rispettivi Stati non sempre ne fossero e ne sono stati evidentemente informati in tutti i posti e ruoli di poteri. Tutto ciò ed il resto prima da me esposto mostra tramite evidenze di declini i tempi storici politici post-atomici, però cui Italia si era avviata, già coi rifiuti di E. Majorana e poi con la decisione repubblicana democratica della 'minima partecipazione'...
E indubbiamente la vera Guerra Fredda della Italia è stata sempre e già post-atomica!
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MAURO PASTORE
Sono spiacente per inconvenienti di scrittura accaduti, creatimi da altrui minacce neppure provvisorie ed altramente necessitanti chiunque coinvolto, dai pressi di dove scrivevo. Bastino gli ultimi sufficienti invii, anche perché internet non è libreria.
MAURO PASTORE
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