Recensione di Gianmaria Merenda – 27/01/2010
Filosofia politica, Filosofia teoretica
“Che resta oggi della concezione della politica modellata sulla città? E dell’idea di cittadinanza che dalla città prende il nome? In quale città sorge la cittadinanza? E che resta oggi di quella città?” (p. 21). Queste domande messe in fila da Gentili possono dare un immediato senso al testo Topografie politiche. Sono domande che sottendono la premura dell’autore di mantenere in collegamento differenti piani temporali (il passato che ha fondato e l’odierno che talvolta affonda in quel passato), di sintetizzare differenti concetti di appartenenza politica, di rinnovare le giuste domande che ci si può porre messi al cospetto della crisi (costitutiva e genetica) della città: “si può affermare che la città è una delle forme che ha assunto lo spazio urbano nella storia, una delle forme di governo dei suoi confini. […] quella stessa città che è stata, fino a ieri, il luogo del rapporto, a sua volta ambivalente e conflittuale, tra urbanistica e architettura” (pp. 36-37). Dario Gentili, per rispondere a queste domande e per sviluppare ulteriore materiale per interrogativi futuri, ha ritenuto opportuno indagare lo spazio politico urbano con l’ausilio delle filosofie di Walter Benjamin e di Jacques Derrida: Benjamin e Derrida offrono la possibilità di concepire una apertura, un “far posto libero”, che in contrapposizione ad una concezione schmittiana del potere sovrano (un potere della decisione) pensa lo spazio libero non come ad un vuoto nulla da occupare con il potere, ma ad un vuoto che “sia piuttosto la condizione di possibilità di pensare la costitutiva e radicale pubblicità di tale spazio” (p. 17).
Da questo approccio la necessità del primo capitolo dove sono esposte le fondamenta della filosofia politica esaminata da Gentili nel corso del suo lavoro. Se non fosse per la profondità dell’analisi fornita, il primo capitolo potrebbe essere confuso per un semplice e banale espositore di concetti. Ciò non è. Gentili con spirito etimologico, genealogico e archeologico ad un tempo, specifica le sfumature intrinseche dei termini urbs e civitas e chiarisce come queste differenze costituiscano, nel loro confronto, una delle opportunità più interessanti per un’analisi delle topografie politiche che egli intende esporre. I lievi cambiamenti di prospettiva rappresentano per tutto il testo un convincente punto fermo di Gentili.
L’accostamento dei due termini, urbs e civitas, porta inevitabilmente al concetto di soglia, un concetto che indica la zona in cui differenti paradigmi entrano in contatto e dialogano fra loro: sulla soglia s’instaura l’agire politico dello spazio urbano, della sua storia e dei suoi abitanti. Proprio nella soglia vengono ad essere percepiti quegli ‘spettri’ che nella loro presenza-assenza (non appartengono allo spazio politico ma lo attraversano da parte a parte) determinano politicamente il tempo “per l’ingresso del revenant, che deve tornare per inquietare chiunque ne voglia prendere il posto” (p. 60). Quello che attende e preannuncia il revenant è un tempo che non serve a rimarcare l’attimo della fondazione dello spazio urbano, ma è un tempo che richiede un continuo rammemoramento di chi ha segnato per la prima volta lo spazio del potere: il padre-fondatore. Nell’inquietudine dell’assenza - il fondatore non c’è più -, nell’atto del varcare la soglia, si può capire la portata politica dell’ingresso dell’ospite straniero nella città. La sua apparizione, poiché è il “fuori-legge” (cfr. p. 68, fuori-legge è colui che può decidere di non entrare in città, è chi decide di rimanere al di fuori della legge cittadina, è chi vive nell’eccezione della legge), può ricordare l’estraneità assoluta del fondatore della città (“I fondatori si sottraggono a ciò che fondano, non trovano patria nella polis e nella civitas, ritornano fuori dal solco che hanno tracciato e lasciano tale solco come loro traccia: nel presente, della loro fondazione resta la dissimmetria dello spazio e l’anacronia del tempo”, p. 64). Nel momento in cui la porta della città è attraversata da chiunque la storia della città stessa è messa in crisi: fondazione mitica e fondazione storica collimano fra loro, il tessuto urbano ostenta la propria in-appartenenza costitutiva, l’assoluta interpretabilità degli spazi che lo formano. Una interpretabilità che può svilupparsi solo dall’analisi del passato e delle sue macerie (cfr. il paragrafo 4 Topografie messianiche, p. 84), in un’analisi benjaminiana: “Lo spazio del nostro presente, della nostra esistenza (Daseins), è abitato dagli spettri (hantée) del passato, posseduto, ossessionato, assillato (hantée) dalle voci dei revenants” (p. 91).
Le porte della città, il loro essere soglia, indicano incessantemente una dinamica di potere e di permeabilità dei confini che Gentili sviluppa ulteriormente nel terzo capitolo, Potere: confini. Il potere e i confini sono indissolubilmente uniti dall’atto di fondazione della urbs, in particolare della fondazione di Roma. In questo frangente Gentili fa suo il diritto-politico di Carl Schmitt e il concetto di sovranità che il giurisprudente tedesco ha saputo creare dalla sua interpretazione della fondazione del nomos (pp. 95-98). Cruciale è il modo in cui la sovranità, l’esercizio del potere, si è di fatto messo in essere. Prima dell’atto fondativo, che discrimina un dentro e un fuori le mura, non esiste una legittimità che permette di tracciare il solco che divide lo spazio urbano da quello non urbano. Solo il prendere possesso con l’uso, l’usurpare, crea un confine temporale, spaziale e giuridico tra ciò che era illegittimo e ciò che è diventato legittimo nel momento in cui si attualizza l’atto del solcare il terreno. Benjamin indica questo usurpare, la sincronia tra la violenza di un atto illegittimo e la fondazione della legittimità urbana, con l’ambiguo termine di Gewalt (il termine significa violenza ed anche “potere legittimo, autorità, forza pubblica”, p. 101). Intensa la pagina (p. 107) in cui Gentili mostra come Benjamin tenga in grande considerazione i confini che la Gewalt, nella sua ambiguità, fissa nell’atto fondativo. Confini che, per la cooperazione di violenza e legittimità, determinano la dialettica dentro/fuori, legittimo e illegittimo, amico e nemico: “in quanto Macht, il diritto non dispone della possibilità di annichilire (vernichten) l’avversario, la sua capacità distruttiva non è totale; il suo potere gli deriva pur sempre dalla definizione del confine, può eventualmente bandire al di fuori dei propri confini, ma, come sappiamo, nemmeno tale eliminazione può essere definitiva: l’avversario può sempre ritornare (revenier) come spettro a inquietare la città” (p. 107). Su quei confini e sul possibile ritorno dello spettro del fondatore si può capire l’impossibilità della civitas di ampliare costantemente i propri confini: qualcosa deve rimanere al di fuori, qualcosa deve essere trattato, proprio per la sua illegittimità, come necessario alla legittimità della civitas stessa. Ancora una volta Gentili mostra come quello che in un primo istante poteva essere pensato come un punto d’arrivo, l’ambiguità del termine Gewalt, possa diventare un ulteriore attimo di instabilità. Per Walter Benjamin la Gewalt è ambivalente perché è fondatrice del potere (Macht) nel momento in cui è violenza, mentre diventa incapacità di fondare nel momento in cui è diritto, il potere costituito: “Soltanto la Gewalt che resta al di fuori del diritto e della sua Macht può essere effettivamente fondatrice; la Macht del diritto non può autofondarsi e, pertanto, se rinuncia o viene meno la Gewalt che ne è a fondamento, ogni istituzione giuridica “decade”” (p. 114). Diverso il pensiero di Derrida. Gentili chiarisce come il filosofo francese sfrutti questa “contaminazione différantielle”, tra Gewalt fondatrice e Gewalt conservatrice, indicandola come essenza stessa del diritto, come necessità del diritto di salvaguardare se stesso: ciò che fonda il diritto, rimanendone al di fuori, è ciò che appartiene al diritto perché senza quella Gewalt non potrebbe difendersi da ogni Gewalt “potenzialmente fondatrice”; scrive Gentili: “La Gewalt è la zona che comprende il fuori e il dentro; il suo è, perciò, uno spazio urbano: lo spazio dell’intérieur, dell’abitare e del risiedere, e, al contempo, lo spazio all’aperto della strada, del bighellonare fuori-casa senza scopo. Lo spazio urbano corrisponde quindi allo spazio della Gewalt, al cui interno c’è il fondamento della legge e il fuori-legge, e comporta pertanto una congenita insofferenza nei confronti della sovranità statuale” (p. 117). L’insofferenza verso la sovranità statuale stimolata dallo spazio urbano, lo spazio della Gewalt, pone il problema di uno spazio in cui l’eccezione determina l’agire politico. Il confronto delle filosofie politiche di Benjamin e Schmitt sono analizzate a fondo da Gentili per chiarire l’importante concetto politico: l’eccezione. Correlato ad esso il concetto di sovrano che Gentili espone nel paragrafo ‘Chi ha l’autorità legittima?’ (p. 135). In una nota (n 89, p. 140) Gentili, supportato da una citazione di Stato d’eccezione di Giorgio Agamben, torna coerentemente su un concetto che aveva introdotto nel primo capitolo: la soglia. È in quello spazio d’ambiguità, “in cui dentro e fuori non si escludono, ma s’indeterminano”, che si possono apprezzare genesi, fondazione e impotenza dello stato democratico. Ed è in quello spazio che Gentili pone la domanda ‘Di chi è lo spazio vuoto dell’autorità?’ (p. 143), in quello spazio si sviluppa la differente ‘genealogia politica’ di Benjamin e Derrida: “per Derrida il vuoto è il senza-luogo e non dà luogo a nessuna costruzione; è il Vuoto e, pertanto, corrisponde al Nulla - o, secondo la teologia negativa, a Dio. Lo spazio vuoto resta, pertanto, il “il principio” di un’archi-tettura ancora metafisica; per Benjamin, invece, è la possibilità stessa dell’anarchi-tettura” (p. 151). E ancora, in quello spazio afferma Gentili “chiunque è legittimato a prendervi posto” (p. 158).
Fatto il punto sul fatto che l’agire politico non si fonda sul nulla, ma su un luogo che è segnato dalle tracce e dalle rovine di chi c’era prima, Gentili passa con il quarto capitolo all’analisi della creazione politica, urbana e urbanistica: “la sua creatività consiste nell’organizzazione dello spazio a partire dalla demolizione dell’uniformità indivisibile di “ciò che è potente” e dall’utilizzazione dei frammenti di potere che ne restano” (p. 161). L’accento posto da Gentili è sulla creatività della politica: la sua possibilità di “destruzione”. Una possibilità che, con parole di Benjamin, si può attuare dove l’arte lasci spazi residui. Gentili introduce il concetto portante del suo lavoro: la soglia kafkiana. Benjamin in una lettura teologica-politica dell’opera kafkiana, lettura che aveva trovato nell’amico Scholem un forte critico a causa dell’accostamento della politica alla teologia, mette in evidenza la dialettica tra ciò che è norma giuridica (nella dottrina ebraica la Halachah) e ciò che è insegnamento della dottrina giuridica (la Aggadah): «Nel 1934, Benjamin pensa che la politica possa intervenire tra apparenza e legge a determinarne il rapporto, come se le apparenze di Kafka “preparino” la dottrina e la legge, come se in Kafka la differenza e, pertanto, il dualismo tra Aggadah e Halachah sia effettivamente mantenuto» (p. 181). Il problema teoretico è situato tra la legge e la sua ‘apparenza’ dottrinale, è un problema di rappresentazione politica, un problema di “estetizzazione della politica” (pp. 202-07). Benjamin si trova ad essere oggetto di critiche da parte di Scholem, che lo accusa di nichilismo compiuto, e da parte di Brecht, che lo accusa di «fare il gioco del totalitarismo». Scrive Gentili per indicare cosa ha visto Benjamin in Kafka e cosa egli ha voluto dire nel suo scritto sullo scrittore: «il mondo di Kafka non è redimibile perché non è la rappresentazione simbolica della realtà, non rimanda a nulla oltre di sé, è una realtà ridotta completamente ad apparenza, in sé totalmente compiuta, che non ha bisogno né del messia né della rivoluzione per salvarsi dalla catastrofe storica del totalitarismo» (p. 207). È un mondo che mette in crisi le categorie del politico.
Nell’ultimo paragrafo, Topografie kafkiane. Dal chiunque a chiunque (p. 207), Gentili torna sul concetto dello spazio di transizione tra esterno ed interno. Torna a discutere dell’ospitalità: «l’organizzazione della macchina artistica di Kafka non fa spazio affinché chiunque venga da fuori possa trovarvi posto, non vige nessuna legge dell’ospitalità […]. L’organizzazione non ha l’eccezione come regola e il pessimismo come unico oggetto, […] ma la disseminazione è spinta a tal punto fino alle sue estreme conseguenze che insieme alle mura crollano anche le porte e, pertanto, chiunque perde la traccia della sua sovranità in uno spazio che non lascia spazio per chi viene da fuori: chiunque diventa chiunque» (pp. 208-09). Quello kafkiano è per Gentili uno spazio che non si fa soglia: non c’è spazio vuoto, non c’è un ospite, non c’è la spettrale legittimazione del potere. Uno spazio che non può essere organizzato politicamente, uno spazio, per questo motivo, veramente creativo.
Indice
Introduzione
I. Fondazione: mura
1. Urbs e Civitas
2. Dopo la città: spazio urbano senza archi-tettura
3. Porte di confine: il passaggio del revenant della fondazione
II. Demolizione: porte
1. «The time is out of joint»
2. «La legge e il lutto hanno lo stesso luogo di nascita, la morte». Dallo straniero assoluto all’ospite, dal Chi al chiunque
3. La politica del “carattere distruttivo”
4. Topografie messianiche
III. Potere: confini
1. La fondazione del diritto
2. Zur Kritik der Gewalt
3. Chi ha l’autorità legittima?
4. Destruktion e decostruzione: lo spazio vuoto
5. Destruzione e creazione
IV. Creazione: organizzazione
1. Il processo alla creazione: Idea di un mistero del 1927
2. Il processo al saggio del 1934 su Kafka: Scholem
3. Il processo al saggio del 1934 su Kafka: Brecht
4. Il verdetto: estetizzazione
5. Topografie kafkiane. Dal chiunque a chiunque
Bibliografia
Indice dei nomi
L'autore
Dario Gentili è Dottore di Ricerca in Etica e Filosofia politico-giuridica; svolge un Post-dottorato presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) e collabora con la cattedra di Filosofia morale presso l’Università di Roma Tre; ha scritto Il tempo della storia. Le tesi “sul concetto di storia” di Walter Benjamin (Guida, Napoli, 2002) e ha curato La crisi del politico. Antologia de “il Centauro” (Guida, Napoli, 2007).
6 commenti:
Domande di autore recensito che recensore riportava erano condizionate-circostanziate non situate ed oggi non situabili più.
Ne mostrerò in miei invii successivi.
MAURO PASTORE
Offerta di cui in recensione è detto sarebbe postuma in ogni caso di essa realmente non ve ne è.
Intento intellettuale - decostruttivo di filosofia specifica non era per distruggere idea e realtà di urbanità in concetto ideale non reale di civilizzazione... questa essendo unica possibilità per itinerario storico particolare non generale né generalizzabile di civile urbanità cittadina, cui realtà cittadina potendo essere direttamente di cittàdi non città. Questa distinzione manca in contenuto esposto in recensione.
Storia di civile urbanizzazione fu di Roma, cui vandali interruppero poi svevi terminarono. In recensione si dice di mancanza in parte vera di realtà cittadina mutata da evenienze e reazioni eteronome, in contrasto a tradizioni, in parte falsa per presenza di realtà cittadina trasformata da evenienze e reazioni autonome, in armonia a tradizioni, di cui in quanto in recensione non si trova puro riferimento ed anzi trovandosene in essa tramandamento oltrepassato da accadimenti antichi medioevali e da superamenti medioevali moderni. Tramandare cui in recensione dunque è estraneo a logica dei luoghi; in esso 'Civitas' dacché era con 'Urbanitas' ne era prima separato elemento poi senza, in avvenimenti di ex cittadi e neocittà, cui determinanti metropolie e metropolitani, metropoli; e proprio tralasciare restanti cittadi, ne ripresenta effettualità confondendone inconsapevolmente con città e di queste sottoponendo confusione estrinseca ad oblio di distinzione città-cittade, oblio confusivo occasione di non riconoscer non appartenenza di esclusività civile-urbana ad Evo Moderno europeo, cui urbanità non identificabile con civiltà, sin dai tempi dei veri e propri borghi medioevali, ignoti a "Marx & Compagni". Tal esclusività era rimasta in Africa mediterranea e mutantesi in africana non mediterranea, sin dai tempi di Agostino di Ippona; realtà di Roma fu assai legatane e con effetti su destini italiani ma legame indi non di relazioni ma di rapportabilità, per due tempi storici separati da un altro accadere, in storia europea l'Impero di Carlo Magno non restaurativo antirestaurativo quindi da inazione a retaggio da Carlo stesso dato a realtà germanica europea settentrionale... Una cerimonia ecclesiastica che illuse e illude ancor oggi chi non ne intendeva ritualità scambiata per convenzionalità ed il Papa creduto datore non officiante, qual invece solo era, non dai romani urbani di allora ma da chi non intendeva nuova urbanità di allora in poi in Europa intera.
...
MAURO PASTORE
Atto etimologico, genealogico e archeologico di autore recensito non consente di errare in indistinzione neppure di accantonarne mimeticamente, sicché essa perviene da nomi a resti senza intender divenire per mezzo e riferendosi a tempi non di ritorni di uguali ma di uguali non stessi eventi non oggettivi, che alcuni, oggettuali avrebbero voluto rendere, ma col risultato di precipitare Roma in indistinzioni verbali burocratiche che hanno involontariamente offerto possibilità a difesa, etnica militaresca, militare nazionale, di, in stessa città ma cioè col tramutare evento separato passato in accessorio quindi in non più effettivo su attuali odierni presenti; solo similmente in alcune zone italiane dai simili retaggi mediterranei.
Cultura latina civile e urbana non offre possibile comprensione comparativa di presenti e di ormai altri terminati passati, mentre tentativo di omologarne lessico cui grecità italiana ellenica ha avuto esiti prevedibili di assoluta non intelligenza, per cui i 'metri' metropolitani ignorati in ecclesiastici non propri, cioè di realtà di altro o non cattolicesimo, non fondato su urbanità civile e questa non fondante da sempre in Europa ora anche estraniante.
MAURO PASTORE
I "revenant" della Decostruzione culturale non sono quelli della Distruzione etnofobica. Soglie assolute di tramandate urbanità ormai insensate son incubi che vagheggiano i criminali, specie quelli fascisti e neofascisti e fascistoidi - e neofascistoidi; ed i fondatori cittadini cui si postula in recensione son invece attori passati di vicende non più esistenti, cui analoghe trovasi in Africa Settentrionale (eppur ivi non più dirette memorie).
MAURO PASTORE
Prima che terminava concomitanza non europea in Europa, era tentativo — cui recensione attestante — di istituire nomos da non continuità, che eventi di continuatività rendevano apparenza e realtà, ma senza giustizia e poi ingiustamente, infine terminata concomitanza non europea in Europa, ne annullavano volontarietà in parte già velleitarità; questa ultima rimasta a letture anacronistiche di recensione e oggetto recensito, che danno considerazione non distinzione a realtà, decentrata occidentale espressa con riferire a Benjamin, non decentrata occidentale con riferimento a Derrida, cui accentrata occidentale espressa con riferito a Schmitt, ma in oggetto recensito non anche trovandosene rispetto per presenti e future, sia pur non presenti-future, distinzioni elementari tra: Occidentalità meridionale / Ovest di Occidente / Occidente; cui principalmente non coincidentemente integralmente: Africa atlantica settentrionale, America settentrionale, Europa ...cui destini in anno di pubblicazione di recensione alquanto incerti ma cui recensire comunque non consenziente pur se in alcune volte esso non dissenziente.
MAURO PASTORE
(...)
In nulla consisteva filosoficamente oggetto recensito, se non in marginalità e non di esito, quella in esso appellata "destruzione", a fronte di possibilità di inversione storica verso urbanità civilizzatrice appannaggio di realtà post occidentale israeliana non altra, mentre Benjamin volgendo tra criticabilità accolte a costruzioni intellettuali per e di occidentalità - Occidente-Ovest... Ma restando anche oggi considerazione normativa cui anche Schmitt non mediabile in parzialità, qual invece tentava autore recensito (D. Gentili), che listava in opportunità a passate realtà note a Engels e Marx senza che ne sapessero limiti e prerogative e cui euroasia non euro rispettività, cioè con forti possibilità di diritto ma marginali, rispetto a realtà europee maggiormente in distinzione continentale entro - non dentro cioè - blocco continentale - non di unico continente - di Eurasia. Si nota che ragionamenti di autore recensito cui riporti in recensione non valgono e si nota in recensione e da recensione una ripartizione, di giustizie, di diritti e doveri, di non doveri non diritti; ma questa ultima proprio, legata a vera realtà borghese cui non continuazione di romanità e legami ad essa, ma cui eventi politici, politici economici, repubblicani amalfitani cui Tavole non Diritto, cioè cui programmi condivisi essendo fondamenti giuridici ma non essendone affermazioni reciproche.
—— Della importanza di Amalfi in eventi politici tra Antichità e Medioevo e Modernità circa Leggi e conoscenze relative ad esse, non è possibile in menzioni di tipo enciclopedico e del tutto impossibile con nozioni di tipo informativo... Quindi attuale società liquida ne è culturalmente esterna benché Era delle Comunicazioni sia in forte relazione ad evento politico di Repubblica Amalfitana, cui storiografia non di rado non semplice o difficile o spesso ardua o più che ardua. ——
Falsariga su verità di trasformazione di alcune cittadi in città, espone —invece— sorta di listone di stesso autore (recensito) con indice di suo lavoro, ma esso geomorficamente più che inetto, geopoliticamente peggio che inetto, geograficamente non corretto, cui verità era di relazioni cittadine valevoli per coincidenze, ma non favorevoli per umani destini non solo europei ed occidentali... A salvare residuate residuali filosoficità di oggetto recensito, la inclusione di ultimità letteraria, kafkiana, non mondana, che però, si badi!!, non palesa vuoto storico geografico di pensiero cui indulgeva autore (recensito).
MAURO PASTORE
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