[Ed. or.: Vom sinnlichen Eindruck zum symbolischen Ausdruck. Philosophische Essays, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1997]
Recensione di Alessandra Pandolfo - 22/01/2010
Antropologia, Etica, Filosofia della storia
Il volume Dall’impressione sensibile all’espressione simbolica raccoglie, nella traduzione di Carlo Mainoldi, otto saggi nei quali Habermas conferma l’autentica vocazione dialogica del suo metodo d’indagine filosofica. Pensatore tutt’altro che solitario, Habermas ha sempre mostrato particolare abilità nell’individuare elementi di sintonia col pensiero di quei filosofi, contemporanei e non, con i quali ha condiviso ampi tratti del suo itinerario. D’altra parte, senza abbandonare mai i toni della garbata polemica, ha anche saputo mettere a nudo incertezze e contraddizioni nel pensiero dei suoi interlocutori allo scopo di dar agio teorico a questioni cruciali altrimenti rese aporetiche.
Di questa forma dialogica del filosofare danno prova i saggi qui raccolti che presentano alcuni interventi tenuti da Habermas durante le seguenti circostanze accademiche: il cinquantesimo anniversario della morte di Cassirer (1995), il conferimento del premio Jaspers (1995), la laudatio a von Wright (1996) e a Kluge (1990), la Emeritierung di Apel (1990) e di Metz (1993), la pubblicazione di un volume dedicato a Theunissen (1992). Malgrado le inevitabili sfumature celebrative, Habermas non perde l’opportunità di dare reale peso filosofico al suo discorso; e così in piena aderenza allo stile dialogico riconosce il contributo ideativo del suo interlocutore, per poi rilanciare, aprendo una discussione sulle questioni controverse. Ricostruiamo anzitutto il profilo di ciascun saggio, per poi individuare il filo teorico che li unisce.
Nel primo saggio che certamente dà il la all’intera raccolta, L’energia liberatrice della figurazione simbolica. L’eredità umanistica di E. Cassirer e la Biblioteca Warburg, il tema è quello della natura simbolica dell’animale umano. Habermas apprezza l’idea antropologica di Cassirer imperniata sul ruolo della mediazione simbolica che crea “la distanza nei confronti del mondo, la quale rende possibile la reazione all’ambiente – una reazione consapevole, tenuta a freno dalla riflessione – da parte di soggetti capaci di negazione, e il rapporto fra di loro all’insegna della civilizzazione” (p. 8). Habermas appare tuttavia più prudente nel valutare la teoria della civilizzazione che deriva dalla filosofia delle forme simboliche. È valida l’analisi di Cassirer che rende conto della “marcia verso l’astrazione” compiuta dall’uomo attraverso il mito, il linguaggio, l’arte e la scienza. Certo Cassirer sa bene che la rottura dalla prima natura avvia un percorso niente affatto lineare, dal momento che l’uomo simbolico paga poi il prezzo della “dipendenza spirituale da una natura semantizzata che ritorna nella forza ammaliante delle immagini mitiche” (p. 24). Lo sviluppo culturale non coincide col progresso unilineare, quasi che le forme simboliche siano destinate a superarsi l’una nell’altra lungo una direzione di crescente liberazione; ma entro ciascuna sfera simbolica vige una dialettica tra crescita di autonomia e nuove dipendenze. Il continuo rischio di cadute, al quale i processi di formazione sono esposti (p. 25), crea l’esigenza, acutamente avvertita da Cassirer, di un moto di rischiaramento che vigili sul processo di civilizzazione. Non è evidente però come debba compiersi quest’opera di rischiaramento soprattutto se, scongiurata l’ipotesi diacronica, si prospetta l’ipotesi di una sincronica coesistenza tra organi della comprensione del mondo parimenti legittimati ad organizzare l’esperienza secondo direzioni di senso differenti, prospetticamente orientate, fino al limite dell’incommensurabilità. Habermas sostiene che Cassirer, coerentemente alla svolta pragmatico-linguistica, avrebbe dovuto attribuire al linguaggio “un posto centrale nella struttura delle forme simboliche” (p. 22), proprio perché il linguaggio è capace di liberare le energie produttive di senso che includono “persino la possibilità della revisione e del rinnovamento creativo del vocabolario dischiudente il mondo” (p. 15). Resta prezioso, tuttavia, secondo Habermas il lascito umanistico di Cassirer testimoniato dall’analisi con la quale seppe denunciare l’insana radice della prassi politica nazista derivante da “una sinistra fusione del mito con la tecnica” (p. 25).
La lotta delle potenze della fede. K. Jaspers e il conflitto delle culture tratta della ricerca di un terreno comune sul quale le diverse tradizioni possano convenientemente incontrarsi. E la questione è tanto più urgente, quanto più il confronto attuale fra la tradizione giudaico-cristiana e il mondo islamico assume spesso i toni violenti dello scontro eliminativo. Habermas avverte l’urgenza di liberarsi dall’asfittica alternativa tra l’universalismo che presuppone “l’unità di una ragione innata in tutti gli uomini” (p. 30) e l’”autocontraddittorio relativismo” che attribuisce ad ogni comunità il possesso dei criteri del vero e del falso incommensurabili con quelli di altre culture. Jaspers ha il merito di aver attribuito alla filosofia il compito di agevolare la comunicazione attenuando la tensione tra le potenze religiose antagoniste. Elabora a tal fine un modello di comunicazione che contrappone alle istanze assimilatorie una forma dialogica basata sulla simmetria dei rapporti dove sussiste la possibilità di “un incontro-scontro, tra l’amichevole e il polemico, con progetti di vita concorrenti” (p. 35). È difficile però definire chiaramente il ruolo della filosofia entro questo spazio dialogico. C’è il rischio, secondo Habermas non del tutto scongiurato da Jaspers, che la filosofia vi si inserisca o giocando il ruolo di una potenza di fede tra le altre fedi, o realizzando una illuministica opera di disincanto che toglie alle religioni la possibilità di rivendicare la legittimità del loro orizzonte di senso esistenziale e salvifico. La modellizzazione del dialogo interculturale dipende in effetti dagli obiettivi cui si tende: soluzioni unanimemente accettabili per le questioni controverse, o rispetto reciproco fra tradizioni antinomiche? Rispetto all’esigenza di conciliante convergenza su sensi e verità comuni, espressa da Jaspers, Habermas fa valere l’esigenza di creare anzitutto un accordo sui presupposti della comunicazione: rinunziare ad imporre con violenza le verità di fede, riconoscersi come partner con medesimi diritti, accogliere la possibilità che nella situazione discorsiva si apprenda dagli altri partecipanti (p. 39). Qui si misura la validità di scelte etiche e politiche, se queste siano capaci di creare le condizioni per la coesistenza tra tradizioni, sensi e potenze di fede non necessariamente assimilabili. Spetta alla filosofia il compito di lavorare all’analisi e alla costruzione delle condizioni della comunicazione.
Nel saggio Fra le tradizioni. Una “laudatio” a G. H. von Wright Habermas elogia anzitutto il fecondo intreccio realizzato dal giovane allievo di Wittgenstein tra il “pathos della chiarezza scientifica” (p. 42) e la vocazione umanistica animata dal “desiderio di essere all’altezza dell’indubbio fenomeno della libertà umana come capacità di agire razionalmente” (p. 42). Il rigore logico dell’indagine di von Wright, ben lontano dal proposito di “dissolvere la filosofia in scienza” (p. 43), è funzionale alla comprensione dell’agire umano e alla chiarificazione dei problemi di cui la vita ci investe. E quindi l’ambito di indagine da lui inaugurato, quello della logica deontica, della teoria dei valori e dell’azione, deve essere inquadrato entro un modo di praticare la ricerca filosofica che sia rilevante per la vita e per la comprensione del mondo. L’apprezzamento per il filosofo finlandese non impedisce ad Habermas di segnalare nel suo pensiero la seguente contraddizione pragmatica: von Wright difende una posizione non-cognitivistica nelle questioni etiche e considera le asserzioni normative incapaci di verità; ora, se fosse del tutto coerente con questo impianto, dovrebbe ipotizzare un modello volontaristico della genesi delle norme, mentre attribuisce un peso notevole alle componenti valutative che operano sia a livello di genesi sociale delle norme, sia nei processi di autodeterminazione degli agenti. Habermas osserva pertanto quanto poco “la concezione volontaristica delle norme e un modo non-cognitivistico d’intendere la morale e il diritto […] si adattino a quel concetto di libertà umana e alla concezione di un vivere degno dell’uomo che con sempre maggior evidenza si delineano dalle […] argomentazioni” (p. 47) di von Wright. Questa critica permette in realtà di valorizzare la prospettiva di von Wright sul tema della libertà umana, che mette inevitabilmente in gioco la capacità cognitiva di “valutare i motivi per scegliere delle norme” (p. 50).
Ricercare, nella storia, l’Altro dalla storia. Sul “Sabbatai Zwi” di Scholem esprime il plauso di Habermas per il metodo di indagine di Scholem, capace di tenere insieme la precisione analitica dello storico con la tensione utopica del teologo negativo che cerca nella storia l’altro dalla storia, interessandosi alle forze innovative che il messianesimo ereticale riesce a liberare nella storia.
Un architetto dal fiuto ermeneutico. La via del filosofo K. O. Apel è forse il saggio dov’è più evidente la coloritura celebrativa con cui Habermas lascia ben trasparire l’affetto misto a stima per l’amico di poco più anziano. Del maestro che si consuma nel dialogo filosofico (p. 60), Habermas ammira la passione intellettuale alimentata da impulsi morali ed esente da narcisismo, la sensibilità per il contesto storico, l’indagine sulle questioni perenni della filosofia per trovare “orientamenti razionali per una vita condotta all’insegna della volontà e della consapevolezza” (p. 62).
L’interesse per la natura interpretativa e non rappresentativa del linguaggio ha reso Apel uno dei principali protagonisti della trasformazione della filosofia trascendentale, indispensabile per “ricuperare” in termini di teoria della comunicazione dimensioni abbandonate del concetto di ragione” (p. 66). E infatti proprio il dissolvimento del soggetto trascendentale permette di riabilitare il lavoro della ragione situata, che prende corpo nella prassi della comunicazione di individui socializzati, storicamente esistenti, e orientata verso forme di intesa intersoggettiva. Da ciò il contributo di Apel nel dilatare il raggio d’azione del metodo critico-analitico dalla scienza verso la sfera della morale, del diritto e della politica, quella sfera che lo scientismo imperante da tempo cerca di affidare al mero decisionismo, in uno spazio al di là di ogni pretesa di ragionevolezza.
Israele o Atene: a chi appartiene la ragione anamnestica? J. B. Metz per l’unità nel pluralismo multiculturale costituisce un esempio di dialogo fecondo tra filosofia e teologia, entrambe alle prese con la medesima questione del senso e dei sensi dell’epoca in cui viviamo. La filosofia sembra oggi esposta al rischio di perdere la sua carica critica e di acquietarsi dinanzi ai plurali contesti di senso, divenendo incapace di sollevare questioni di validità che vogliano anche di poco oltrepassare la fatticità dei contesti. Ma la rinuncia alla dimensione normativa impedisce di “identificare i tratti di una vita malriuscita e sfigurata, di una vita indegna di un uomo, ed esperirli come deprivazioni in generale” (p. 76). Dal pensiero teologico di Metz Habermas ricava una sollecitazione: se il cristianesimo ellenizzato ha insterilito la Chiesa, rendendola insensibile al grido di sofferenza e all’istanza di giustizia universale, la riabilitazione dello spirito di Israele può contribuire a vivificare dimensioni più promettenti del pensiero razionale. Metz infatti, rifiutando la divisione dei compiti tra la fede religiosa di ascendenza giudaica e la ragione filosofica greca, ribadisce il valore cognitivo della ragione anamnestica propria della tradizione di Israele. La forza della memoria storica è una componente della ragione. Solo la forza del ricordo, può dilatare orizzonti prospettici proprio nella misura in cui rende coscienti. Habermas trova che anche la filosofia debba mobilitare la forza dell’anamnesi contro l’ottusa inerzia di una normalità per lo più sorda ad esperienze di solidarietà e giustizia, come se non si avesse più la capacità di sentirne la mancanza.
Anche il saggio Libertà comunicativa e teologia negativa. Domande a M. Theunissen tratta dell’impegno teorico che accomuna la riflessione filosofica e teologica, entrambe alle prese col tentativo di affrancare l’uomo dall’impotenza del non-agire, dal dominio del passato sul futuro, sì da arginare la “tristezza indicibile che provoca la vista della storia irrigidita a natura” (p. 83). Theunissen cerca di far dialogare la spes fidei, la fiducia in una svolta escatologica, con la docta spes, “l’attesa profana che il nostro operare nel mondo possa promuovere, nonostante tutto, un cambiamento verso il meglio” (p. 83). Habermas valuta positivamente questa operazione, così come l’impianto teorico della filosofia del dialogo, con la quale Theunissen mostra il potenziale critico intrinseco alla costituzione dialogica del soggetto. Maggiore perplessità mostra Habermas quando la legittima pretesa di dialogo tra filosofia e teologia si traduce in una forzata conciliazione tra le due sfere, quasi che la filosofia debba infine radicarsi nel discorso teologico. Qui il rischio che la fisiologica tensione dialogica si traduca in reciproco snaturamento.
In Un’utile talpa che distrugge il bel prato. Il Premio Lessing conferito ad A. Kluge, Habermas tratteggia il profilo intellettuale del regista tedesco situandolo tra la più ottimistica passione critica di Lessing e quella più pessimistica di Adorno. Da ciò la cifra stilistica di Kluge caratterizzata da una sorta di “fragile fiducia” (p. 99) che non si lascia scoraggiare e non scoraggia. E, infatti, se Kluge non viene a patti col mondo così com’è, non affida certamente l’ultima parola al radicale negativismo; possiede semmai uno sguardo indagatore che cerca vie di fuga, e che gli permette di disegnare le biografie dei suoi personaggi, mettendo a fuoco i decisivi punti di svolta, le scintille di libertà che altrimenti si spengono negli assetti sistemici delle società.
Proviamo infine ad esplicitare il filo conduttore che lega i saggi fin qui presentati e che esprime le ragioni del più recente itinerario habermasiano, orientato a segnalare l’indifferibile richiesta di senso della nostra epoca. Con lucido sguardo critico, amaro ma mai disfattista, Habermas denuncia gli atteggiamenti di rassegnata sottomissione all’“attuale” che contribuiscono a conferire agli orizzonti di vita in cui viviamo il peso di rigide forme inamovibili, al punto da generare mera indifferenza anche rispetto all’ingiustizia e alla sofferenza che certi orientamenti d’azione, oramai naturalizzati, comportano. Né c’è da stupirsi che questo accada: la vita umana, liberata dall’immediatezza dell’impressione sensibile, è consegnata alla dimensione simbolica, matrice degli orientamenti culturali che danno senso alla nostra vita, ma che possono anche acquisire la fisionomia di asfittiche gabbie che restringono lo sguardo sul mondo. È questa una delle ragioni dell’infiacchimento del pensiero critico e del difficile dialogo fra culture che spesso si contrappongono per mera difesa identitaria. Da qui l’esigenza di individuare quelle risorse di cui l’animale simbolico è dotato, per aprire nuovi varchi, per elaborare sensi e ragioni che ridiano dignità al vivere sociale troppo spesso mortificato da forme d’azione cieche e ottuse. Habermas lascia ben intendere l’opportunità che al soddisfacimento di queste istanze, feconde sul piano etico e politico, lavorino le più svariate forme culturali, purché non si discostino dal metodo critico-analitico e dall’approccio dialogico, affinché siano garantite le condizioni di un confronto che non prescinda mai dalla valutazione della ragionevolezza delle istanze di senso.
Indice
Premessa
1. L’energia liberatrice della figurazione simbolica. L’eredità umanistica di Ernst Cassirer e la Biblioteca Warburg
2. La lotta delle potenze della fede. Karl Jaspers e il conflitto delle culture
3. Fra le tradizioni. Una “laudatio” a Georg Henrik von Wright
4. Ricercare, nella storia, l’Altro della storia. Sul “Sabbatai Zwi” di Scholem
5. Un architetto con fiuto ermeneutico. La via del filosofo Karl-Otto Apel
6. Israele o Atene: a chi appartiene la ragione anamnestica? Johann Baptist Metz per l’unità nel pluralismo multiculturale
7. Libertà comunicativa e teologia negativa. Domande a Michael Theunissen
8. Un’utile talpa che distrugge il bel prato. Il Premio Lessing conferito ad Alexander Kluge
Note
Fonti dei saggi
L'autore
Jürgen Habermas, professore emerito di Filosofia all’Università J. W. Goethe di Francoforte, è uno dei maggiori filosofi viventi e figura chiave del dibattito internazionale. Tra le sue molte opere si segnalano in traduzione italiana: Conoscenza e interesse (1973), Teoria dell’agire comunicativo (1986), Etica del discorso (1985), Il discorso filosofico della modernità (1988), Il pensiero post-metafisico (1991), Teoria della morale (1994), Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia (1996), Verità e giustificazione (2001), L’Occidente diviso (2005).
Nessun commento:
Posta un commento