giovedì 7 gennaio 2010

Heller, Ágnes, La bellezza della persona buona, a cura di Brenda Biagiotti.

Reggio Emilia, Diabasis, 2009, pp. 140, € 10,00, ISBN 9788881036011.

Recensione di Martina Subacchi – 07/01/2010

Etica

Il testo propone una raccolta di quattro saggi di Ágnes Heller, filosofa ungherese allieva di Lukács. Il filo conduttore è costituito dal tema dell’alterità, presentato attraverso la teoria dei bisogni e la categoria della responsabilità.
Già dal titolo del primo saggio, Una teoria dei bisogni riesaminata, si evince quanto l’autrice abbia rielaborato la teoria dei bisogni formulata vent’anni prima (e presentata nell’opera La teoria dei bisogni in Marx), abbandonando la critica al ‘socialismo reale’ per concentrarsi sul bisogno inteso come categoria sociale. Il bisogno riguarda l’uomo in quanto ‘animale politico’ e si colloca a metà strada tra i desideri – che sono personali perché appartengono alla sfera psicologico-emotiva – e le esperienze (o bisogni socio-politici) che la società attribuisce, e talvolta impone, ai suoi membri.
Storicamente si è assistito ad un’evoluzione della categoria del bisogno: mentre nella società premoderna i bisogni, insieme ai relativi mezzi di soddisfacimento, venivano assegnati all’individuo al momento della nascita in base alla categoria sociale di appartenenza, la società moderna non impone bisogni all’individuo, perché questi è riconosciuto libero di compiere scelte personali. Nella società borghese stile di vita, preferenze e tutto ciò che rientra nel ‘sistema di bisogni’ sono identici per ciascun individuo, ad eccezione dei mezzi – di maggiore o minore valore monetario – necessari al loro soddisfacimento. Al contrario, nella società di tipo sovietico si è imposta la ‘dittatura dei bisogni’, in cui l’autorità centrale determinava i bisogni delle persone in base alla loro posizione all’interno della gerarchia del partito, mentre gli scarsi mezzi a disposizione venivano distribuiti esclusivamente ai detentori del potere centrale.
Oggi nei moderni Stati del welfare la distinzione tra i tre aspetti del sistema di bisogni (i bisogni individuali, i desideri e i bisogni socio-politici) si trova sottoposta alla logica del mercato; questo ha determinato il passaggio da un’allocazione di tipo qualitativo ad una puramente quantitativa. Ma le dinamiche della modernità – denuncia l’autrice senza nascondere un certo rammarico – sono assenti nella maggior parte dei Paesi, in cui si assiste piuttosto a una deleteria combinazione di forma premoderna di allocazione dei bisogni e logica di mercato quantificante; per questo “i conflitti rimangono irrisolti, i bisogni non vengono riallocati e l’uso della forza è ancora estremamente diffuso” (p. 47). Per questi Paesi sarebbe sufficiente anche solo un avvicinamento al modello del welfare state, non essendo rinvenibile al momento alcuna valida alternativa.
Il tema del secondo saggio, Rappresentazione di sé e rappresentazione dell’altro, è incentrato sul tema della rappresentazione intesa secondo una duplice valenza: come raffigurazione artistica che ritrae un oggetto o una persona, e come l’agire di un delegato che rappresenta un gruppo di individui. L’interrogativo sollevato da Heller è se la rappresentazione dei desideri, dei bisogni e dell’interiorità dei membri di un gruppo operata da un autore che vi appartiene sia più veritiera di quella offerta da un autore ad esso estraneo. In altri termini, è l’opposizione tra autorappresentazione ed eterorappresentazione a farsi problematica. A titolo esemplificativo la filosofa ungherese si domanda: può uno schiavo nero, come il protagonista del romanzo La capanna dello zio Tom, essere rappresentato da una scrittrice di razza bianca? È possibile per un deputato del Parlamento condividere comportamenti, abitudini e bisogni del gruppo sociale che rappresenta (come il popolo lavoratore), pur non facendone parte? E ancora, è inevitabile che un romanziere rappresenti un gruppo etnico o religioso di minoranza solo attraverso la lente dei suoi pregiudizi? Soltanto le donne sarebbero capaci di rappresentare adeguatamente le donne, e gli omosessuali gli omosessuali? Bisogna allora concludere che deve essere considerata autentica solo la rappresentazione di sé?
No – risponde Heller – non è possibile stabilire l’autenticità e la veridicità di una rappresentazione in base alla distinzione tra auto ed eterorappresentazione, perché anche la rappresentazione di noi stessi può risultare inficiata da stereotipi e pregiudizi, quindi inautentica. Utilizzare la distinzione tra rappresentazione di sé e rappresentazione dell’altro come criterio di valutazione potrebbe rivelarsi dannoso non solo nella valutazione delle opere d’arte (in tal caso sarebbero da considerare autentici solo le autobiografie e gli autoritratti), ma anche nella sfera politica. Se infatti all’autorappresentazione venisse accordata una preferenza assoluta rispetto all’eterorappresentazione, la politica non avrebbe più di mira il benessere della città e di ogni singolo cittadino, ma solo l’interesse di un gruppo particolare; inoltre non sarebbe più possibile sollevare questioni riguardanti la giustizia, perché ogni gruppo rivendicherebbe la correttezza della propria forma di vita rigettando, come errate, tutte le altre. E sebbene questo rappresenti di fatto l’atteggiamento adottato dalla lobby – commenta la filosofia ungherese con tono critico-sarcastico – “esso non costituisce il loro principio ispiratore quanto piuttosto la sua violazione nella pratica” (p. 82).
Il terzo e quarto saggio di natura più strettamente etica – intitolati per l’appunto L’etica della personalità, l’altro e la questione della responsabilità e La bellezza della moralità – risultano maggiormente attinenti al titolo dell’opera perché dedicati alla correlazione tra il Bene e il Bello. Mentre nella metafisica tradizionale le idee di Bene, Bello e Vero erano correlate e attribuite a Dio, nella filosofia moderna (con Spinoza, Kant ed Hegel) sono state separate: il vero scisso in verità rivelata e conoscenza scientifica; la Bellezza relegata nel giudizio estetico; il Bene identificato con il giudizio morale (la Ragion Pratica kantiana). Heller allora si domanda se nella cultura contemporanea si possa ristabilire una connessione tra il concetto di moralità e quello di Bellezza. Più precisamente, cosa significa oggi essere buoni? Per rispondere a tale interrogativo l’autrice analizza le azioni, le scelte e gli stili di vita delle persone considerate migliori di altre, presentando al contempo i temi fondamentali dell’etica della personalità. A suo fondamento si trova la coscienza, tipicamente moderna, della contingenza umana; essa trova espressione in tre diverse forme: contingenza cosmica, contingenza sociale, decomposizione di ogni credenza e valore tradizionali.
Con la decostruzione del cosmos cristiano, che gravitava intorno a Dio e ai suoi comandamenti, la coscienza umana se da un lato è libera di decidere autonomamente nelle questioni riguardanti il bene e il male, dall’altro si trova talmente priva di certezze da non essere più in grado di conferire un senso all’esistenza. E mentre nell’universo sociale premoderno, ordinato gerarchicamente, l’individuo riceveva la propria destinazione al momento della nascita (“c’era l’indirizzo giusto sulla busta nella quale si gettava l’apriori genetico di ogni singolo individuo”, p. 95), l’uomo moderno, pur non essendo definito da un apriori sociale, “viene comunque gettato nel mondo chiuso in una busta senza indirizzo”. La caratteristica dell’uomo moderno si identifica quindi con la responsabilità di scrivere l’indirizzo sulla propria busta. Eppure, se si sottopongono i valori, le virtù e qualsiasi affermazione che riguardi il bene e il male al vaglio della ragione, ci si rende conto che nessuno di essi può essere dimostrato con certezza assoluta, perché verificabile e falsificabile con argomenti ugualmente validi. E se non esiste alcuna conoscenza vera riguardo al bene e al male, l’unica certezza da assumere come criterio dell’agire morale è l’individuo. In che modo allora – si domanda Heller – l’etica della personalità possiede un contenuto morale? Come può l’individuo scrivere l’indirizzo sulla propria busta? Attraverso la scelta esistenziale del proprio telos, ossia dell’apriori genetico e dell’apriori sociale, perché solo in questo modo egli ha la possibilità di trasformare la contingenza nel proprio destino (104).
Ritornando all’interrogativo iniziale, qual è il criterio per stabilire chi siano le persone buone? Heller, riprendendo l’argomentazione socratica, dichiara che è da considerare moralmente retto chi preferisce subire un’ingiustizia piuttosto che commetterla, perché questo è l’unico modo di assumersi la responsabilità degli Altri. E se non è possibile spiegare o dedurre da certezze metafisiche perché alcune persone compiano scelte esistenziali di contenuto morale e si scelgano come rette, a differenza di altre (essendo questa una questione ontologica che esula dall’ambito della filosofia morale), è possibile comunque avere la certezza della loro bontà dalla rettitudine della condotta pratica: “le persone buone esistono. Sono reali. E tutto ciò che è reale è possibile” (p. 114).
Allora quando un’azione buona può essere considerata anche bella? Un atto meritevole di lode perché buono (come il regalare denaro a chi ne ha bisogno) diventa bello dal punto di vista estetico a seconda del modo in cui viene compiuto. E dal momento che la bellezza presuppone un certo grado di visibilità o di conoscenza – commenta l’autrice – devono essere considerati belli gli atti morali che non vengono compiuti in segreto ma possono essere contemplati da chiunque.
Heller riassume così le caratteristiche delle persone buone: scelgono il bene, aspirano all’incondizionato (come un amore e una libertà assoluti), non conoscono fanatismo, comprendono e perdonano gli altri, rispondono alle loro richieste, hanno un carattere lieto. E dal momento che l’amore rende le cose belle, noi amiamo le persone buone proprio in virtù della loro bellezza.
Il testo ci sembra molto interessante per molteplici ragioni:
l’originale intreccio di etica ed estetica, disancorato dagli enunciati della metafisica tradizionale;
il riconoscimento di un’autonomia morale individuale, senza alcun ricorso a comandi ultrasensibili;
i temi dell’alterità e dei diritti civili, messi in campo per rendere giustizia alle minoranze etiche e tutelare gli ideali ugualitari;
il principio ispiratore dei saggi tratto da una morale laica, di fondamento empirico, supportata da esempi chiarificatori attinti sia dal contesto politico che dalla narrativa internazionale;
il linguaggio semplice e il periodare lineare, che rendono il testo accessibile anche ai ‘non addetti ai lavori’;
l’uso di metafore elementari ma efficaci, come quella della ‘busta senza indirizzo’;
la Premessa di Brenda Biagiotti (ricercatrice presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Perugia), indispensabile per comprendere l’evoluzione della filosofia di Heller dal pensiero marxiano all’etica della personalità.
L’unica perplessità che ci permettiamo di segnalare è relativa al titolo dell’opera, La bellezza della persona buona. Pur essendo indubbiamente accattivante, risulta attinente solo agli ultimi due saggi, perciò non immediatamente comprensibile al lettore che nelle prime pagine del testo si imbatte in un contenuto di natura esclusivamente socio-politica (la teoria dei bisogni).

Indice

Premessa. Oltre l’individualismo: alterità e responsabilità in Ágnes Heller di Brenda Biagiotti
Una teoria dei bisogni riesaminata
Rappresentazione di sé e rappresentazione dell’altro
L’etica della personalità, l’altro e la questione della responsabilità
La bellezza della moralità


L'autrice

Ágnes Heller, la più autorevole esponente della Scuola di Budapest. Sopravissuta all’Olocausto, a 18 anni segue le lezioni di G. Lukács all’Università di Budapest; in seguito ne diventa assistente e collaboratrice. Attualmente è visiting professor di filosofia e scienza politica presso la New School for Social Research di New York. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Sociologia della vita quotidiana, La teoria dei bisogni in Marx, Teoria della storia, La dittatura sui bisogni, Oltre la giustizia, La condizione politica postmoderna, Un’etica della personalità.

Link

La mia vita con Marx, intervista su La Stampa
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200811articoli/38272girata.asp

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