[Ed. or.: Sphären I. Blasen, Suhrkamp, Berlin 1998]
Recensione di Laura Menatti – 15/01/2010
Estetica, Etica
Siamo creatori di bolle e usciamo verso di esse come il bambino che esteriorizza il sé nella produzione limpida e sferica del sapone. Così il soggetto moderno decentra progressive bolle fuori dal cosmologico ordine del passato. L'esilio dell’uomo moderno consiste in questo passaggio: far esplodere le bolle immunitarie che, fino ad allora, sostenevano l’essere pre-moderno, per costruirne altre, più tecniche e meticolose, feticci per un’esistenza condotta da utente di un globo e non abitante di una Terra. Si tratta dell’ultimo tentativo di proteggersi da ciò che si è costruito, dal deserto nietzschiano che avanza, dal gelo cosmico che penetra nella sfera – il nostro globo – dalle porte spalancate dall'Illuminismo. Crollate le volte celesti, armonia del cielo e della terra, un mondo artificiale, tecnico e civilizzato crea involucri di spazio per gli uomini della Modernità. Civilizzazione, welfare state, mercato mondiale, sfera mediatica: imitazioni immaginarie e immaginate della sicurezza delle sfere celesti. Mentre il singolo non ha strumenti per affrontare l'esistente, monade sola di madri sferiche.
Nella fine del centro e dell'orizzonte, che è la globalizzazione, nell'oblio dell'essere che Sloterdijk reinterpreta come oblio dei luoghi, la domanda sullo spazio diviene radicale e costituente l'ontologia dell'individuo. Spazio ontico del nostro essere al mondo: “Dove siamo quando siamo nel mondo?” (p. 82), si chiedevano gli gnostici. In un esterno che supporta mondi interni, un’esteriorità data dalla lontananza dal cielo dell’origine, che supplice la mancanza attraverso la creazione di bolle immunologiche. Siamo in sfere, mondi circolari, protési verso orizzonti mai raggiunti.
La bolla è soffio. Il bambino crea una bolla in cui esternalizza la sua soggettività, così come Dio, nell'atto dell'insufflazione, atavico gesto del vetraio, crea Adamo a sua immagine e somiglianza. La scienza del soffio, tuttavia, non può che essere teoria delle coppie (p. 93): nella creazione si propone l'anteriore coesistenza di Adamo con l’alterità e nella vita delle creature gettate non si è se non in due, anima nell'anima, anima di fronte all'anima. Da cui una topologia del soggetto ove l'unione diadica è bipolarità dispiegata. La coppia, inoltre, plana sempre in una dualità atmosferica, vincolo reciproco di una spazialità data. Questa solidarietà ontologica, forza del reciproco gemellaggio, Sloterdijk la desocializza e la depsicanalizza (non riducendola al solo rapporto tra due soggetti, per esempio madre-bambino) per inserirla entro un orizzonte topologico: l’altro è la bolla, lo spazio della condivisione. Ed ecco una delle prime definizioni di sfera: “una bolla gemella, uno spazio spirituale e di vissuto elissoidale, con almeno due abitanti voltati l'uno verso l'altro e legati l'uno all'altro come due poli” (p. 96). Parlare di sfere non significa solo analizzare l'unità simbiotica della coppia, ma di collocarsi in una teoria della costituzione dello spazio a partire da differenti corrispondenze bi-unitarie che sfocia poi in un’approfondimento dei contenitori autogeni. Dalla sferologia dell'intimità si passa alla sferologia sociale e politica che costituisce lo spazio mondano. E’ solo all’interno di strutture immunitarie creatrici di spazi interni che gli uomini possono prolungare il loro processo di creazione e identificazione, operazione di continuo riposizionamento di identità e riconoscimento. Le sfere sono, inoltre, strutture morfo-immunologiche, spazi in cui la natura e l'atmosfera (il respiro della vita e della sfera) sono ricostruite nella mediazione compensativa e dove la creazione di spazi interni consente la possibilità generativa dell'umano. L'essere nel mondo è essere nelle sfere. Le sfere sono installazioni climatiche: la climatizzazione, il controllo dell'aria e del respiro della Terra è il modo attraverso cui la società moderna si esternalizza ed esternalizza il controllo e il dominio della natura. Tema che Sloterdijk affronta ancora nel secondo volume della trilogia, in parte tradotto in Italia (cfr. Il terrore nell’aria, Meltemi, Roma 2007), ma che attende completa edizione per l’importanza riconosciuta all’opera nella filosofia contemporanea.
La sfera, tuttavia, porta in sé la propria distruzione, spiega l’autore, poichè siamo fragili come bolle di sapone, attimi in cui specchiare la nostra soggettività: la stessa diade (madre-figlio, Dio-Adamo) reca in sé l'offuscamento della sfera nella cacciata dal paradiso e nel trauma universale del distacco. Si tratta dell'inevitabile corruzione della biunità, attraverso l'irruzione inquietante dell'allotria: tale dramma sferologico è il debutto della soggettività, è l'entrata nella storia e nella società, uno spazio che da duale diventa multisferico (in cui per tutta la vita, spesso, si cerca di ricostruire una dualità originaria, malinconica copia di una originaria Ur-sfera, nel passaggio da micropatologia a macropatologia).
Dopo una lunga parte del volume in cui vengono esplicitati gli intenti teorici, il testo si sofferma sulla dettagliata esemplificazione di questa tipologia di bolle: seguiremo nelle pagine dell’autore il naufragio dell’Atlantide intima, penetreremo nel regno dei fantasmi originari, dove la dualità, trattata in modo originale dall’autore, ci costituisce e ci destruttura nell’esperienza pre-soggettiva e primitiva, dove bolle orginarie esplodono per ricostituirsi in ricomposizioni allargate. Di seguito, nel secondo volume di Sphären la sfera originaria diviene modello spaziale di spiegazione del mondo e della stessa globalizzazione, intesa come il tentativo tutto moderno di conquistare il globo e di spezzettarlo in contenitori autogeni che abbiano valenza universale. Il terzo volume verte, invece, come già in questo si accenna, sulla catastrofe della rotondità della sfera: dalla fine del Moderno, spazi magmatici, a-topici e ou-topici prendono il sopravvento, in una completa de-localizzazione dei luoghi.
Il presente volume si dipana, dunque, come fil rouge dello spazio interno e intimo della bolla. Le occorrenze analizzate sono numerosissime e affascinanti, dotte e ironiche. Traslazioni di un pensiero che ritrova la forma sferica in ogni modalità conoscitiva (artistica, religiosa, architettonica, scientifica e biologica) dell’umano. Una sorta di archetipo warburghiano, quello della sfera e della bolla, che ha sancito la fortuna filosofica dell’autore. Il tutto può essere letto a vari livelli: a partire dalla costituzione della soggettività inserita in una relazione duale, che Sloterdijk esemplifica attraverso l’analisi del tema mistico cristiano del cuore, fino al sezionamento dei cadaveri ad opera dei primi medici. Questi ultimi sono i veri creatori del soggetto moderno, quello che, a parer nostro, già Foucault in La nascita della clinica aveva descritto, come carne sezionata e scientificamente disposta all’uso della tecnica.
E ancora i riferimenti al volto e alla sua rappresentazione come soggettivazione e desoggettivazione dell’astrattismo del moderno, di contro a tutta la storia antica in cui gli uomini non presentano una viseità propria, un volto per loro stessi, ma per gli altri. La parola greca per designare il volto umano, prosopon, riflette ciò che si dà per altri. Solo con l’uso massiccio di un dispositivo tecnico quale lo specchio la soggettivazione dell’uomo e la rappresentazione del sé diviene conquista del moderno: con lo specchio “Freud e i suoi successori hanno potuto rendere popolare la loro pseudo-evidenza su quello che hanno chiamato narcisismo” (p. 220). Per l’autore, dunque, il trauma psicoanalitico di Narciso si lega inscindibilmente all’esordiente riflessione facciale; il mito narrato da Ovidio trasmette, invece, la favola di un semidio che cade nell’acqua cercando di afferrare il volto di un altro e non il proprio (addirittura una versione del mito parla della sorella gemella morta di Narciso). L’idea del proprio volto si forma secondo un percorso individualizzante che l’autore ricostruisce attraverso l’arte medioevale e moderna, fino a giungere alla destrutturazione del volto del sé e dell’altro nell’immagine tecnica post-moderna. L’identità facciale dell’Io in quanto possibilità di avere un proprio volto dipende dalla trasformazione dello spazio soggettivo (della relazione con l’altro che rimanda il nostro volto) di un individuo capace di soddisfarsi da sé. Il volto di sé è prodotto da una sorta di “intima eccentricità di fronte a sé” (p. 224).
Il solipsismo proprio del soggetto moderno si discosta, dunque, dalla fascinazione come regola intersoggettiva: ciò che l’uomo antico subisce dall’alterità umana, prima che da quella divina. Per questo l’autore parla di un cerchio magico (pp. 227 e sgg.), spazialità della vicinanza, variamente ricostruita a partire dagli stimoli che la magia esercita sulle riflessioni dell’intersoggettività di Giordano Bruno, fino ad un’analisi dettagliata del mesmerismo e degli influssi esercitati dai circoli degli allievi di Mesmer sulla filosofia idealistica tedesca.
Il testo comprende excursus che a volte appaiono originali e un poco forzati, altri invece, di maggiore pregnanza filosofica. Mi riferisco per esempio a quello su Martin Heidegger, in cui Essere e tempo è analizzato come un trattato potenzialmente rivoluzionario su essere e spazio. L’analitica heideggeriana della spazialità esistenziale giunge a una definizione positiva della spazialità dell’esser-ci in quanto avvicinamento (Näherung) e orientazione (Orientierung). Riferendosi al verbo tedesco innan, abitare, Heidegger svela già il nucleo esistenziale della spazialità intesa come abitare il mondo internamente, “nel godimento della sua apertura grazie a un preliminare accordarsi e uscire da sé” (p. 326). L’esser-ci è l’atto compiuto dell’abitare e la casa dell’essere si riferisce alla sfera della cura in cui “l’esser-ci si è esteso in un originario essere-fuori-di sé” (p. 326). È lo stesso Sloterdijk ad affermare che il suo progetto Sfere si propone come tentativo di diseppellire la spazialità della riflessione heideggeriana di Essere e tempo: “Se è possibile salvare qualcosa dell’interesse heideggeriano nei confronti del radicamento, lo si può fare solo attraverso una teoria delle coppie, dei geni e dell’esistenza integrata” (p. 331). È quanto dunque Sloterdijk cerca di fare nelle ultime duecento e densissime pagine del testo, che qui non è possibile trattare dettagliatamente, ma che evidenziano una teoria intima della soggettività secondo una trattazione che ricorda la psicologia del profondo riassumibile in alcune precise fasi: si nasce sempre doppi, la bolla duale con la madre crea un alter ego, un cum, come lo chiama l’autore, variamente simbolizzato nella tradizione dall’albero della vita, dal gemello, dal genius romano fino all’angelo protettore. Tutto ciò entro uno spazio psichico il cui ricordo acustico e visivo (secondo le teorie per cui vediamo ciò che la madre vede e sente) ci condiziona tutta la vita. Le bolle cosmiche dell’individuo sono pre-natali ed elementi strutturanti la sua vita futura, secondo una funzione di membrana che ab origine appartiene al nascituro.
Ecco ciò che si cerca nella melanconia di tutto l’esistente: non tanto la madre, ma quel doppio spaziale che ci ha da sempre caratterizzati e che variamente simbolizziamo nella religione, nella filosofia e nella letteratura. Più che di una teoria dell’Altro, Sloterdijk sviluppa, dunque, un’analisi della topologia originaria e fetale, secondo i giochi sottili della risonanza: la microsfera, come si è detto, si ritrova nello spazio intercordiale, nella sfera interfacciale, nelle forze magiche leganti e negli effetti ipnotici di vicinanza, nello spazio immanente della madre e delle sue metafore post-natali, nell’inseparabile doppio e nello spazio di risonanza della voce materna. Il testo va letto secondo questa partizione, dalla quale rimangonono, tuttavia assenti, le relazioni tra soggetti determinati (dov’è l’Altro dal soggetto? È solo il suo doppio o lo spazio in cui il sé e il doppio si creano? Dov’è la relazione amorosa? Si rimane sicuramente un poco estraniati rispetto ad una trattazione sui generis della soggettività e della relazione all’Altro; originalità che, tuttavia, ha fatto anche la fortuna dell’autore e che ha il merito di inserire la questione spaziale nel dibattito intersoggettivo). Sloterdijk preferisce, infatti, soffermarsi su uno spazio che non separa il soggetto dal proprio ambiente: se ciò accade è perchè il cum dell’origine si frange di fronte a una mediaticità del contemporaneo che ha distrutto le possibilità di simbolizzare il sé e l’altro del sé lasciando un individuo post-moderno, solo e nudamente patologico.
Indice
Introduzione di B. Accarino
Premessa
Introduzione. Gli alleati ovvero: La comune soffiata
Riflessione preliminare. Pensare lo spazio interno
Operazione cardiaca ovvero: Dell’eccesso eucaristico
Tra i volti. A proposito dell’apparizione della sfera intima facciale
Uomini nel cerchio magico. Per una storia delle idee di fascinazione della vicinanza
Excursus 1. Transfert di pensieri
La clausura della madre. Per il fondamento di una ginecologia negativa
Excursus 2. Noggetti e non-relazioni. Per una revisione della teoria psicoanalitica delle fasi
Excursus 3. Il principio uovo. Interiorizzazione e involucro
Excursus 4. “L’esserci ha una tendenza essenziale alla vicinanza”. La teoria heideggeriana del luogo essitenziale
L’accompagnatore originario. Requiem per un organo respinto
Excursus 5. La piantagione nera. Nota sugli alberi della vita e le macchine di animazione
Il condivisore dello spazio dell’anima. Angelo – gemello – doppio
Excursus 6. Il lutto delle sfere. Sulla perdita del noggetto e la difficoltà di dire ciò che manca
Excursus 7. Sulla differenza tra un idiota e un angelo
Lo stadio delle sirene. Sulla prima alleanza sonosferica
Excursus 8. Verità di analfabeti. Nota sul fondamentalismo orale
Excursus 9. Da dove Lacan inizia a sbagliare
Più vicino di me stesso. Scuola teologica preparatoria alla teoria dell’interno comune
Excursus 10. Matris in gremio. Un capriccio mariologico
Passaggio. Sull’immanenza estatica
Bibliografia
L'autore
Peter Sloterdijk è professore di Filosofia e Teoria dei media presso la Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, di cui è attualmente rettore. L’opera, cui il testo in questione è parte, è Sphären, edita in tre volumi: Sphären I. Blasen (1998); Sphären II. Globen (1999) e Sphären III. Schäume (2004), di cui in Italia sono tradotti il primo per Meltemi, parte del secondo in L’ultima sfera. Breve storia della globalizzazione (2002) e del terzo è tradotta una parte in Il terrore dell’aria (2007). Si segnala, inoltre, Critica della ragion cinica (1992), Il mondo dentro il capitale (2006) e Ira e tempo (2007).
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