Recensione di Antonio Vigilante - 28/06/2010
Filosofia morale
Né apocalittici né integrati, ma attenti a distinguere l'utile dal dannoso, consapevoli della complessità: così si potrebbe sintetizzare la posizione di questo libro di Francesco Bellino sui problemi della società della comunicazione. Che esordisce, a dire il vero, con qualche tono apocalittico. Sulla scorta degli interpreti più attenti della contemporaneità, Bellino analizza nella prima parte del suo studio la profonda trasformazione della nostra visione del mondo ad opera dei mass media e della tecnologia informatica e digitale. La categoria centrale per comprendere il mondo attuale è quella di immagine. Non esiste più una realtà al di fuori dell'immagine: essa non è più una parte del mondo, ma il mondo stesso. Ciò non è senza conseguenze sulla nostra vita e sulla nostra percezione morale. Se facciamo esperienza del mondo attraverso l’immagine, tutto diventa spettacolo, anche una tragedia, anche un'esplosione atomica. “Noi formiamo il nostro mondo sulla base delle immagini del mondo: imitazione invertita”, scrive Bellino (p. 32). È, bisogna notare, quello che accade con i reality show. La loro pretesa di essere realtà è naturalmente infondata, poiché la presenza di una telecamera trasforma tutto in rappresentazione; ma i telespettatori prendono ciò che vedono sullo schermo come un paradigma sul quale modellare la loro stessa vita quotidiana. Accade così che la vita stessa diventa irreale, si fa rappresentazione; i più giovani, soprattutto, interagiscono spesso fra di loro come se fossero personaggi di un reality - teatralizzano le reazioni, enfatizzano i conflitti, accentuano le divergenze o le affinità. Non lievi sono anche le conseguenze sul mondo dell’informazione. Una corretta informazione è quella che dà una versione imparziale dei fatti. Ma è ancora possibile parlare di fatti, se il mondo diventa immagine e spettacolo? Giornali, televisioni, reti informatiche per Bellino formano un sistema autoreferenziale che non rappresenta la realtà secondo criteri di fedeltà ed adesione al vero, ma la ricrea. Se a ciò si aggiunge che i grandi media sono nelle mani del potere politico ed economico, ci si rende conto facilmente delle difficoltà di un’informazione non manipolativa. Al di là degli intenti di chi fa televisione o informazione, è la logica stessa dei mezzi di comunicazione tecnologici che opera sull'utente-consumatore in modo deleterio, frantumando la sua esperienza (anche l'immagine di un'esplosione atomica è nulla più che una immagine), passivizzandolo e sottomettendolo all'imperativo di un consumo compulsivo, destrutturando le sue convinzioni e la sua mentalità, esteriorizzandolo ed allontanandolo dalla dimensione interiore, che è quella della coscienza e della riflessione morale.
È evidente, dunque, il bisogno di un’etica della comunicazione, che Bellino vede fondata da tre postulati: libertà, verità e reciprocità. C'è comunicazione reale quando persone libere cercano la verità rispettandosi reciprocamente come fini. In particolare Bellino si sofferma sull'importanza della verità. La convinzione di essere in possesso della verità assoluta ha prodotto nel corso della storia, e segnatamente nel Novecento, grandi tragedie. Di qui una sorta di abdicazione alla verità, considerata una pretesa eccessiva, un obiettivo inattingibile ed in fondo pericoloso. Ma senza verità, sostiene Bellino, non è possibile alcuna vera moralità. Se intendiamo la verità non solo come corrispondenza tra l'affermazione e la cosa, ma anche come corrispondenza tra ciò che io dico e ciò che sono, appare evidente che le virtù etiche non sono possibili senza le virtù aletiche. Questo non vuol dire che la moralità debba alimentarsi della convinzione di possedere tutta la verità o l’unica verità. È questa la convinzione che genera la violenza ed il fanatismo. La verità non è mai pieno possesso: possiamo tuttavia avvicinarci progressivamente ad essa, lavorando pazientemente ad eliminare gli errori. Piuttosto che contrapporre ideologicamente gli uomini gli uni agli altri, questa concezione fallibilista li costringe al dialogo, poiché la ricerca onesta della verità non può che nascere dal confronto aperto tra le diverse verità parziali.
È il caso di notare che, stando così le cose, il postulato della reciprocità diventa indispensabile per la verità stessa. Per Bellino la reciprocità è scritta nella natura stessa dell'uomo, nel suo ontologico essere-in-relazione, e la comunicazione è l'attività che consente l'espressione più piena della realtà personale. Da questo semplice postulato è possibile trarre conclusioni che possono sovvertire anche linguisticamente il nostro modo di considerare la comunicazione. Se c'è comunicazione quando c'è reciprocità, allora ovunque manchi la reciprocità la comunicazione è assente. Pochi hanno analizzato il nesso tra comunicazione e reciprocità con la consequenzialità di Danilo Dolci. La sua conclusione è che nel caso dei mass-media non si dà comunicazione. La comunicazione di massa non esiste è il titolo di un suo libro del 1987. C'è comunicazione, per Dolci, quando è possibile il feedback, quando c'è un dire ed ascoltare; quando questo scambio bidirezionale non c'è, bisogna parlare di semplice trasmissione. La reciprocità non è intesa, da Dolci, come rispetto del destinatario del messaggio, ma come la possibilità effettiva di quest'ultimo di essere parte attiva dello scambio comunicativo. I mass-media, non consentendo alcuno scambio reale, sono mezzi di trasmissione, non di comunicazione, anche quando chi parla attraverso il televisore lo fa senza alcun intento di ingannare o manipolare. È il mezzo stesso che, per il suo carattere unidirezionale, per l'aspetto perentorio che assume ogni affermazione che proviene da esso, mette in crisi la reciprocità.
La distinzione tra trasmettere e comunicare teorizzata da Dolci può rappresentare uno strumento importante per una analisi critica del mass-media, ma non va assolutizzata. Lo stesso Dolci sapeva che esistono forme di comunicazione massmediale onesta e positiva, che si avvicinano alla comunicazione autentica. Non si tratta dunque di condannare i mass-media, ma di chiedersi in che modo è possibile diminuire l'aspetto trasmissivo ed aumentare quello comunicativo. I nuovi mezzi informatici sono da questo punto di vista di grande interesse. Soffermandosi sulle opportunità offerte in particolare da Internet, Bellino supera quel che di apocalittico era nell'analisi della contemporaneità. La comunicazione in rete non ha un carattere unidirezionale. Soprattutto con il Web 2.0, l'utente di Internet ha la facoltà di discutere i contenuti, o di crearne di propri; per la prima volta, chiunque ha la possibilità di immettere informazioni in un circuito mondiale ad un costo minimo. Con i blog nasce un’informazione diffusa, dal basso, che si distingue per il carattere dialogico, per il fatto di essere inserita in una rete di scambio, di commenti, di confronto. È nella rete che nasce quel movimento per il software libero ed il codice open source che sta lentamente condizionando l'intero mondo della cultura, inducendo anche qualche casa editrice a rinunciare al copyright in favore del copyleft, il diritto di riprodurre e distribuire un'opera. È ancora la rete che offre strumenti inediti di democrazia digitale, consentendo all'opinione pubblica di conoscere fatti che sono indispensabili per esercitare controllare il potere e che spesso sono occultati dall'informazione ufficiale. La rete internet appare, in altri termini, come uno strumento conviviale, secondo la concezione di Illich: vale a dire uno strumento che consente a chi lo adopera di modificare in qualche modo il mondo, invece di essere in balia dello strumento stesso.
E ad Illich – all'ultimo Illich – fanno pensare le riflessioni di Bellino sulla necessità di una spiritualità laica nell'era digitale. Come è noto, nei suoi ultimi scritti (raccolti in La perdita dei sensi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2009) il grande pensatore austriaco afferma la necessità di riprendere le pratiche ascetiche come forma di opposizione e di resistenza, strategia per mantenere vivi i sensi nell'epoca dello show. Come il silenzio è la condizione necessaria della parola, ne costituisce la radice e l'origine, così la vita spirituale è la premessa della comunicazione e dell'impegno; essa, scrive Bellino, “è vita interiore profonda, ricerca del senso, fedeltà-impegno nelle vicende umane, apertura all'alterità, silenzio, ascolto, pensiero, meditazione” (p. 105). Si tratta di un’indicazione preziosa anche, bisogna osservare, in campo educativo. Lentamente si sta facendo strada in chi insegna (più all'estero, per la verità, che in Italia) la consapevolezza dell'importanza di educare alla meditazione, a distaccarsi momentaneamente dalla realtà esteriore per entrare in un contatto intenso con sé stessi, e non per chiudersi in un ipotetico mondo interiore intatto e puro. La spiritualità, non immune anch'essa dal rischio di mercificazione (si pensi alle molte proposte pseudo-spirituali legate alla New Age, che alimentano un fiorente mercato di pubblicazioni, dvd, musica, corsi di tecniche più o meno risolutive), è una dimensione che prescinde dall'appartenenza ad una fede religiosa: essa è il cammino che porta l'uomo al cospetto di sé stesso, che gli consente di consolidare una base di verità interiore che costituisce il munus, il dono che potrà offrire, comunicando, ad altri.
Indice
Introduzione
1. Il mondo come immagine
2. I postulati dell'etica della comunicazione
3. Per un'etica della comunicazione
4. Deontologia professionale dei comunicatori
5. La netica e la libertà d'informazione
6. Alle origini della comunicazione: il silenzio, la parola e l'ascolto
L'autore
Francesco Bellino è professore ordinario di Filosofia morale all'Università degli Studi di Bari. Ha scritto numerosi volumi, tra cui I fondamenti della bioetica (Città Nuova, Roma 1993); Eubiosia. La bioetica della buona vita (Città Nuova, Roma 2005) e Il paradigma biofilo (Cacucci Bari 2008). Ha curato il primo Trattato di bioetica italiano (Levante, Bari 1992).
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